venerdì 30 gennaio 2015

Verba volant (161): omertà...

Omertà, sost. f.

Questa parola ha una storia etimologica che merita di essere raccontata. Si tratta quasi sicuramente di una variante napoletana del sostantivo umiltà, visto che la camorra era chiamata anche "società dell’umiltà", dal momento che i suoi affiliati dovevano sottostare, senza discutere, a un capo e a determinate regole da lui imposte. Chi ricorda Il sindaco del rione Sanità di Eduardo capisce bene di cosa sto parlando. Con questo termine in particolare si indicava la "legge del silenzio" che costringeva a mantenere il silenzio appunto sul nome dell’autore di un delitto, affinché questi non fosse colpito dalle leggi dello stato, ma soltanto dalla vendetta dell’offeso.
Ecco un caso in cui l'etimologia ci può trarre in errore: e sarebbe davvero uno sbaglio pericoloso. L'omertà non è un problema che non ci riguarda, non è "cosa loro", come troppi - e troppo furbescamente - vogliono farci credere.
In questi giorni in Emilia-Romagna ci sono stati numerosi arresti: la magistratura e le forze dell'ordine hanno scoperto una cosca della 'ndrangheta che aveva - e presumbilmente ha ancora - fortissimi legami con il tessuto imprenditoriale e con il mondo politico della nostra regione, in particolare proprio qui dove vivo io, nelle province di Parma e di Reggio Emilia. Sinceramente non sarebbe servita questa indagine per scoprire che la mafia si è insediata qui al nord, anche qui in Emilia, seppur in forme diverse - ma non per questo meno pericolose - da quelle conosciute da anni nelle regioni del sud. Esistono delle ricerche, sono state condotte delle inchieste, sono stati scritti dei libri su questa "quarta" mafia che fa affari, ricicla i soldi delle attività criminali, stringe alleanze con esponenti politici, è diventata a tutti gli effetti un soggetto economico rilevante - non solo nelle attività criminali o in quelle contigue, come il gioco d'azzardo legale - ma soprattutto in attività legali, come l'edilizia, il commercio, la ristorazione, il turismo; con tutto quello che ne segue: usura, caporalato, sfruttamento dei lavoratori.
Naturalmente questa definizione non è il luogo adatto per affrontare in maniera esauriente un tema così complesso; e chi scrive non ne ha neppure le competenze. Una cosa però mi ha colpito. Di fronte a quello che è stato scoperto da queste indagini, c'è nella nostra regione un silenzio imbarazzato - e imbarazzante - che temo sia una nuova forma di omertà. Non parlano le forze politiche - se non i Cinque stelle - parlano a stento gli amministratori, non ci sono prese di posizione delle categorie economiche, soprattutto non sta diventando una questione di riflessione collettiva, come dovrebbe. Ne parla la Cgil, ne parlano le associazioni come Libera, che da anni denunciano la presenza delle mafie nella nostra realtà, ne parlano quei giornalisti che di questo si sono occupati, anche rischiando in prima persona, ma è ancora troppo poco. Soprattutto sembra che questo stia diventando un tema da esperti - i "professionisti dell'antimafia" come diceva, con intento polemico, Leonardo Sciascia molti anni fa - un argomento che, in buona sostanza, riguarda altri. Invece è qualcosa che coinvolge tutti noi e di cui tutti noi dovremmo occuparci. Senza imbarazzi, chiamando le cose con il loro nome, e senza omertà appunto.
Credo che una ragione dell'imbarazzo di oggi sia il fatto che quando, ormai diversi anni fa, è stata denunciata la presenza della malavita organizzata al nord, in tanti, in particolare nella nostra regione, hanno alzato le spalle, dicendo che si trattava di fantasie, spiegando che il nostro tessuto era troppo sano per essere contaminato, che in qualche modo la nostra "diversità", politica e sociale, ci avrebbe salvato. Imbarazza forse il fatto che molti, con un atteggiamento criptoleghista, pensavano che la mafia fosse appunto "cosa loro" e visto che i fatti di sangue erano pochi e coinvolgevano appunto "loro", i meridionali, "noi" non dovessimo preoccuparci poi troppo. Spero che ormai abbiamo tutti capito che in questa storia non esistono "noi" e "loro" 
Qualche settimana fa nel comune dove vivo ci sono stati una serie di furti ad attività commerciali: furti ripetuti, compiuti con una certa sfrontatezza, spesso senza rubare nulla - anche perché poco c'era da rubare - limitandosi ad atti di vandalismo, apparentemente piccoli danni, che però diventano ingenti per attività di quel genere; in alcuni casi gli stessi negozi sono stati "visitati" più volte. Naturalmente è scattato un certo allarme - si tratta di una realtà tutto sommata piccola, dove ci conosciamo un po' tutti - a un certo punto si è parlato perfino di ronde, che fortunatamente non sono state fatte. L'attenzione però si è rivolta alternativamente agli zingari e ai profughi ospitati in qualche struttura della città, insomma abbiamo preferito dare la colpa agli "stranieri" piuttosto che ammettere che poteva anche trattarsi di fenomeni legati al racket, magari a un "passaggio di mano" del nostro territorio da una cosca all'altra. Spero che le forze dell'ordine ci abbiano pensato e probabilmente sono anche intervenute, visto che i furti sono cessati del tutto. Nonostante ci siano ancora i profughi, nonostante ci siano ancora in giro degli zingari.
A me pareva naturale pensare che quei furti "strani" fossero legati alla mafia, invece la maggioranza dei miei concittadini ha preferito pensare ad altro, proprio come se la mafia non esistesse. Anche se tutti sappiamo che la mafia esiste - in questo comune c'è anche un bene confiscato, dove ogni anno si svolge un campo di Libera - eppure tanti, troppo spesso, fanno finta che non esista.
Anche questo sottovalutare è una forma di omertà, non meno pericolosa di quella di cui ci scandalizziamo quando al telegiornale dicono che in Sicilia non ci sono stati testimoni di un certo delitto. Siamo pronti a indignarci, a criticare quelle persone, che almeno agiscono come agiscono per paura - una paura tangibile, reale, perché il testimone di un delitto può anche essere ucciso - ma non siamo altrettanti pronti a indignarci per la nostra indifferenza, che spesso nasconde interessi, inconfessabili, perché si tratterebbe di denunciare qualcuno con cui stiamo concludendo un affare, qualcuno che ci presta dei soldi, qualcuno che rileva, pagando in contanti, la nostra attività commerciale, qualcuno che ci permette di avere la licenza per costruire una casa più in fretta o qualcuno a cui stiamo dando il voto o che ci sta dando il suo voto. E' in questa zona grigia che vive questa mafia, che non ha bisogno della lupara.
La mafia vive dell'omertà, ne ha bisogno come l'aria. E prospera nell'indifferenza. Per questo non dobbiamo stancarci di parlarne. Anche quando non ne parla nessuno; o quasi.

mercoledì 28 gennaio 2015

Verba volant (160): presidente...

Presidente, sost. m. (anche f.)

