mercoledì 22 aprile 2020

Verba volant (763): fermarsi...

Fermarsi, v. intr.

La cultura non si ferma, Milano non si ferma, la scuola non si ferma, l'economia non si ferma. Metteteci il soggetto che volete: in questi giorni pare che nulla si debba fermare. Come se ne avessimo paura. Come se noi esistessimo solo in quanto esseri che si muovono.
E se invece imparassimo a fermarci?
Questa drammatica vicenda ci pone di fronte a degli interrogativi assolutamente nuovi, a domande a cui non sappiamo rispondere perché non ci è mai capitato nulla del genere. Non è mai capitato a ciascuno di noi e non è mai capitato all'umanità. Naturalmente pestilenze ne sono già successe molte nel corso della storia, ma verosimilmente nessuno si aspetta che affrontiamo questa pandemia come venne affrontata la peste nera o la peste del Seicento raccontata da Manzoni o, per venire a un caso molto più vicino nel tempo, l'epidemia di spagnola che colpì il nostro pianeta alla fine del primo conflitto mondiale. Sappiamo, con più o meno precisione, cosa i governi, gli scienziati e i cittadini fecero allora, ma naturalmente praticamente nessuna di quelle soluzioni è applicabile al giorno d'oggi. Intanto perché la scienza ha fatto progressi enormi, perché le informazioni viaggiano a una velocità allora inimmaginabile, perché tutto è cambiato da allora. Perché in sostanza allora di fronte a una pandemia l'unica soluzione possibile era quella di sperare di non esserne colpiti. Unicamente una questione di fortuna: un po' poco, francamente.
Oggi abbiamo qualche strumento in più: sperare di scamparla è naturalmente sempre un'opzione, così come si può pregare una qualche divinità. Ma fortunatamente non è l'unica: altrimenti noi atei saremmo spacciati. Però non c'è la soluzione, si tentano approcci, si vagliano possibilità, in buona sostanza si prova a capire cosa è meglio fare, sperando sia quella giusta. Ma non è detto che la soluzione provata lo sia, non è detto che ci salverà.
Questa pandemia dovrebbe insegnarci come prima cosa - anzi come unica cosa - che di fronte a un problema così complesso è lecito non sapere. Tra quelli a cui abbiamo demandato, più o meno consapevolmente, più o meno volontariamente, il compito di prendere decisioni così importanti, io mi fiderei molto di più di qualcuno che andasse in televisione a dire: "Facciamo così e così, ma non sono sicuro che sia la cosa giusta da fare, mi sembra la migliore, ma forse sbaglio, comunque lo facciamo lo stesso. Grazie e scusate".
Noi stessi, nel nostro piccolissimo facciamo così. Pensiamo che adottare una serie di comportamenti piuttosto che un'altra sia ciò che salverà noi e le nostre famiglie, ma non ne siamo sicuri. Proprio per questo sarebbe giusto fermarsi, perché verosimilmente la prudenza è una buona consigliera. Fermarsi un mese è una buona soluzione? Allora fermarsi due è meglio. O no?
E se mentre siamo fermi pensassimo anche alla direzione che dobbiamo prendere quando ricominceremo a muoverci? Quando andiamo naturalmente pensiamo anche in quale direzione stiamo andando, ma non è verosimilmente l'unica cosa che facciamo, anzi probabilmente non è la cosa a cui dedichiamo più tempo. Quando andiamo in auto dobbiamo tenere d'occhio il contachilometri e la spia del carburante, dobbiamo guardare nello specchietto se qualcuno da dietro tenta di superarci, dobbiamo fare molte cose, e probabilmente non pensiamo a dove stiamo andando, lo sappiamo, lo abbiamo già deciso, e non c'è più il tempo per cambiare idea, anche perché fare un'inversione sarebbe davvero troppo pericoloso. Ma adesso siamo fermi. Approfittiamone.
Quando ci diranno che possiamo ripartire, perché dobbiamo per forza andare nella stessa direzione in cui andavamo prima, siamo certi che è quella la meta che vogliamo raggiungere? E se scoprissimo che stare fermi non è poi così terribile? O che magari che si può andare a una velocità più bassa? Perché non conta solo la meta, ma anche il modo in cui ci si arriva.
Non dobbiamo aver paura di stare fermi. Abbiamo già abbastanza paura di morire.         

domenica 19 aprile 2020

Verba volant (762): fuori...

Fuori, avv. e prep.

