Paura, sost. f.
Io sono andato per la prima volta a Parigi nel settembre del 1995. Quell'estate ci furono diversi attentati. Il 25 luglio esplose una bomba rudimentale su una vettura della ferrovia urbana Rer B, ferma alla stazione Saint-Michel: ci furono otto morti e undici feriti. L'11 agosto una bomba in avenue Friedland, vicino a place de l'Etoile, provocò diciassette feriti. Il 26 agosto un'altra bomba venne scoperta e disinnescata sul Tgv nei pressi di Cailloux-sur-Fontaines. Ricordo che i controlli erano continui: tutte le volte che entravi in un edificio, pubblico o privato, qualcuno guardava nella tua borsa, spesso in strada i poliziotti ti fermavano per controllare cosa avevi in tasca. C'era evidentemente paura e quella paura in qualche modo giustificava e legittimava quella continua intrusione nella tua libertà personale. Ricordo che i primi giorni ero visibilmente infastidito, per il metodo - a volte un po' brusco - e per un mio certo sospetto, in generale, verso le forze di polizia. Soprattutto quelle italiane, a dire il vero. Comunque, passata una settimana, ormai non ci facevo più caso, mi ero abituato a quei controlli costanti e credo arbitrari. La cosa mi preoccupò, perché mi resi conto quanto fosse facile, nonostante tutto, assuefarsi a un controllo che pure mi pareva eccessivo e che mi infastidiva. Pensai che forse anche i regimi del Novecento erano cominciati così, con questa assuefazione ai controlli, alla polizia per strada che ha titolo per fermarti, per chiederti chi sei, cosa fai, dove vai.
Parigi in questi giorni ha di nuovo paura. Non so se Hollande abbia scatenato gli stessi controlli di Chirac, allora da pochi mesi presidente. La guerra è una di quelle cose di cui si ha istintivamente paura, e tanto più di una guerra come questa, non dichiarata, senza regole, che può colpire anche te, anche qualcuno a cui vuoi bene, in ogni momento. Nel verbo paveo, da cui è derivata la parola italiana di chi oggi mi occupo, il Pianigiani riconosce una radice pat-, molto antica, che significa picchiare, scuotere, proprio perché la paura infonde una scossa nell'animo di ciascuno di noi.
Ovviamente i terroristi fanno leva su questa paura ancestrale. Gli attentatori forse credevano che il loro gesto suicida fosse finalizzato alla sola vendetta, alla punizione di quegli uomini che avevano osato rappresentare il Profeta, ma chi li ha mandati aveva - ed ha - certamente un altro obiettivo, ossia scatenare la paura nelle nostre città. Vuole che noi costruiamo nuove e più potenti mura, vuole che ci armiamo, vuole che guardiamo con sospetto qualunque persona non abbia la pelle uguale alla nostra. E in questo sta già avendo successo, perché è quello che adesso noi stiamo facendo.
Chi arma quei terroristi vuole impedire i rapporti tra i popoli, vuole che non ci mescoliamo, vuole tagliare ogni forma di comunicazione, di rapporto. Perché anche i terroristi hanno paura: hanno paura che milioni di persone comincino a chiedere che siano riconosciuti i loro diritti, di donne e di uomini, hanno paura che la religione diventi un qualcosa di meno opprimente, hanno paura che alla richiesta di pane si accompagni quella di democrazia, come è avvenuto nelle primavere arabe. Hanno paura di popoli che non hanno più paura.
Io naturalmente - come ciascuno di voi - ho paura dei terroristi, di chi li arma, di chi li guida, di chi sceglie i bersagli, ma ho paura anche dei nostri governi, ossia di quelli che in questi giorni si preparano a gestire - lucrando - sulla nostra paura. Al netto degli slogan urlati in queste ore, immagino non saranno i populisti, più o meno fascisti - dalla Le Pen a Farage, passando per l'innocuo Salvini - a godere elettoralmente di questa paura e a gestirla politicamente. Saranno invece quelli che si sono prontamente schierati nella prima fila della grande e bella manifestazione di Parigi, facendo finta di portare la loro ipocrita solidarietà a quegli anarchici di Charlie Hebdo. Saranno i governi del capitale - popolari o socialisti poco importa, ormai è tutta la stessa risma - a tenerci legati, a cercare di impedire ogni rinnovamento - figurarsi una rivoluzione - proprio in nome della paura. Mentre chi comanda davvero continuerà a guadagnare sull'instabilità, ridisegnando le cartine geografiche del Medio oriente e dell'Africa, facendo affari, sulla pelle di quei popoli, con i governi che finanziano i terroristi.
Come sapete, cent'anni fa scoppiò la prima guerra mondiale. Tra i motivi inconfessati e inconfessabili di quel tragico conflitto ci fu la paura delle classi allora dominanti per la rivoluzione, che era già scoppiata a Parigi, quarant'anni prima, e che sembrava allargarsi, in Germania, in Gran Bretagna, perfino in Italia. Allora la rivoluzione era pensabile e possibile, e naturalmente i ricchi e i privilegiati ne avevano paura. Poi la rivoluzione sarebbe scoppiata comunque, proprio a causa della guerra, ma in Russia, uno dei pochi paesi in cui la rivoluzione pareva non sarebbe scoppiata, perché troppo arretrata rispetto al resto dell'Europa; ma questa è un'altra storia, che ci porterebbe lontano, per quanto le conseguenze di quello scontro siano arrivate fino a pochi anni fa. La prima guerra mondiale fu, a suo modo, anche un momento della guerra di classe che i potenti e i ricchi, da sempre, combattono contro di noi. Ho l'impressione che anche questa strana "terza guerra mondiale" - come ormai ci stiamo abituando a chiamarla - sia un episodio di questo conflitto sotterraneo e cruento. Anche se la rivoluzione sembra, almeno qui da noi, impensabile e impossibile; ma il mondo è grande e soprattutto in altri paesi, significativamente in quei paesi arabi contro cui vogliono che noi ci schieriamo, ci sono generazioni di giovani che si affacciano alla storia e chiedono un futuro diverso. E' contro queste generazioni che sono armati i terroristi e i loro alleati del capitale.
Per questo non dobbiamo avere paura di quei popoli che subiscono questa guerra sotterranea, combattendola dalla nostra stessa parte, per questo non dobbiamo arrenderci alla paura che tentano di imporci i nostri governi. Per questo non dobbiamo partecipare alla costruzione di nuovi muri, per questo non dobbiamo pensare che Mohamed e Fatima siano nostri nemici. I partiti socialisti uscirono sconfitti dalla prima guerra mondiale, perché molti di loro parteciparono a quel conflitto, perché, sbagliando, credevano fosse ancora uno scontro tra stati e non tra classi e chi lo capì, come Rosa Luxemburg, e fu pacifista per tutto il conflitto, fu uccisa. Noi di sinistra non possiamo ripetere gli errori di cent'anni fa.
Per questo non dobbiamo avere paura. Non possiamo permettercelo.
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