Non so come voterò alle prossime elezioni; so che voterò, perché voglio votare e perché è importante farlo, tanto più in un momento in cui gli spazi di democrazia si vanno via via restringendo - in Italia, come nel resto dell'Europa - ma davvero non so per quale partito. Naturalmente non voterò a destra, né per quella lepenista né per quella "perbene"; non l'ho mai fatto e non lo farò mai. Non voterò per Grillo, perché il suo populismo è tanto lontano da me quanto lo è quello di destra. Vorrei votare a sinistra, e qui cominciano i problemi.
Vorrei votare per un partito o un movimento radicalmente alternativo, da sinistra, alla cosiddetta "agenda Monti". Sono convinto che accettando i vincoli imposti da questa "agenda" non sia neppure possibile impostare una coerente politica di promozione e di sostegno dell'occupazione e del reddito per la maggioranza della popolazione italiana. Avere accettato il vincolo del pareggio di bilancio e condividere le scelte politiche ed economiche elaborate dalle autorità finanziarie internazionali rende impraticabile delle politiche di equità e di redistribuzione del reddito, di mantenimento della progressività contributiva, di lotta al precariato, di introduzione del reddito di cittadinanza, di difesa e potenziamento del welfare, a partire dalla scuola e dalle università pubbliche, di sostegno della ricerca e della cultura. E sappiamo che in "agenda" non c'è e non ci sarà un programma di conversione ecologica dei cicli produttivi, per contribuire al contenimento sempre più urgente dei mutamenti climatici e creare una base produttiva e occupazionale sostenibile in mercati e contesti ambientali che presto saranno radicalmente diversi da quelli a cui siamo abituati. E non ci sarà neppure una politica estera che veda come propri cardini l'estensione dei diritti - a partire da quelli delle donne - e, attraverso una nuova politica ambientale, il radicale cambiamento di una struttura economica, che è basata esssenzialmente sullo sfruttamento di quei popoli. Portare avanti in maniera coerente questi progetti è impossibile senza mettere radicalmente in discussione non l'euro, non l'Unione europea - che anzi andrebbe consolidata - ma quel quadro di vincoli che, con il pareggio in bilancio e il fiscal compact, imporrà all'Italia di sottrarre alle entrate fiscali 150 miliardi ogni anno per pagare gli interessi sul debito e le rate ventennali della sua riduzione.
Visto che questo è quello che vorrei, capite che diventa per me francamente difficile votare per il Pd, nonostante la stima personale che ho per Bersani e nonostante l'amicizia con tante persone che militano con onestà, coscienza e impegno in quel partito. Nelle liste di candidate e candidati a queste primarie ho visto tante persone che conosco e che so che faranno bene; mi auguro che vengano eletti, nelle primarie, come nelle "secondarie". Il giudizio sul partito però rimane quello che ho espresso molte volte e ancora nell'ultima "considerazione" di qualche giorno fa: nel Pd non c'è - e non ci vuole essere - quella radicalità di cui secondo me ora c'è bisogno. Il Pd al governo, anche se non fosse "ostaggio" dei voti montiani - cosa di cui fortemente dubito - non toglierebbe né il pareggio di bilancio dalla Costituzione né tornerebbe indietro sulla decisione di adottare il fiscal compact. Comunque non posso ancora escludere di votare per Bersani. Se nelle prossime settimane crescerà - come temo - il consenso verso B. e ci fosse il pericolo reale di un risultato significativo di questo schieramento eversivo non potrei non votare per impedire in ogni modo questo esito.