Io e la grande maggioranza di voi che leggete queste mie bagatelle siamo tra i fortunati: possiamo scegliere se accettare, senza soverchi sacrifici, o rifiutare alcune semplici regole di contenimento sociale. Anche al netto del fatto che noi misantropi siamo felici di questo momento che ci evita i contatti a cui normalmente non potremmo sottrarci, la decisione è piuttosto semplice: accettare quella che chiamiamo quarantena significa avere un'alta probabilità di evitare di contrarre una malattia che, dopo una fase di sofferenza più o meno acuta, ci può uccidere. In sostanza oggi stare in casa è istinto di sopravvivenza, una delle caratteristiche fondamentali di noi animali umani. Perché, nonostante tutto, questa storia del covid-19 dovrebbe servirci per ricordare che la natura è sempre più forte degli uomini. Noi facciamo di tutto per dimenticarlo e questo ci fa commettere danni terribili. Pensiamo di avere la cura per tutto, pensiamo di poter fare tutto e di non doverci mai fermare, pensiamo perfino di essere immortali o almeno sempre giovani, poi arriva una malattia e fa quello che deve fare, colpisce noi animali uccidendo soprattutto i più deboli di noi, operando la selezione naturale di darwiniana memoria. E noi facciamo istintivamente quello che possiamo per difenderci, compreso stare chiusi in casa. Dove per altro abbiamo televisioni, telefoni, computer collegati alla rete, dove siamo connessi con il mondo. Un eremitaggio con ogni sorta di comodità.
Naturalmente so che ci sono molti - la maggioranza, purtroppo - nel nostro paese e soprattutto nel resto del mondo, che non hanno questa fortuna, che non possono scegliere, le cui condizioni economiche e sociali impediscono di stare in quarantena, anche perché non hanno una casa in cui rifugiarsi. Poi ci sono quelli - in questo caso una minoranza - il cui lavoro permette a noi di stare in quarantena e quelli che sono impegnati a salvarci se, nonostante tutte queste precauzioni, ci ammaliamo.
Come ho scritto da qualche altra parte io ho smesso di leggere giornali e di seguire l'informazione televisiva e in rete. Ho fatto qualche eccezione - in genere pentendomi - anche in questo periodo. In televisione guardo solo le repliche di vecchi telefilm - mi considero ormai cittadino onorario di Cabot Cove - e quindi inevitabilmente la pubblicità. Mi ha colpito come ormai praticamente tutti gli spot si siano "convertiti" alla quarantena. I creativi evidentemente sono una di quelle categorie essenziali il cui lavoro non può fermarsi mai.
E quegli spot raccontano un mondo immaginario in cui i nostri figli continuano a frequentare le lezioni perché hanno tutti un computer e perfino degli insegnanti che sanno farne funzionare uno, in cui c'è farina e lievito in abbondanza, in cui siamo tutti truccati e pettinati, anche quando la mattina facciamo colazione, naturalmente con i croissant fatti da noi, in cui i vecchi approfittano del tempo libero per rileggere la Recherche e scoprire la musica contemporanea, in cui facciamo yoga in ampi salotti, visto che in famiglia abbiamo un computer a testa e possiamo farlo senza disturbare il figliolo che è a scuola nella sua cameretta e il papà che lavora in soggiorno. E la nonna che posta videoricette sul suo canale Youtube.
Tutto questo in attesa di poter tornare fuori, al mondo di prima del contagio. Perché tutti, anche quelli della pubblicità che hanno case così belle e spaziose, vogliono andare fuori. E pare che anche molti di noi, noi che possiamo scegliere se stare o meno in casa, abbiamo un bisogno disperato di uscire. Sinceramente vorrei mandare a cagare quelli che si riferiscono a questo periodo con termini come reclusione o simili. Mi dispiace che non abbiate mai provato cosa vuol dire stare davvero in carcere, perché penso lo meritereste.
E poi esattamente cosa cazzo abbiamo da fare quando sarà finita la quarantena? Non diciamo che dobbiamo andare a teatro perché se non c'è uno di quelli che vediamo in televisione non affolliamo le sale o che abbiamo un disperato bisogno di visitare una mostra d'arte. O che dobbiamo andare a messa - curioso come i preti si lamentino in tempi normali che sempre meno persone frequentino le funzioni e adesso in tanti sentano questo impellente bisogno spirituale. Oppure che dobbiamo fare sport, anche se la nostra usuale pratica motoria è quella di guardare le partite seduti sul divano. No, abbiamo bisogno di andare nei centri commerciali, negli outlet, abbiamo bisogno delle apericene e della movida, abbiamo bisogno di bere, abbiamo bisogno di rumore, perché ormai non resistiamo al silenzio. Non abbiamo bisogno di nulla, ma quel nulla dobbiamo farlo rigorosamente fuori. Abbiamo bisogno di comprare cose che non ci servono, in modo da poter buttare le cose che abbiamo adesso.
Visto che portare fuori la spazzatura è lecito, anche in tempo di quarantena.