In senso squisitamente etimologico il presidente è colui che siede avanti a qualcosa, spiega l'etimologista Pianigiani, 
per difenderla, curarla, governarla. 
Attende quindi un compito gravoso all'uomo, o alla donna, che nei prossimi giorni sarà chiamato, o chiamata, a presiedere la nostra Repubblica.
Non so chi verrà scelto; come tutti voi, leggo dei nomi - anche qualcuno francamente preoccupante - e, non avendo la passione né per le scommesse né per i vaticinii, non farò il mio pronostico. Ammetto di non nutrire molte speranze nel prossimo presidente della Repubblica, visto quello che sta succedendo e soprattutto visto chi e come lo sta scegliendo.
Chi mi legge con una qualche assiduità sa che pessimo giudizio io abbia dell'ultima persona che ha occupato, a mio avviso in maniera illegittima, quella carica così importante. Naturalmente chi c'era prima aveva tutti i titoli per stare lì dove stava, non ci è arrivato a seguito di un colpo di stato - non sono così sciocco da crederlo, anche se qualche ex-amico offre di me questa caricatura - ma chi siede al Quirinale, oltre ad avere molti diritti e prerogative, legati proprio al suo sedere avanti a tutti noi, ha anche molti doveri, anzi ha qualche dovere più di noi. 
Il presidente non solo deve rispettare la Costituzione - come dovremmo fare tutti noi - ma deve esserne il custode. Sinceramente non credo che quella persona l'abbia fatto, almeno dal novembre del 2011, quando di fronte alla fine della maggioranza parlamentare che aveva vinto le elezioni, non ha fatto l'unica cosa che avrebbe dovuto fare: sciogliere il parlamento e convocare nuove elezioni. Invece ha fatto prevalere la sua - pur legittima - volontà politica, ha deciso che la politica - un'arte nobilissima, che io amo molto - potesse prevalere sulle regole. Ha nominato un nuovo governo, ha costruito per lui una diversa maggioranza parlamentare e ha fatto tutto quello che sapete, creando le condizioni per una riforma di fatto dell'assetto istituzionale del nostro paese, sempre meno repubblica parlamentare e sempre più un'altra cosa, dai contorni nebulosi e comunque tendenzialmente antidemocratici. La democrazia ha bisogno di regole, quando le regole vengono meno se ne approfittano sempre i più forti, e questo è sostanzialmente quello che è successo negli ultimi anni in Italia. Peraltro questa sospensione della democrazia parlamentare non è neppure servita a risolvere la crisi economica - come qualcuno probabilmente credeva, forse perfino in buona fede - anzi l'ha acuita, almeno l'ha acuita per i poveri, per i più deboli, perché se c'è meno democrazia, ci sono meno garanzie di un lavoro sicuro ed equamente retribuito per tutti.
Per questo mi appassiona poco sapere chi verrà scelto nei prossimi giorni. Pare che il dilemma a questo punto sia solo quello di capire se il prossimo presidente sarà o un nuovo napolitano, ossia un presidente forte con una propria visione politica, che farà valere nel confronto-scontro con chi siede a palazzo Chigi, o un uomo di renzi, ossia qualcuno che ne asseconderà il disegno. Comunque sia non sarà il mio presidente, non sarà qualcuno che siede avanti a me, ma al massimo al mio fianco, ossia uno che partecipa alla lotta politica come faccio io, anche se con molte più risorse di quante ne possa avere io - magari anche con maggior acume - e per lo più contro di me, perché sosterrà una linea politica diversa da quella che sostengo io. Ovviamente al nuovo presidente della Repubblica non interesserà affatto quello che penso io e andrà avanti tranquillamente, ignorando le mie proteste, come quelle di quei cittadini che pensano che il presidente della Repubblica dovrebbe essere diverso da questi modelli.
Io vorrei un presidente della Repubblica di cui potermi fidare. Magari un presidente che non la pensa come me, ma che difende la Costituzione, prima di tutto applicandola e poi facendola applicare. Un presidente così certo siede avanti a tutti noi, ma si rende conto che c'è qualcosa che siede avanti anche a lui. Spesso quando citiamo l'art. 1 della nostra Costituzione ci fermiamo al primo comma, giustamente famoso e celebrato. Il secondo dice una cosa altrettanto importante.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Chi siede avanti - e ovviamente chi gli sta subito dietro e giù giù fino all'ultimo dei cittadini - non può mai esercitare un potere arbitrario, solo perché fare quella cosa gli sembra giusta - anche se è legittimo che lo pensi - ma deve esercitare il suo potere proprio all'interno di quei vincoli, che sono più stretti di quanto negli ultimi tempi qualcuno voglia credere. E non ci sono ragioni straordinarie per derogare a questo principio, crisi o non crisi, emergenza o non emergenza.
Naturalmente ci sono altre doti importanti in un presidente, a partire dalla sobrietà. E' più facile fidarsi di una persona che conduce una vita simile alla nostra, è più facile riconoscersi ed è più facile che lui, o lei, colga meglio i nostri problemi. E ciascuno di noi potrebbe mettere in fila altre caratteristiche, più o meno necessarie. Ma il punto centrale credo sia quello di riconoscere che esistono delle regole e che quelle regole debbono essere rispettate. Da tutti. Anche da chi siede avanti.
Non so chi sarà il prossimo presidente. Immagino non sia nessuno di quelli che io sceglierei e quindi non ha molto senso che faccia qui l'elenco dei desiderata: non verranno accolti e rischierei solo di dimenticare qualcuno. Mi piacerebbe che fosse una persona che, pensando alla nostra Repubblica, voglia difenderla, curarla, governarla. Con la Costituzione.

martedì 27 gennaio 2015

da "Antigone" (446-470) di Sofocle

Creonte
E tu rispondimi, ma senza molte parole. Conoscevi il mio ordine, il mio divieto?

Antigone
Lo conoscevo. Potevo mai ignorarlo? Esso era noto, chiaro a tutti.

Creonte
E tu hai osato sovvertire queste leggi?

Antigone
Sì, perché non fu Zeus a impormele. Né la Giustizia, che siede laggiù tra gli dei sotterranei, ha stabilito queste leggi per gli uomini. Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero. Potevo io, per paura di un uomo, dell'attoganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dei? Ben sapevo di essere mortale, e come no?, anche se tu non l'hai decretato, sancito! Morire adesso, prima del tempo, è un guadagno per me. Chiunque vive fra tante sciagure, queste in cui vivo io, continue, come potrà non ritenersi fortunato, contento, se muore? Subire la morte quasi non è un dolore, per me. Sofferto avrei invece, e senza misura, se avessi lasciato insepolto il corpo morto di un figlio di mia madre. Il resto non conta nulla. A te sembrerà ch'io agisca da folle. Ma chi mi accusa di follia, forse è lui, il folle.

domenica 25 gennaio 2015

Verba volant (159): fondale...

Fondale, sost. m.

Il fondale è uno degli elementi scenici che, insieme al cielo e alle quinte, serve a delimitare in teatro lo spazio della scena: il cielo la delimita in altezza e le quinte lateralmente, mentre il fondale occupa appunto il fondo.
Probabilmente avete saputo anche voi che nei giorni scorsi c'è stato un inutile incontro bilaterale tra i capi di governo della Germania e dell'Italia. Inutile perché Merkel e renzi si sono detti delle cose che potevano dirsi tranquillamente al telefono o via skype - per spendere meno, cosa sempre auspicabili in questi tempi di austerity - e hanno detto ai giornalisti cose non particolarmente memorabili, che avrebbero potuto far scrivere ai loro addetti stampa in normali comunicati o via twitter, come usa fare il nostro capo di governo.
Questo inutile incontro sarà ricordato solo per il fondale, dal momento che la conferenza stampa è stata fatta avendo sullo sfondo il David di Michelangelo invece delle solite bandiere, stirate e drappeggiate.
Così renzi ha potuto fare un po' di retorica sulle eccellenze italiane in generale, e fiorentine in particolare, ponendosi come erede, se non di Michelangelo, almeno di Cosimo e Lorenzo de' Medici. Immagino che tra poco i giornalisti di Rainews24, con il loro consueto "understatement", cominceranno a chiamarlo Matteo il Magnifico. Ma soprattutto ha potuto fare un po' di promozione turistica alla sua città. A dire il vero i turisti tedeschi conoscono bene Firenze, diversi di loro sono già stati truffati dai baristi e dai venditori ambulanti della città che, a prezzi improponibili, hanno loro rifilato pizze surgelate e modellini della torre di Pisa che cambiano colore a seconda delle condizioni atmosferiche. E in tutto il mondo conoscono il David, come testimoniano le file dei turisti che ogni giorno dell'anno, eccetto il lunedì - peraltro è difficile spiegare ai tedeschi perché in Italia il lunedì sia il giorno di riposo dei barbieri e dei musei - si sottopongono a una lunga attesa, pur di farsi un selfie con la statua di Michelangelo, da postare immediatamente su  facebook. Se proprio voleva rilanciare il turismo, renzi avrebbe potuto scegliere una località italiana meno nota e almeno, se proprio non voleva uscire dalla sua città - pare abbia difficoltà a staccarsi da lì, visto che a palazzo Chigi continua a circondarsi di fiorentini - avrebbe potuto scegliere un monumento meno consueto, meno pop.
In teatro il fondale serve a darci l'illusione della profondità e della prospettiva: la stessa illusione che ha provato ad offrire renzi al suo gentile pubblico.
Forse però l'astuto fiorentino ha voluto anche dirci un'altra cosa, mandarci un altro messaggio, con questa sua scelta. Ci ha ricordato che la cultura e l'arte sono cose poco importanti, che possono stare appunto in fondo. E, se ci pensate, ce lo aveva già fatto capire: se la cultura fosse stata importante, avrebbe scelto come ministro franceschini? Che tra l'altro non è neppure di Firenze.
In questi mesi il governo sul tema non ha fatto molto. Ha introdotto il cosiddetto ArtBonus, grazie al quale sono detraibili il 65% delle donazioni che le singole persone o le imprese faranno in favore di musei, siti archeologici, teatri e così via; per ora non c'è alcun risultato visibile. Come si diceva nell'avanspettacolo - genere teatrale in cui eccelle questo governo - bambole, non c'è una lira. Poi ha tolto la gratuità dei musei per le persone con più di 65 anni, così che i vecchi la smettano di stare al caldo, a spese dei contribuenti, entrando a sbafo nelle pinacoteche e consimili. Poi ha varato la riforma dei musei, per cui alcuni grandi istituti - una ventina - saranno autonomi, mentre gli altri, più piccoli, saranno unificati in diciassette poli museali regionali. A Firenze, per fare un esempio a caso, questa riforma pare creare più problemi che altro, visto che già esisteva un polo museale cittadino che comprendeva undici musei; tre di questi - Uffizi, Accademia e Bargello - saranno autonomi e gli altri andranno nel polo regionale toscano, con il rischio di smantellare i servizi, come restauro, manutenzione, pubblicità, che erano già gestiti in forma associata.
Ma d'altra parte con la cultura non si mangia, come ha detto un autorevole esponente politico di un altro governo e come evidentemente pensano quelli di questo infausto esecutivo.
Comunque non abbiamo ancora toccato il fondo.
E stavolta non ci salverà il fondoschiena. Neppure quello, perfetto, del David.

giovedì 22 gennaio 2015

Verba volant (158): voto...

Voto, sost. m.