Nelle scorse settimane ho guardato con interesse a quello che si stava muovendo a sinistra del Pd e di Sel. Ho sottoscritto il manifesto di Alba, ho cercato di seguirne il dibattito, ho firmato l'appello Cambiare si può. Non sono riuscito a partecipare direttamente alle iniziative, per alcune difficoltà oggettive - gli spostamenti, le spese - ma soprattutto per una mia difficoltà a ricominciare con intensità la vita politica, dopo averla fatta per tanti anni, con grandi soddisfazioni e qualche delusione. Nel mio piccolo - come le formiche di antica memoria - ho questo blog. Al di là di queste note personali, mi pare che l'esito di quel travaglio, accelerato nella fase finale in maniera forse troppo brusca dalle dimissioni di Monti, ma comunque allungato nella parte iniziale dalla nostra tendenza "sinistra" a invilupparci nel dibattito, sia stato molto al di sotto delle aspettative. Mi piace il nome "Rivoluzione civile", mi piace molto che nel simbolo ci sia stilizzato il Quarto stato di Pellizza da Volpedo: stuzzica il mio animo notoriamente novecentesco. Non mi piace per niente, ma proprio per niente, il nome di Antonio Ingroia nel simbolo. Questo è uno di quei casi in cui la forma è sostanza. Conosco poco Ingroia, non so se è il miglior candidato possibile per questo nuovo schieramento, personalmente penso che sarebbe meglio che un magistrato che intende fare politica lasci definitivamente la magistratura e penso anche che sarebbe necessario prevedere un qualche, congruo, tempo di stacco tra le due attività. Non mi è particolarmente piaciuto questo tira e molla: vado in Guatamela, torno, mi candido, non mi candido, mi candido. Capisco però che Ingroia è un personaggio noto, uno che porta voti, ed ero comunque disposto a votarlo; come diceva Deng Xiaoping: "non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi". La sua candidatura risolveva altri problemi che si sarebbero posti con candidati troppo connotati su questo o quel partito o davvero troppo poco noti, come quasi tutti i "capi" di Alba. Ma di qui a egemonizzare questo movimento in maniera così netta ce ne corre. Di liste personali ormai ne abbiamo avute e ne abbiamo troppe, è ora di cambiare in maniera netta questo modo di fare politica. Vedo che per una parte di quelli che hanno firmato l'appello uno dei problemi è la presenza nelle liste dei segretari dei partiti che hanno aderito alla costituzione di questa lista. Sinceramente per me questa non è una questione dirimente: quei partiti, pur con le loro debolezze, sono comunque necessari al movimento, hanno rinunciato al loro simbolo, è naturale che abbiamo bisogno di una qualche forma di visibilità. Semmai una questione dirimente è la presenza dell'Italia dei valori e di Antonio Di Pietro. Io, con tutta la mia buona volontà, non sono mai riuscito a considerare - e non considero tuttora - Di Pietro come una persona di sinistra. Basti sentire cosa dice a proposito della questione delle carceri: su questo la sua posizione è assolutamente assimilabile a uno di destra. Di Pietro usa strumentalmente questioni di sinistra, come il referendum sull'articolo 18, per avere visibilità; rischiando seriamente a questo giro di uscire dal parlamento, pensa di utilizzare questa nuova lista come un taxi. Ha fatto qualcosa del genere cinque anni fa con il Pd di Veltroni. Stavolta cerchi un altro taxi; io non voto Pd per non votare Bindi, Letta, Marini e Fioroni, sarebbe un paradosso che votassi una lista in cui ci sia Di Pietro, che è culturalmente e politicamente più a destra di questi. Mi pare che la lista Ingroia, soprattutto se imbarcherà Di Pietro, non uscirà dalla contraddizione in cui ci siamo dibattuti in questi anni, per cui andava bene tutto quello che strepitava contro B., e più forte strepitava meglio andava. Avendo firmato sia il manifesto per la costituzione di Alba sia l'appello Cambiare si può, mi è stato chiesto di votare a un referendum on line per decidere se questo gruppo deve entrare o meno nella nascente lista Ingroia. Io conseguentemente alle cose che ho scritto adesso, ho appena votato no. Naturalmente, visto che i tempi stringono, non ci sarà tempo per costruire un'altra cosa e quindi in campo, a sinistra del Pd, rimarrà soltanto questa nuova lista. Non mi pare un grande risultato per la sinistra radicale italiana.
domenica 30 dicembre 2012
sabato 29 dicembre 2012
"Dopo aver fatto..." di Charles Reznikoff
Dopo aver fatto tutto il giorno il lavoro con cui mi guadagnavo da vivere,
ero stanco. Ora il mio lavoro ha perso un altro giorno,
pensavo, ma iniziavo lentamente
e lentamente la mia forza tornava.
Certamente la marea viene due volte al giorno.
martedì 25 dicembre 2012
Storie (IX). "Il tallone di Achille..."
Strepsiade sarebbe arrivato a Tebe il giorno dopo e ancora non sapeva come avrebbe ucciso Achille piè veloce. L'aedo che aveva cantato la storia dell'ira di Achille - Strepsiade lo aveva conosciuto, vecchissimo e cieco, e aveva imparato da lui quei bellissimi versi - si era fermato al momento della morte di Ettore, facendo comunque capire che a quel punto sarebbe inevitabilmente arrivata la morte per il figlio di Teti. A sua volta l'aedo che aveva raccontato la presa di Troia - quello che aveva inventato la storia del cavallo - presupponeva la morte di Achille, tanto che tra i combattenti di quella notte fatale aveva inserito Neottolemo, il figlio dell'eroe. Quindi Achille era morto prima della caduta di Troia, ma non si sapeva come. Gli aedi della Tessaglia cercavano di far passare la versione secondo cui Achille sarebbe stato ucciso da una folgore di Zeus; il piè veloce era l'eroe della loro terra ed era naturale che vantassero per lui un uccisore divino. A Strepsiade questa storia non piaceva, la considerava troppo banale: un eroe invincibile poteva essere ucciso soltanto dal fuoco, ma quell'espediente lo avevano già usato con Eracle. Comunque sia, Strepasiade era stato a Tebe un anno prima e aveva promesso che la prossima volta avrebbe cantato la morte di Achille, ma si stava avvicinando alla città di Cadmo e non aveva idea su come risolvere il problema.
Prima o poi - rifletteva Strepsiade, mentre camminava da solo nel bosco - dovremo riunirci tutti noi aedi e definire una volta per sempre questi punti fondamentali. Certo ogni aedo poteva cambiare l'altezza del cavallo o il catalogo delle navi, tanto il pubblico non si ricorda mai i numeri. Non è necessario neppure definire esattamente l'ordine dei viaggi di Odisseo: al pubblico importa poco se ha incontrato prima Polifemo o Circe. Ma ci sono cose su cui bisogna trovare un accordo, ad esempio la morte di Achille.
Strepsiade pensava a queste cose, quando sentì una fitta improvvisa al tallone sinistro, si piegò e fece cadere la cetra. Mentre si toccava il tallone dolorante, all'improvviso uscì dai cespugli un ragazzo vestito di stracci: fu come un fulmine, afferrò la cetra caduta e cominciò a fuggire. L'aedo, superata la sorpresa e capita la situazione, si mise a correre inseguendo il giovane ladro, che evidentemente non si aspettava quella reazione. Il ragazzo si voltò e così inciampò in un grosso tronco; Strepsiade ne approfittò e riuscì a prenderlo. "Ti prego, lasciami. Riprenditi questa e lasciami andare". L'aedo riprese la sua cetra, controllò che non si fosse rotta e si sedette ansimando sul grosso tronco. Il ragazzo stava per scappare, ma Strepsiade gli chiese di fermarsi e poi gli domandò: "Ragazzo, cosa mi hai fatto al tallone?". "Ti ho colpito con la mia cerbottana, ma tu come sei riuscito a rialzarti e a correre? Di solito quelli che colpisco cominciano a zoppicare e così io riesco a fuggire". "Ragazzo, sono molti anni ormai che cammino per la strade della Grecia, e sempre scalzo, così i miei piedi sono diventati duri e callosi", e mentre diceva così si toccava il tallone colpito. "E tu, ragazzo, vivi così, derubando i viandanti?". Il giovane abbassò lo sguardo e sembrò in quel momento ancora più giovane. L'aedo gli disse "Tieni questo pezzo di pane". Il ragazzo si sedette anche lui sul tronco e cominciò a mangiare, in silenzio; Strepsiade rimase in silenzio, continuando a toccarsi il tallone.