Votus è il participio passato del verbo latino vovere, che significa promettere solennemente. Il votum è prima di tutto una promessa fatta a un dio, attraverso cui un uomo si impegna a fare qualcosa a cui non sarebbe tenuto, quindi indica un obbligo strettissimo che un uomo si impone e, per estensione, un impegno e infine una dichiarazione della propria opinione, un suffragio. E con tutti questi significati la parola è passata in italiano: Manzoni racconta del voto di castità di Lucia, quando, pregando la Madonna, le dice:
rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che vostra. 
Curiosamente in italiano questa parola indica anche la valutazione di merito che si riceve a scuola. Francamente non è semplice capire il nesso che ha portato a questo ultimo significato, che peraltro è riscontrato solo in italiano, tra le lingue neolatine.
In questa definizione però mi voglio occupare del voto nel suo significato politico, per discutere con voi di una questione che è stata sollevata in questi giorni sulla proprietà dei voti. Infatti Renzi e Cofferati hanno alternativamente rivendicato la proprietà dei 120mila voti che hanno permesso all'ex segretario della Cgil di essere eletto al parlamento europeo. Il Cinese dice che sono suoi, mentre Renzi ne rivendica la proprietà, chiedendo quindi le dimissioni di Cofferati e la "restituzione" del seggio. Non entro nel merito della vicenda politica, anche perché chi legge con una qualche costanza queste definizioni, sa bene che difficilmente io potrei prendere le parti del presidente-segretario, neppure quando avesse ragione.
Ma mi infastidisce un po' questa idea che entrambi danno del voto, perché il voto non è loro, ma nostro, ciascuno di noi è padrone del proprio voto. Anzi ciascuno di noi dovrebbe ricordarsi che si tratta di un bene che ha un valore molto alto e che, di conseguenza, non dobbiamo né gettarlo via né dimenticare di averlo. Purtroppo qualcuno lo vende, in genere per un tozzo di pane, o perché è disperato e non sa più come fare o perché non ne conosce il valore. Non sa che con quel voto si può raggiungere ben più di un tozzo di pane e che per conquistare quel voto - anche il suo voto - molte persone hanno sofferto e sono morte.
Mi piacerebbe che riscoprissimo il valore etimologico del voto, che è appunto qualcosa di sacro. Me li ricordo i vecchi del mio paese che per andare a votare si mettevano il vestito della festa, non solo perché era domenica, ma perché facevano qualcosa di importante, per loro e per gli altri, qualcosa che era, a suo modo, un rito. Mi piacerebbe che chi ha una qualche responsabilità, chi viene votato, cominciasse a pensare che i voti che riceve non sono suoi, non diventano di sua proprietà e che quindi non può farne quello che vuole, ma che i voti rimangono di proprietà delle persone che sono andate a votare e hanno dato una qualche fiducia a quella persona piuttosto che a un'altra.
Credo che questa sia l'unica riforma elettorale di cui avremmo davvero bisogno.

martedì 20 gennaio 2015

Considerazioni libere (394): a proposito di una speranza che potrebbe realizzarsi...

Siamo in tanti, in tutta Europa, a guardare con speranza a quello che succederà domenica prossima in Grecia: una vittoria netta di Syriza e la formazione di un nuovo governo guidato da Alexis Tsipras avrebbero un significato fondamentale non solo per quel paese, ma per tutta la sinistra europea, a partire da quei paesi dove i partiti del nostro schieramento sono più forti e possono legittimamente aspirare a vincere le elezioni, come in Spagna e in Irlanda, ma anche per l'Italia, dove la sinistra politica adesso di fatto non esiste e noi "sinistri" ci sentiamo sempre più "esodati della politica", spesso tentati dalla voglia di mollare, di astenerci.
Le forze dominanti presentano queste elezioni greche come una sorta di referendum pro o contro l'Unione europea, cercando quindi di far passare il messaggio che la "loro" Europa, l'Europa dei mercati, delle banche, delle rendite, è l'Europa tout court, l'unica e sola Europa possibile. La migliore delle Europe possibili, direbbe il dottor Pangloss. E quindi chi critica la "loro" Europa viene descritto come una sorta di terrorista, come chi la vuole distruggere. Basta guardare un telegiornale italiano o leggere un qualsiasi giornale: il primo obiettivo di Syriza sarebbe l'uscita dall'euro, una cosa che non c'è nel programma di Salonicco e anzi è fuori dall'orizzonte politico di quel partito, che è fortemente europeista.
Comprensibilmente la destra greca - e i loro servi del Pasok, il pd greco - fa di tutto per imbrogliare le carte e Samaras si presenta come il garante dell'unità del paese sotto l'egida dell'Europa "tedesca", dal momento che non può presentare nessun risultato positivo della sua azione di governo, visto che le ricette proposte dal Memorandum stilato dalla Troika si sono rivelate incapaci di invertire la tendenza e di portare il paese fuori dalla crisi. Anzi l'hanno aggravata, gettando nella povertà milioni di persone. La destra, mentendo, sostiene che la crisi del debito greco sia endogena, così da giustificare l'inevitabilità delle riforme neoliberali (più o meno lo stesso che hanno fatto in Italia, imponendo a napolitano i governi monti, letta e renzi). Tutti i corifei del regime spiegano che la violazione delle scelte imposte dal Memorandum, ossia la rinuncia alle "loro" riforme, provocherebbe l'uscita della Grecia dall'euro, con gravissime conseguenze, che però sarebbero limitate soltanto a quel paese. L'Economist però prevede che entro la fine di quest'anno saranno sette gli stati europei ad avere un debito pubblico al di sopra del 100% del loro pil, dimostrando quindi che il problema non è il debito pubblico greco, ma la crisi dell'eurozona. L'unico punto della propaganda elettorale di Samaras, ossia che la Grecia rimarrebbe isolata in Europa se vincesse Syriza, è smentita ormai nei fatti e anzi, proprio l'affanno con cui i leader europei, di destra e del cosiddetto centrosinistra, sostengono Samaras, sta favorendo il consolidamento elettorale della sinistra.
Vedremo cosa succederà lunedì prossimo. E' chiaro che un eventuale governo di Syriza non chiederà alla Troika di avere più tempo per rispettare gli impegni dettati dal Memorandum, non farà come hanno fatto in questi mesi Samaras e Venizelos, ma - proprio in forza di un risultato elettorale di questa portata e di un mandato democratico così ampio - chiederà la fine dell'austerità, in nome della non sostenibilità del debito. Per questo i poteri che lavorano nell'ombra per il fallimento della Grecia, dell'Italia, della Spagna hanno paura della democrazia, cercano di limitarla, come sta succedendo nel nostro paese, con le riforme istituzionali presentate dal governo renzi. Democrazia e lavoro sono due facce della stessa medaglia, come ci hanno insegnato i nostri padri Costituenti.
Naturalmente per Syriza, anche se otterrà la maggioranza assoluta, non sarà facile governare questo passaggio, perché incontrerà resistenze da parte del mondo politico e di ampi settori dell'amministrazione, che vedranno diminuire il potere che hanno acquisito - anche in maniera disonesta - in questi anni, e soprattutto del mondo degli affari, che ha già messo gli occhi sui beni da privatizzare e ha scommesso sul fallimento del paese, per acquistare a prezzi di realizzo tutto quello che può essere valorizzato. E tutti questi avranno l'appoggio delle istituzioni europee e degli organismi finanziari internazionali, che faranno di tutto - lecito e illecito - per sabotare l'esperienza greca. Immaginatevi come saranno schierati nelle prossime settimane gli organi di informazione, pronti a sottolineare ogni presunto errore del governo Tsipras. Per questo dobbiamo vigilare, anche qui, e sostenere quel governo.
L'esperienza di Syriza non deve essere una parentesi, come auspicano i nostri nemici. E sappiamo già che dopo le elezioni il potere della sinistra sarà fragile - troppo fragile, visti i nemici contro cui deve difendersi - se si limiterà al confronto istituzionale e se non troverà delle alleanze in Europa. E' una cosa che abbiamo già visto succedere troppe volte, perché un paese non si cambia solo dall'alto, perché non basta controllare le leve del potere, ma bisogna far crescere una cultura politica diversa; e questa volta non possiamo permetterci di sbagliare.
Bisogna partire dall'idea che in Europa c'è un conflitto, anche se non è quello che ci raccontano i giornali. Ed è un conflitto che, forse per la prima volta con questa nettezza, non avviene tra stati nazionali, ma nasce all'interno dei singoli stati ed è esteso a tutto il continente. La rivoluzione ha una lunga storia in questa parte del mondo - l'ha in qualche modo plasmata - ma questa storia si è sempre intrecciata con quella degli stati nazionali, perché le classi dominanti sono riuscite, praticamente in ogni occasione, a far in modo che gli interessi di ogni singolo paese prevalessero sui comuni interessi di classe naturalmente transnazionali, costringendo quindi i lavoratori francesi, tedeschi, inglesi, italiani, a combattersi, in nome proprio di questi fantomatici superiori interessi nazionali, che ovviamente nascondevano gli interessi delle classi che li guidavano.
Adesso lo scenario è mutato, anche per merito di quegli antifascisti che immaginarono, mentre erano ancora nelle carceri fasciste, un'Europa completamente diversa da quella in cui erano nati e cresciuti. L'auspicata vittoria di Syriza - come quelle che speriamo seguiranno di Podemos e del Sinn Fein - unisce in questo conflitto l'Europa dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, ossia di un mondo del lavoro che è sempre più sfruttato e oppresso. Lo vediamo bene in Italia, dove non per caso l'attuale governo si dedica con un'incredibile tenacia alla lotta contro i lavoratori e i loro diritti.
Proprio la consapevolezza di far parte di un conflitto globale ci può aiutare. E in qualche modo anche "loro" ci temono, nonostante la sicumera con cui ci affrontano, nonostante la vicenda greca venga in queste ultime ore sottovalutata, proprio per far passare l'idea che si tratta di un problema interno di quei "pigri" dei greci. La Germania deve fare i conti con i segnali di un rallentamento della propria economia e una parte della destra comincia a riflettere e avanza l'ipotesi che per uscire dalla crisi siano necessari gli investimenti pubblici e un allentamento delle politiche di austerità. La stessa Bce farà probabilmente quello che fino ad ora le è stato impedito di fare, ossia acquistare titoli di stato, invece che continuare a finanziare le banche con denaro prestato a tassi ridicolmente bassi, che poi viene messo sul mercato delle famiglie e delle imprese, con ampi margini di lucro. Ormai tra i cittadini europei cresce la consapevolezza che il denaro per "salvare" la Grecia sia stato utilizzato soltanto per pagare gli interessi sul debito e quindi sia servito alle banche del Nord per ridurre le perdite su crediti che hanno distribuito, in maniera quantomeno disinvolta, ai paesi del Sud.
Le compagne e i compagni di Syriza non possono farcela da soli, proprio perché la loro è una battaglia europea, che passa attraverso il taglio del debito e un piano di investimenti pubblici, una sorta di new deal europeo.
Per questo servono a loro, servono a noi, una forte consapevolezza politica, una riflessione teorica sulla crisi del capitalismo e al contempo una capacità di movimento che certamente in Italia non abbiamo avuto - troppo persi in un dibattito di posizionamento tattico tra piccole sigle e nel rapporto con il partito che ha egemonizzato, con tutti i mezzi, il centrosinistra - una presenza capillare nel territorio, anche in maniera solidale, per aiutare quelli che non ce la fanno, quelli che rischiano di rimanere indietro, una velocità di mobilitazione che ci può offrire la rete, se la sappiamo usare, al di là degli appelli generici o di firme fatte in maniera automatica, sull'onda di uno sdegno momentaneo. Serve in sostanza un partito socialista, insieme antico e nuovo, antico nei valori e nuovo nelle forme con cui fa politica, con un'attenzione solidale che è anch'essa antica, perché fa parte della migliore tradizione della sinistra.
Lo dico senza polemica, perché credo sinceramente che in questa fase - come dice il mio amico Fausto - tutti siamo indispensabili, ma mi sembra che la nostra discussione sia incentrata troppo su chi debba essere il Tsipras italiano, mentre sarebbe più importante concentrarsi su quello che ciascuno di noi può fare per far nascere questo nuovo partito.
To μέλλον έχει όνομα. Αξιοπρέπεια. Δικαιοσύνη. Δημοκρατία. 
Il futuro ha un nome. Dignità. Giustizia. Democrazia.

venerdì 16 gennaio 2015

Verba volant (157): paura...

Paura, sost. f.

Io sono andato per la prima volta a Parigi nel settembre del 1995. Quell'estate ci furono diversi attentati. Il 25 luglio esplose una bomba rudimentale su una vettura della ferrovia urbana Rer B, ferma alla stazione Saint-Michel: ci furono otto morti e undici feriti. L'11 agosto una bomba in avenue Friedland, vicino a place de l'Etoile, provocò diciassette feriti. Il 26 agosto un'altra bomba venne scoperta e disinnescata sul Tgv nei pressi di Cailloux-sur-Fontaines. Ricordo che i controlli erano continui: tutte le volte che entravi in un edificio, pubblico o privato, qualcuno guardava nella tua borsa, spesso in strada i poliziotti ti fermavano per controllare cosa avevi in tasca. C'era evidentemente paura e quella paura in qualche modo giustificava e legittimava quella continua intrusione nella tua libertà personale. Ricordo che i primi giorni ero visibilmente infastidito, per il metodo - a volte un po' brusco - e per un mio certo sospetto, in generale, verso le forze di polizia. Soprattutto quelle italiane, a dire il vero. Comunque, passata una settimana, ormai non ci facevo più caso, mi ero abituato a quei controlli costanti e credo arbitrari. La cosa mi preoccupò, perché mi resi conto quanto fosse facile, nonostante tutto, assuefarsi a un controllo che pure mi pareva eccessivo e che mi infastidiva. Pensai che forse anche i regimi del Novecento erano cominciati così, con questa assuefazione ai controlli, alla polizia per strada che ha titolo per fermarti, per chiederti chi sei, cosa fai, dove vai.
Parigi in questi giorni ha di nuovo paura. Non so se Hollande abbia scatenato gli stessi controlli di Chirac, allora da pochi mesi presidente. La guerra è una di quelle cose di cui si ha istintivamente paura, e tanto più di una guerra come questa, non dichiarata, senza regole, che può colpire anche te, anche qualcuno a cui vuoi bene, in ogni momento. Nel verbo paveo, da cui è derivata la parola italiana di chi oggi mi occupo, il Pianigiani riconosce una radice pat-, molto antica, che significa picchiare, scuotere, proprio perché la paura infonde una scossa nell'animo di ciascuno di noi.
Ovviamente i terroristi fanno leva su questa paura ancestrale. Gli attentatori forse credevano che il loro gesto suicida fosse finalizzato alla sola vendetta, alla punizione di quegli uomini che avevano osato rappresentare il Profeta, ma chi li ha mandati aveva - ed ha - certamente un altro obiettivo, ossia scatenare la paura nelle nostre città. Vuole che noi costruiamo nuove e più potenti mura, vuole che ci armiamo, vuole che guardiamo con sospetto qualunque persona non abbia la pelle uguale alla nostra. E in questo sta già avendo successo, perché è quello che adesso noi stiamo facendo.
Chi arma quei terroristi vuole impedire i rapporti tra i popoli, vuole che non ci mescoliamo, vuole tagliare ogni forma di comunicazione, di rapporto. Perché anche i terroristi hanno paura: hanno paura che milioni di persone comincino a chiedere che siano riconosciuti i loro diritti, di donne e di uomini, hanno paura che la religione diventi un qualcosa di meno opprimente, hanno paura che alla richiesta di pane si accompagni quella di democrazia, come è avvenuto nelle primavere arabe. Hanno paura di popoli che non hanno più paura.
Io naturalmente - come ciascuno  di voi - ho paura dei terroristi, di chi li arma, di chi li guida, di chi sceglie i bersagli, ma ho paura anche dei nostri governi, ossia di quelli che in questi giorni si preparano a gestire - lucrando - sulla nostra paura. Al netto degli slogan urlati in queste ore, immagino non saranno i populisti, più o meno fascisti - dalla Le Pen a Farage, passando per l'innocuo Salvini - a godere elettoralmente di questa paura e a gestirla politicamente. Saranno invece quelli che si sono prontamente schierati nella prima fila della grande e bella manifestazione di Parigi, facendo finta di portare la loro ipocrita solidarietà a quegli anarchici di Charlie Hebdo. Saranno i governi del capitale - popolari o socialisti poco importa, ormai è tutta la stessa risma - a tenerci legati, a cercare di impedire ogni rinnovamento - figurarsi una rivoluzione - proprio in nome della paura. Mentre chi comanda davvero continuerà a guadagnare sull'instabilità, ridisegnando le cartine geografiche del Medio oriente e dell'Africa, facendo affari, sulla pelle di quei popoli, con i governi che finanziano i terroristi.
Come sapete, cent'anni fa scoppiò la prima guerra mondiale. Tra i motivi inconfessati e inconfessabili di quel tragico conflitto ci fu la paura delle classi allora dominanti per la rivoluzione, che era già scoppiata a Parigi, quarant'anni prima, e che sembrava allargarsi, in Germania, in Gran Bretagna, perfino in Italia. Allora la rivoluzione era pensabile e possibile, e naturalmente i ricchi e i privilegiati ne avevano paura. Poi la rivoluzione sarebbe scoppiata comunque, proprio a causa della guerra, ma in Russia, uno dei pochi paesi in cui la rivoluzione pareva non sarebbe scoppiata, perché troppo arretrata rispetto al resto dell'Europa; ma questa è un'altra storia, che ci porterebbe lontano, per quanto le conseguenze di quello scontro siano arrivate fino a pochi anni fa. La prima guerra mondiale fu, a suo modo, anche un momento della guerra di classe che i potenti e i ricchi, da sempre, combattono contro di noi. Ho l'impressione che anche questa strana "terza guerra mondiale" - come ormai ci stiamo abituando a chiamarla - sia un episodio di questo conflitto sotterraneo e cruento. Anche se la rivoluzione sembra, almeno qui da noi, impensabile e impossibile; ma il mondo è grande e soprattutto in altri paesi, significativamente in quei paesi arabi contro cui vogliono che noi ci schieriamo, ci sono generazioni di giovani che si affacciano alla storia e chiedono un futuro diverso. E' contro queste generazioni che sono armati i terroristi e i loro alleati del capitale.
Per questo non dobbiamo avere paura di quei popoli che subiscono questa guerra sotterranea, combattendola dalla nostra stessa parte, per questo non dobbiamo arrenderci alla paura che tentano di imporci i nostri governi. Per questo non dobbiamo partecipare alla costruzione di nuovi muri, per questo non dobbiamo pensare che Mohamed e Fatima siano nostri nemici. I partiti socialisti uscirono sconfitti dalla prima guerra mondiale, perché molti di loro parteciparono a quel conflitto, perché, sbagliando, credevano fosse ancora uno scontro tra stati e non tra classi e chi lo capì, come Rosa Luxemburg, e fu pacifista per tutto il conflitto, fu uccisa. Noi di sinistra non possiamo ripetere gli errori di cent'anni fa.
Per questo non dobbiamo avere paura. Non possiamo permettercelo.

giovedì 15 gennaio 2015

Verba volant (156): satira...

Satira, sost. f.

Credo che uno dei pezzi di satira più riusciti di sempre sia il celebre discorso di Nerone di Ettore Petrolini. L'autore romano aveva portato in scena molte volte questo personaggio, che noi conosciamo grazie al film omonimo del 1930. La scena è notissima: l'imperatore Nerone sta a casa sua e il popolo lo vuole morto perché ha incendiato Roma; allora va alla finestra e fa un discorso per calmare gli animi. Alla fine il popolo gli grida "bravo!" e Nerone risponde "grazie". E proprio questo gioco del bravo-grazie, ripetendosi più volte, crea un incredibile effetto comico.
I fascisti stupidi ridevano delle smorfie dell'attore, di quelle mosse antiche che, attraverso la commedia dell'arte risalivano proprio al tempo in cui la satira era nata, nella Roma antica. I fascisti intelligenti si infuriavano perché capivano benissimo che quell'imperatore da strapazzo, eppure capace di farsi applaudire dalla plebe, era allora il Duce, come è oggi qualsiasi politicante che salga alla ribalta; ed erano tanto più arrabbiati, perché non potevano vietare quella satira sottilmente allusiva, se non volevano ammettere che il bersaglio era proprio Mussolini. Il pubblico rideva e allo stesso tempo era costretto a pensare. Gli antifascisti infine potevano sperare che qualcosa sarebbe cambiato, se un guitto dell'avanspettacolo poteva mettere alla berlina il dittatore della terza Roma.
La satira deve riuscire a fare tutto questo, deve far ridere, deve far pensare, deve far infuriare, deve far sperare. E soprattutto deve riuscire ad arrivare a tutti, anche se ognuno poi ne coglie un significato diverso. Per questo è così difficile fare satira. E, a volte, così pericoloso.
Credo abbiate immaginato che alla fine il discorso sarebbe caduto qui, perché in questi giorni tutti siamo Charlie, tenendo in mano le nostre matite. Ovviamente non tutti siamo Charlie, perché non tutti siamo capaci di scrivere e di disegnare con la vena cattiva tipica di quel giornale, e perché, se anche lo fossimo, non useremmo così la nostra capacità. Personalmente non amo molto Charlie Hebdo e i giornali di quel tipo, perché credo che quell'impostazione così radicale, spesso di una volgarità violenta, finisca per far perdere efficacia alla satira e soprattutto manchi uno degli obiettivi che ho detto sopra. Petrolini parlava a tutti, faceva ridere tutti e qualcuno - forse molti - capivano il suo messaggio, anche chi andava a teatro dichiarandosi fascista. Charlie Hebdo invece fa ridere chi è già pronto a cogliere quel messaggio; molti si rifiutano di leggere Charlie Hebdo, certamento non lo acquistano i fascisti dei tempi nostri, perché sanno già chi colpirà - ossia loro - e così quella satira finisce inevitabilmente per essere letta solo da chi è già convinto del messaggio che vuole mandare.
Soprattutto non sono Charlie quelli che hanno cercato di sfruttare la morte tragica di quei disegnatori satirici per i propri fini politici. E' curioso che siano diventati paladini della libertà di Charlie Hebdo personaggi come Marine Le Pen che sono stati tra i bersagli preferiti di quel giornale e che volentieri avrebbe mandato a fuoco la redazione, con tutti i disegnatori dentro. Il fatto che due terroristi di religione musulmana siano i responsabili di quella strage non dovrebbe farci dimenticare che nel "mirino" di Charlie Hebdo non c'erano solo i musulmani - come avviene sulla Padania, o su Libero, o sul Giornale, solo per citare alcuni tra i retrivi giornali italiani - ma i cattolici, gli ebrei, i fanatici di ogni risma e colore. In Italia Charlie Hebdo non avrebbe mai trovato un editore e, se lo avesse trovato, non avrebbe resistito in edicola un anno, perché la sua satira violenta contro il Vaticano e la religione cattolica sarebbe stata considerata inaccettabile. E quindi il conformismo democristiano e curiale di questo paese avrebbe trovato armi ben più efficaci di due kalasnikov.
E' stato ridicolo vedere sfilare a Parigi, in difesa della libertà di stampa rappresentanti di governi che avrebbero vietato a Charlie Hebdo di pubblicare una sola vignetta e che sistematicamente impediscono ai giornalisti di fare il loro lavoro. C'era un rappresentante di Putin, che è il mandante dell'omicidio di Anna Politkovskaja, c'era un rappresentante di Erdogan che ha fatto mettere in carcere i giornalisti di opposizione, c'era l'ungherese Orban, autore di una legge che limita moltissimo la libertà di stampa, solo per citare i casi più eclatanti. I capi di stato e di governo delle cosiddette democrazie occidentali, che detestavano - per altro ricambiati - quelli di Charlie Hebdo, hanno sfilato senza vergogna, camminando sottobraccio con questi campioni di autocrazia, in una cerimonia di assoluta ipocrisia, rovinando con la loro presenza la commozione di milioni di francesi e di europei, di ogni religione e di ogni origine, che sfilavano ordinatamente in piazza. Hollande, Cameron, Merkel, renzi, Netanyahu non sono Charlie, sono solo dei patetici mestieranti della politica, che disonorano i valori democratici su cui hanno giurato.
Ma hanno preso la loro dose di applausi, perché il popolo
quando si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo.
In tanti in questi giorni siamo scesi in piazza per solidarietà con Charlie Hebdo e per difendere la libertà di espressione. E credo dovremo continuare a farlo, perché i nemici della libertà di espressione, i nemici della satira, sono tanti, sono potenti, sono agguerriti.
Sappiano però che noi continueremo ad impugnare le nostre matite.

Rosa Luxemburg scrive a Sonja Liebknecht

Sonjuscka, mio passerotto,

mi sono tanto rallegrata della sua lettera; volevo rispondere subito, ma avevo proprio molto lavoro che mi ha richiesto un notevole impegno, perciò non potevo prendermi il lusso di scrivere. Poi però ho preferito attendere un'occasione, perché è molto più bello poter chiacchierare liberamente, solo tra noi.
Ogni giorno, leggendo le notizie provenienti dalla Russia, ho pensato a lei e con preoccupazione immagino come si sia turbata ad ogni assurdo telegramma. Le notizie che arrivano dalla Russia sono per lo più notizie sconvolgenti, e ciò vale doppiamente per il sud. Le agenzie di notizie sono interessate (ovunque) ad esagerare il più possibile il caos e a gonfiare tendenziosamente ogni più impossibile voce. Finché le cose non si chiariscono non vi è alcun senso o ragione a essere inquieti, così per niente, in anticipo. In generale sembra che là le cose procedano in modo del tutto incruento; in ogni caso tutte le voci di "battaglie" sono rimaste senza conferma. È solo un'aspra lotta di partito che, nell'interpretazione dei corrispondenti dei giornali, appare sempre come una pazzia sfrenata e un inferno. Per quanto concerne i pogrom di ebrei, simili voci sono assolutamente inventate. In Russia è per sempre passato il tempo dei pogrom; il potere degli operai e del socialismo è troppo forte perché possano succedere cose simili. La rivoluzione ha purificato l'aria dai miasmi e dalle esalazioni della reazione, così come Kiscinëv è per sempre passé. Posso piuttosto immaginare ancora dei pogrom di ebrei in Germania... In ogni caso qui regna l'atmosfera di infamia, di viltà, di reazione e di ottusità che vi si addice. Sotto questo aspetto, quindi, può essere assolutamente tranquilla per quanto riguarda la Russia del sud. Le cose si sono ormai tanto acuite fino a giungere a un duro conflitto tra il governo di Pietroburgo e la Rada, per cui ben presto dovrà arrivare anche la soluzione e la chiarificazione, in base alla quale si potrà valutare la situazione. Da tutti i punti di vista non ha proprio alcun senso, alcuno scopo che lei si strugga dalla paura e dall'inquietudine. Resti impavida, mia piccola, a testa alta, resti calma e forte. Tutto si volgerà per il meglio, purché non ci si aspetti subito sempre il peggio!...
Speravo vivamente di vederla presto qui, già in gennaio. Ora si dice che Mathilde Wurm voglia venire in gennaio. Mi sarebbe difficile rinunciare alla sua visita in gennaio, ma naturalmente non posso disporre. Se lei dichiara di non poter venire che in gennaio, allora forse non se ne parla più; chissà, forse Mathilde Wurm può venire anche in febbraio. In ogni caso vorrei presto sapere quando la vedrò.
E già un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso. Ed esattamente un anno fa lei era da me a Wronke, mi regalò il bell'albero di Natale... Quest'anno me ne son fatto procurare uno, ma me ne hanno portato uno ben misero, senza rami; non c'è paragone con quello dell'anno scorso. Non so come vi applicherò le otto lucette che ho acquistato. E il mio terzo Natale in carcere, ma non la prenda sul tragico. Io sono calma e serena come sempre.
Ieri rimasi a lungo sveglia; adesso non riesco ad addormentarmi prima delle quattro, ma devo stare a letto già alle dieci perché spengono la luce, allora mi metto a sognare diverse cose nel buio. Ieri, dunque, pensavo: è straordinario il fatto che io viva costantemente in uno stato di gioiosa esaltazione, senza alcun motivo particolare. Ad esempio, qui dormo su un materasso durissimo in una cella buia, attorno a me nella casa regna il solito silenzio sepolcrale, sembra di essere nella tomba; attraverso la finestra sotto il soffitto si disegna il riflesso della lanterna che splende tutta la notte davanti al carcere. Di quando in quando si sente solo, sordo, lo strepito lontano di un convoglio ferroviario che passa, oppure vicinissimo, sotto la finestra, il tossire della sentinella che coi suoi pesanti stivali fa un paio di passi lenti per sgranchirsi le gambe intirizzite. La sabbia scricchiola così disperatamente sotto questi passi da far risuonare nella notte umida e oscura tutta la desolazione e l'angustia dell'esistenza. Io giaccio tranquilla, sola, avvolta in questi molteplici veli neri dell'oscurità, della noia, della prigionia, dell'inverno, e intanto il mio cuore palpita di una gioia interiore inconcepibile, ignota, come se camminassi su un prato in fiore nella luce radiosa del sole. E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi un qualche segreto magico che smentisce ogni male e ogni tristezza e li trasforma in trasparente chiarezza e felicità. E intanto io stessa cerco una ragione di questa gioia, non la trovo e di nuovo devo ridere... di me stessa. Credo che il segreto non è altro che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è così bella e soffice, come un velluto, purché la si guardi come si deve; e nello scricchiolare della sabbia umida sotto i lenti, pesanti passi della sentinella risuona anche un piccolo, dolce canto della vita, basta saperlo ascoltare come si deve. In questi momenti penso a lei e vorrei così volentieri comunicarle questa chiave magica che le facesse percepire sempre, in ogni situazione, la bellezza e la gioia della vita, perché anche lei viva nella ebbrezza e cammini come su un prato fiorito. Non penso affatto di nutrirla di ascetismo e di gioia illusoria. Le auguro tutte le reali gioie sensibili che desidera. Vorrei solo darle in più la mia inesauribile serenità interiore per essere sicura che attraversa la vita avvolta in un manto trapunto di stelle, che la protegge da ogni miseria, trivialità e inquietudine.
Lei ha raccolto nello Steglitzer Park un bel mazzo di bacche nere e rosa-violetto. Per quanto riguarda le bacche nere è probabile che si tratti di sambuco: le sue bacche però pendono a fitti, pesanti grappoli tra grandi ventagli di foglie piumate, lei le conosce certamente; oppure, piú probabilmente, si tratta di ligustri: pannocchie di bacche sottili, esili, diritte e foglioline strette e oblunghe. Le bacche color rosa-violetto, nascoste tra piccole foglioline, potrebbero essere quelle del nespolo nano; a dire il vero, esse sono rosse, ma in questa tarda stagione, essendo un po' troppo mature e quasi sfatte, hanno spesso un colore violetto-rossiccio. Le foglioline assomigliano a quelle del mirto: piccole, appuntite, verde scuro, lisce di sopra e ruvide di sotto.
Sonjuséka, conosce la poesia Verhängnisvolle Gabel di Platen? Potrebbe inviarmela o portarla? Una volta Karl ha detto di averla letta a casa. Le poesie di George sono belle; adesso so di chi è il verso: "E tra il fruscio del rossiccio frumento...", che lei di solito recitava quando andavamo a passeggio per i campi. Quando ha occasione può copiarmi il Neue Amadis? Questa poesia mi piace tanto - naturalmente grazie alla canzone di Hugo Wolf - ma non l'ho qui con me. Legge ancora la Lessing-Legende? Io ho ripreso la Storia del materialismo di Lange, che mi stimola e ristora sempre. Vorrei tanto che la leggesse anche lei.
Oh, Sonjuscka, qui ho trovato un forte dolore. Nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri dell'esercito stracarichi di sacchi o vecchie casacche e camicie militari, spesso con macchie di sangue..., vengono scaricate qui, distribuite nelle celle, rappezzate, poi ricaricate e spedite all'esercito. Recentemente è arrivato uno di questi carri, tirato da bufali invece che da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Sono di costituzione più robusta e massiccia dei nostri buoi, con teste piatte e corna ricurve basse, il cranio quindi è simile a quello delle nostre pecore, sono completamente neri, con grandi, dolci occhi neri. Provengono dalla Romania, sono trofei di guerra... I soldati che guidavano il carro raccontarono che fu molto faticoso catturare questi animali selvaggi e ancor più difficile - essendo abituati alla libertà - usarli come animali da tiro. Furono orribilmente percossi finché non appresero che avevano perso la guerra e che per loro valeva il motto vae victis. A Breslavia vi devono essere un centinaio di questi animali; essi, che erano abituati ai rigogliosi pascoli romeni, ricevono un misero e scarso foraggio. Vengono sfruttati senza pietà per trainare tutti i carri possibili e così vanno presto in rovina. Dunque, alcuni giorni fa arrivò qui un carro carico di sacchi. Il carico era così alto che i bufali all'entrare nel portone non riuscivano a superare la soglia. Il soldato accompagnatore, un tipo brutale, cominciò a picchiare così forte gli animali, con la grossa estremità del manico della frusta, che la sorvegliante, indignata, lo riprese chiedendogli se non aveva proprio alcuna compassione degli animali. "Neanche di noi uomini ha nessuno compassione" rispose egli sogghignando, e picchiò ancor piú sodo... Alla fine gli animali tirarono e scamparono il peggio, ma uno di essi sanguinava...
Sonjuscka, la pelle dei bufali è proverbiale per lo spessore e la durezza, eppure la loro era lacerata. Poi, mentre si scaricava, gli animali stavano muti, sfiniti, e uno, quello che sanguinava, guardava lontano con sulla faccia nera e nei dolci occhi neri un'espressione come di un bambino rosso per il pianto. Era esattamente l'espressione di un bambino che è stato duramente punito e non sa perché, non sa come deve affrontare il supplizio e la bruta violenza... Io stavo lì e l'animale mi guardò, mi scesero le lacrime - erano le sue lacrime - non si può fremere dal dolore per il fratello più caro come io fremevo nella mia impotenza per questa muta sofferenza. Come erano lontani, irragiungibili, perduti i bei pascoli liberi e rigogliosi della Romania! Come era diverso lì lo splendore del sole, il soffio del vento, come erano diverse le belle voci degli uccelli che lì si udivano, o il melodico muggito dei buoi! E qui: questa città straniera, orribile, la stalla umida, il fieno ammuffito, nauseante, misto di paglia fradicia, gli uomini estranei, terribili e le percosse, il sangue che colava dalla ferita fresca... Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, noi due stiamo qui impotenti e muti e siamo uniti solo nel dolore, nell'impotenza, nella nostalgia. Intanto i detenuti si muovevano affaccendati attorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano nella casa; il soldato, invece, con le due mani nelle tasche passeggiava a grandi passi per il cortile, rideva e fischiettava una canzonetta. E così mi passò dinanzi tutta la magnifica guerra.

Scriva presto. La abbraccio, Sonjuscka.

Sua R.

Sonjuscka carissima, sia calma e serena nonostante tutto. Così è la vita e così bisogna prenderla, coraggiosamente, intrepidamente e sorridendo, nonostante tutto. Buon Natale!...

sabato 3 gennaio 2015

Verba volant (155): debito...

Debito, sost. m.

E' molto interessante la storia etimologica di questa parola. Debitus è il participio passato del verbo latino debère, che significa dovere: in sostanza vuol dire ciò che è dovuto. A sua volta debère è molto probabilmente una contrazione di dehibère, un verbo composto dalla particella de, che indica allontanamento, e dal verbo habere, e quindi il suo significato originario era non possedere più. Perciò debère per gli antichi Romani, uomini notoriamente pratici - non come quei "filosofi" dei Greci - significava prima di tutto avere l'obbligo di rendere qualcosa a qualcuno e in seguito è passato ad indicare ogni tipo di obbligo.
Il debito è quindi qualcosa che abbiamo l'obbligo morale di restituire: come abbiamo visto, ce lo spiega l'etimologia e soprattutto ce l'hanno spiegato quelli della generazione dei nostri padri e dei nostri nonni. Proprio perché hanno conosciuto così duramente cosa significa la miseria, sanno che valore abbia il denaro - e la fatica che serve a guadagnarlo - e che quindi va restituito, quando lo prendiamo in prestito. E infatti ci hanno anche insegnato che occorre fare debiti con grande attenzione, soltanto quando sappiamo come restituirli.
Proprio per questo i nostri vecchi credo farebbero fatica a capire un'economia come quella attuale che pare basarsi unicamente sul debito e sull'azzardo. A questo punto inevitabilmente deve cambiare anche il nostro modo di considerare i debiti e il dovere morale di onorarli.
Tra qualche settimane il popolo greco sarà chiamato a rinnovare il parlamento: i nostri mezzi di informazione presentano quel voto come una sorta di salto nel buio, perché - visti i sondaggi - è possibile una vittoria di Syriza, ossia di un partito di sinistra. Quel partito, al di là di quello che raccontano i nostri giornali di regime, non ha nulla di rivoluzionario: semplicemente dice qualcosa di diverso da quello che dicono tutti, a destra e nella sedicente sinistra. Prendetevi qualche minuto per leggere i punti del Programma di Salonicco, presentato da Alexis Tsipras nello scorso mese di settembre, e vedrete che si tratta di un programma che un tempo avremmo definito semplicemente socialdemocratico. Ovviamente non c'è l'uscita dall'euro, come ci dicono, mentendo, quelli che non l'hanno letto. Il punto centrale è proprio la questione del debito, ossia la neccessità di cancellarne il valore nominale e di rinegoziarlo.
Credo sia utile capire come questo debito si è generato.
Nel maggio 2012, uno degli ultimi provvedimenti del governo tecnico guidato da Lucas Papademos, già vicepresidente del Fmi, è stata la decisione di ripagare all'intero valore nominale 436 milioni di titoli del tesoro emessi dieci anni prima e che stavano per scadere. Tra chi ha beneficiato di questo pagamento ci sono stati alcuni fondi privati, quelli che di solito indichiamo genericamente come "mercati", ma che hanno nome e cognome: Elliot Associates del Regno Unito, Loomis Sayles e Blackrock degli Stati Uniti, la banca svizzera Julies Baer, il gestore di fondi francese Natixis, il tedesco StarCap e il lussemburghese Ethenea Independent Investors. Questi fondi - definiti "avvoltoi" - hanno fatto una scommessa, solo apparentemente rischiosa: l'accordo imposto dalla Troika, che prevedeva la perdita di più della metà del valore nominale dei titoli del tesoro emessi dalla Grecia, sarebbe entrato in vigore soltanto se fosse stato sottoscritto da almeno i tre quarti dei creditori. Il 96% ha sottoscritto l'accordo, accettando che i loro titoli perdessero valore, e questo ha fatto sì che arrivassero nuovi soldi "freschi" ad Atene: dei 130 miliardi dati alla Grecia dall'Europa, 90 erano vincolati a pagare i debiti con le banche europee, con una sorta di partita di giro, per cui i governi europei hanno dato soldi alle loro banche. Con questi soldi, per avere i quali è stato cancellato ogni forma di stato sociale in Grecia, il governo ha pagato sia i creditori "buoni" sia gli "avvoltoi", che non avevano accettato gli accordi e quindi la riduzione del valore dei loro titoli, come è appunto avvenuto con i 436 milioni pagati da Papademos.
Il punto fondamentale - che fa capire perché l'operazione non sia stato un "rischio", ma un saggio investimento - è che i titoli greci, a seguito delle valutazioni estremamente negative delle agenzie di rating, che avevano già condannato il paese al fallimento, non avevano più valore ed erano già stati considerati "persi" dai grandi investitori; in questa situazione incassare anche solo il 40% del loro valore nominale, come hanno fatto i creditori "buoni" - in primis le banche tedesche e francesi - era già considerato un guadagno, perché anche nell'alta finanza vige l'adagio contadino, secondo cui piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Immaginate invece cosa ci hanno guadagnato gli "avvoltoi", che si sono visti ripagare il 100% di titoli che valevano ormai zero. Da notare che gli "avvoltoi", presagito il possibile guadagno, non si sono limitati a portare all'incasso i titoli comprati dieci anni prima, ma hanno rastrellato sui mercati secondari i titoli greci, che non valevano più niente e che quindi sono stati comperati a prezzi molto inferiori al loro valore; in particolare hanno comprato quei titoli i cui contratti di vendita erano registrati a Londra e non in Grecia e che quindi non potevano ricadere in possibili cambiamenti retroattivi della legge greca. Inoltre avendo in mano titoli registrati in Gran Bretagna, se il governo greco si fosse mai rifiutato di pagare, avrebbe potuto essere citato in giudizio di fronte a una corte internazionale, come successe più di dieci anni fa con l'Argentina.
Allora è lecito chiedere che questi debiti vengano cancellati o è una richiesta da pericolosi rivoluzionari?
Nel 1953 il governo della Repubblica Federale Tedesca, allora guidato da Konrad Adenauer - che certo non può essere considerato un comunista - stipulò con i paesi che avevano vinto la seconda guerra mondiale un trattato in cui furono rinegoziati i debiti accumulati dal paese prima dello scoppio del conflitto: l'importo da rimborsare fu ridotto del 50%, pari a circa 15 miliardi di marchi, e dilazionato in più di 30 anni. Senza quell'accordo la Germania non avrebbe potuto riprendersi e l'Unione europea non esisterebbe.
I debiti devono essere pagati, ma devono essere legittimi e il loro pagamento non deve uccidere il debitore. I greci stanno chiedendo alla comunità internazionale soltanto questo.

Il Programma di Salonicco. Il programma di governo di Syriza

Salonicco, 15 settembre 2014
 
Cosa farà il governo di Syriza

Il contesto della trattativa

Chiediamo elezioni parlamentari immediate e un forte mandato di negoziazione con l’obiettivo di:


• Cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico in modo che diventi sostenibile nel contesto di una "Conferenza europea del debito". E' successo per la Germania nel 1953. Può anche accadere per il Sud Europa e la Grecia.
• Includere una "clausola di crescita" nel rimborso della parte restante in modo che tale rimborso sia finanziato con la crescita e non attraverso leggi di bilancio.
• Includere un periodo significativo di grazia ("moratoria") del pagamento del debito per recuperare i fondi per la crescita.
• Escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita.
• Un "New Deal Europeo" di investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti.
• Un aiuto quantitativo da parte della Banca centrale europea con acquisti diretti di obbligazioni sovrane.

Infine, dichiariamo ancora una volta che la questione del prestito forzoso durante l’occupazione nazista della Banca di Grecia è una questione ancora aperta per noi. I nostri partner lo sanno. Diventerà la posizione ufficiale del paese a partire dal nostro primo giorno al potere.

In base a questo piano, ci batteremo e garantiremo una soluzione socialmente praticabile sul problema del debito della Grecia in modo che il nostro paese sia in grado di pagare il debito residuo attraverso la creazione di nuova ricchezza e non di avanzi primari, che privano la società di reddito.

Con questo programma, noi porteremo avanti mettendo in sicurezza il paese il recupero e la ricostruzione produttiva con:

• Aumento immediato di investimenti pubblici di almeno € 4 miliardi.
• Graduale inversione di tutte le ingiustizie del Memorandum.
• Graduale ripristino di stipendi e pensioni in modo da far aumentare i consumi e la domanda.
• Sostegno alle piccole e medie imprese, con incentivi per l’occupazione, e sovvenzione per il costo energetico del settore in cambio di occupazione e di clausole ambientali.
• Investimenti nella conoscenza, la ricerca, e la nuova tecnologia al fine di far tornare a casa giovani scienziati, che sono massicciamente emigrati negli ultimi anni.
• Ricostruzione dello stato sociale, il ripristino dello stato di diritto e la creazione di un regime meritocratico.

Siamo pronti a negoziare e stiamo lavorando per costruire le più ampie alleanze possibili in Europa.
L’attuale governo Samaras è di nuovo pronto ad accettare le decisioni dei creditori. L’unica alleanza che si preoccupa di costruire è con il governo tedesco.
Questa è la differenza tra di noi e questo è, alla fine, il dilemma:
Negoziazione europea di un governo di Syriza o accettazione dei termini dei creditori sulla Grecia da parte del governo Samaras.
Negoziazione o non-negoziazione.
Crescita o austerità. Syriza o Nuova Democrazia.

Ma cosa accadrà fino che la trattativa non sarà finita?

Con Syriza per un piano nazionale di ricostruzione per la società greca.
Noi ci assumiamo la responsabilità e, di conseguenza, l’impegno verso il popolo greco per un Piano di Ricostruzione Nazionale che sostituirà il Memorandum già nei nostri primi giorni al potere, prima e indipendentemente dal risultato della negoziazione.
Il Piano di Ricostruzione Nazionale si basa su quattro grandi pilastri per invertire la disintegrazione sociale ed economica, per la ricostruzione dell’economia e l’uscita dalla crisi.
I quattro pilastri del Piano di Ricostruzione Nazionale
1° : Affrontare la crisi umanitaria
2° : Riavviare l’economia e promuovere la giustizia fiscale
3° : Riconquistare l’occupazione
4° : Trasformare il sistema politico per rafforzare la democrazia
 
1° pilastro: Affrontare la crisi umanitaria
Costo totale stimato € 1.882 miliardi
Il nostro programma per affrontare immediatamente la crisi umanitaria, con un costo stimato circa di duemila miliardi, comprende una griglia completa di interventi di emergenza, in modo da alzare uno scudo di protezione per gli strati sociali più vulnerabili.
• Elettricità gratis per 300.000 famiglie attualmente sotto la soglia di povertà fino a 300 kWh al mese per famiglia; cioè, 3.600 kWh all’anno. Costo totale: € 59,4 milioni.
• Programma di sussidi pasto per 300.000 famiglie senza reddito. L’attuazione avverrà tramite un ente pubblico di coordinamento, in collaborazione con le autorità locali, la Chiesa e le organizzazioni di solidarietà. Costo totale: € 756 milioni.
• Programma di garanzia abitativa. L’obiettivo è la fornitura iniziale di 30.000 appartamenti (30, 50, e 70 m²), sovvenzionando affitto a € 3 per m². Costo totale: € 54 milioni.
• Restituzione del bonus di Natale, come 13 ͣ pensione, a 1.262.920 pensionati che hanno una pensione fino a € 700. Costo totale: € 543,06 milioni.
• Assistenza medica e farmaceutica gratuita per i disoccupati non assicurati. Costo totale: € 350 milioni.
• Tessera speciale di trasporto pubblico per il disoccupati di lunga durata e di coloro che sono sotto la soglia di povertà. Costo totale: € 120 milioni.
• Abrogazione del livellamento della imposta speciale di consumo sul gasolio da riscaldamento a quello per autotrazione. Portare il prezzo di partenza del combustibile per riscaldamento per le famiglie torna a € 0,90 al lt, invece degli attuali € 1,20 a lt. Previsto Benefit.

2° pilastro: Riavviare l’economia e promuovere la giustizia fiscale
Costo totale stimato: € 6,5 miliardi
Totale beneficio stimato: € 3 miliardi
Il secondo pilastro è incentrato sulle misure per riavviare l’economia. La priorità è data ad alleviare l’economia reale con la soppressione fiscale, sollevando i cittadini degli oneri finanziari, iniettando liquidità e migliorare la domanda.
La tassazione eccessiva sulla classe media e su quelli che non evadono fiscalmente ha intrappolato una grande parte di cittadini in una situazione che minaccia direttamente la loro condizione lavorativa, la loro proprietà privata, non importa quanto piccola e la loro stessa esistenza fisica, come dimostrato dal numero senza precedenti di suicidi.
• Estinzione di obbligazioni finanziarie ai fondi statali e di sicurezza sociale, in 84 rate.
Beneficio stimato: € 3 miliardi
Le entrate che ci aspettiamo di raccogliere su base annua (tra il 5% e il 15% del totale dovuto) saranno agevolate dalle seguenti misure:
1. L’immediata cessazione dell’azione penale, nonché del sequestro di conti bancari, della prima casa, di stipendi, ecc, e il rilascio del certificato di regolarità fiscale a tutti quelli inclusi nel processo di risoluzione.
2. Una sospensione di dodici mesi delle misure di perseguimento e di esecuzione nei confronti di debitori con un consolidato di reddito pari a zero, inclusi nel processo di risoluzione.
3. Abrogazione del trattamento anticostituzionale delle obbligazioni finanziarie in essere allo stato come reato in atto (in flagranza).
4. Abolizione della obbligatoria di acconto del 50% del debito in essere come prerequisito per avere un'udienza. La caparra sarà decisa da un giudice. Sarà circa il 10% -20%, a seconda delle condizioni finanziarie del debitore.
5. Abolizione immediata dell’attuale tassa unificata di proprietà (Enfia). Introduzione di una tassa sulle grandi proprietà.
Immediata correzione al ribasso dei tassi di zona delle proprietà per m².
Costo stimato: € 2 miliardi.
Tale tassa sarà progressiva, con una alta soglia esentasse. Con l’eccezione di case di lusso, non verrà applicata per la residenza primaria. Inoltre, non riguarderà la piccola e media proprietà.
• Restituzione della soglia di imposta sui redditi di € 12.000 annuali. Aumento del numero di aliquote di imposta per garantire una tassazione progressiva.
Costo stimato: € 1,5 miliardi.
• Riduzione del debito personale attraverso la ristrutturazione di prestiti ("prestiti rossi") in sofferenza da parte di individui e imprese.
Questa nuova legislazione di sollievo comprenderà: caso per caso la parziale cancellazione del debito contratto da persone che ora sono sotto la soglia di povertà, così come il principio generale di ristrutturazione del debito in essere, in modo che il suo rientro totale verso le banche, lo Stato ed i fondi di previdenza sociale non superi ⅓ del reddito di un debitore.
• Stiamo allestendo un ente pubblico di intermediazione per la gestione del debito privato, non come una "bad bank", ma come ente sia di gestione di qualsiasi pagamento in ritardo alle banche sia come di controllo delle banche per quanto riguarda l’attuazione delle transazioni concordate.
• Nei prossimi giorni, Syriza presenterà una proposta di legge per estendere all’infinito la sospensione dei pignoramenti sulla prima casa, per un valore inferiore a € 300.000. La proposta di legge prevede anche il divieto di vendere o trasferire i diritti su prestiti e ipoteche sulle terre per garantire i prestiti alle istituzioni finanziarie non bancarie o società.
• Istituzione di una banca pubblica di sviluppo e delle banche per usi speciali: capitale iniziale di € 1 miliardo.
• Ripristino del salario minimo di € 751 €

3° pilastro: Piano Nazionale per riconquistare l’occupazione
Costo stimato: € 3 miliardi
Un aumento netto di posti di lavoro di 300.000 occupati in tutti i settori dell’economia - privata, pubblica, sociale - dovrebbe essere l’effetto del nostro piano biennale per riguadagnare occupazione. Tale piano è indispensabile per assorbire i disoccupati di lunga durata, in particolare quelli con più di 55 anni, così come i giovani disoccupati, che sarebbero in gran parte ignorati dalla crescita economica. Il nostro piano permetterebbe di risparmiare fondi per estendere l’indennità di disoccupazione a beneficio di più persone.
• Restituzione del quadro istituzionale per la tutela dei diritti del lavoro che è stato demolito dai governi del Memorandum.
• Restituzione del cosiddetto "effetto-dopo" dei contratti collettivi; degli stessi contratti collettivi, così come dell’arbitrato.
• Abolizione di tutte le norme che consentono i licenziamenti ingiustificati e di massa, nonché dell’affitto dei dipendenti.
Costo zero
Programma di occupazione per i 300.000 nuovi posti di lavoro.
Stima dei costi del primo anno: € 3 miliardi

4° pilastro: Trasformare il sistema politico per rafforzare la democrazia
Costo totale stimato: € 0
Dal primo anno di governo di Syriza, intendiamo mettere in moto il processo di ricostruzione istituzionale e democratico dello Stato. Potenziamo le istituzioni della democrazia rappresentativa e si introducono nuove istituzioni di democrazia diretta.
1. Organizzazione regionale dello Stato. Miglioramento della trasparenza, della autonomia economica ed efficacia del funzionamento dei Comuni e delle Regioni. Autorizziamo le istituzioni di democrazia diretta e l’introduzione di nuove.
2. Rafforzamento della partecipazione democratica dei cittadini. Introduzione di nuove istituzioni, come ad esempio l’iniziativa legislativa popolare, veto delle persone e l’iniziativa popolare per indire un referendum.
3. Rafforzamento del Parlamento, riduzione dell’immunità parlamentare, e l’abrogazione del particolare regime giuridico della non-azione penale verso i parlamentari.
4. Regolamento del paesaggio radio/televisivo, con l’osservazione di tutti i presupposti di legge e aderendo a criteri di rigore finanziario, fiscale e sicurezza sociale. Ripristino della Ert (Public Radio e Televisione) su base zero.

Stima del costo del piano non negoziabile di misure immediate per ristrutturare la società.
Abbiamo calcolato il costo totale del programma immediato per affrontare la crisi umanitaria e il costo fiscale dell’eliminazione delle mostruose tassazioni.
Ciò sarà interamente coperto come segue:
1. Prima di tutto, le misure e le procedure di soluzione e liquidazione. Abbiamo in programma di raccogliere, come minimo, € 20 miliardi su un totale di € 68 miliardi di mora per un periodo di sette anni. Ciò porterebbe ad aggiungere circa € 3 miliardi nelle casse pubbliche nel primo anno.
2. In secondo luogo, con una decisa la lotta contro l’evasione fiscale e il contrabbando (ad esempio carburante e di sigarette), cosa che richiede determinazione e volontà politica di scontrarsi con interessi oligarchici.
3. Per quanto riguarda il capitale iniziale per una organizzazione pubblica di intermediazione e il costo della creazione di una banca pubblica di sviluppo e delle banche per usi speciali, per un totale di € 3 miliardi, saranno finanziate dal cosiddetto "cuscino di comodo" dai, circa € 11 miliardi del Fondo di Stabilità Finanziaria Ellenica destinato al sistema bancario.
4. Per quanto riguarda il costo totale del piano per riconquistare l’occupazione: esso ammonta a € 5 miliardi, € 3 miliardi dei quali sono i costi nel primo anno di attuazione. Durante questo primo anno, il costo sarà finanziato mediante: € 1 miliardo dal quadro di riferimento strategico nazionale 2007-2013 "progetti ponte"; € 1,5 miliardi dal suo equivalente 2014-2020 e € 500 milioni da altri strumenti europei destinati all’occupazione.
Inoltre, considerando l’enorme sforzo che sarà richiesto per ripristinare le pensioni, il nostro governo, invece di svendere proprietà pubbliche, trasferirà una parte di essi a fondi di previdenza sociale.
Queste sono il minimo di misure da adottare al fine di invertire le conseguenze catastrofiche del coinvolgimento del Settore Privato per Investimenti (PSI) sui fondi pensione e singoli obbligazionisti e ripristinare gradualmente le pensioni.

Previsione costo totale del Programma Salonicco: € 11.382 miliardi
Stima ricavi totali: € 12.000 miliardi.