"Ragazzo, sai chi è Achille piè veloce?". "Certo, un giorno un cantastorie è venuto nel villaggio dove vivevo e ha raccontato che ha ucciso Ettore sotto le mura di Troia e che ne ha trascinato il cadavere, legato al suo carro, straziandolo. Ma poi il vecchio Priamo è andato da solo nell'accampamento degli achei e l'ha supplicato di rendergli il corpo del figlio e il piè veloce ne ha avuto pietà, vedendo in lui suo padre". "E sai come è morto Achille?". "No, questo non l'ha raccontato". "Già, non lo raccontano mai. Te lo dirò io. Un giorno, mentre gli eserciti si scontravano come al solito davanti alle porte Scee, Paride prese il suo arcò, si appostò e mirò al tallone sinistro di Achille, perché quello era l'unico punto vulnerabile del suo corpo. La madre Teti infatti lo tenne proprio per il tallone sinistro quando lo immerse nello Stige per renderlo invulnerabile ai colpi dei nemici.". Il ragazzo lo guardò stupito: "Lo hai inventato adesso?". Strepsiade sorrise: "Sì, grazie a te".
Poi continuò: "La tua memoria è buona quanto la tua mira?". "Sì". "Bene, allora ti insegnerò le storie di Achille e di Odisseo, diventerai un aedo. Verrai con me, anzi mi accompagnerai". Strepsiade prese dal suo sacco un pezzo di stoffa e si bendò. "Vedi ragazzo, un aedo cieco guadagna sempre di più, il pubblico pensa che sia più bravo. E adesso dobbiamo guadagnare di più, visto che siamo in due: e questo sarà il nostro segreto. Avanti, conducimi a Tebe, mentre ti racconto ancora come Paride caro agli dei uccise Achille piè veloce. A proposito, ragazzo, qual è il tuo nome?". "Al villaggio mi chiamavano Omero".
Prima o poi - rifletteva Strepsiade, mentre camminava da solo nel bosco - dovremo riunirci tutti noi aedi e definire una volta per sempre questi punti fondamentali. Certo ogni aedo poteva cambiare l'altezza del cavallo o il catalogo delle navi, tanto il pubblico non si ricorda mai i numeri. Non è necessario neppure definire esattamente l'ordine dei viaggi di Odisseo: al pubblico importa poco se ha incontrato prima Polifemo o Circe. Ma ci sono cose su cui bisogna trovare un accordo, ad esempio la morte di Achille.
Strepsiade pensava a queste cose, quando sentì una fitta improvvisa al tallone sinistro, si piegò e fece cadere la cetra. Mentre si toccava il tallone dolorante, all'improvviso uscì dai cespugli un ragazzo vestito di stracci: fu come un fulmine, afferrò la cetra caduta e cominciò a fuggire. L'aedo, superata la sorpresa e capita la situazione, si mise a correre inseguendo il giovane ladro, che evidentemente non si aspettava quella reazione. Il ragazzo si voltò e così inciampò in un grosso tronco; Strepsiade ne approfittò e riuscì a prenderlo. "Ti prego, lasciami. Riprenditi questa e lasciami andare". L'aedo riprese la sua cetra, controllò che non si fosse rotta e si sedette ansimando sul grosso tronco. Il ragazzo stava per scappare, ma Strepsiade gli chiese di fermarsi e poi gli domandò: "Ragazzo, cosa mi hai fatto al tallone?". "Ti ho colpito con la mia cerbottana, ma tu come sei riuscito a rialzarti e a correre? Di solito quelli che colpisco cominciano a zoppicare e così io riesco a fuggire". "Ragazzo, sono molti anni ormai che cammino per la strade della Grecia, e sempre scalzo, così i miei piedi sono diventati duri e callosi", e mentre diceva così si toccava il tallone colpito. "E tu, ragazzo, vivi così, derubando i viandanti?". Il giovane abbassò lo sguardo e sembrò in quel momento ancora più giovane. L'aedo gli disse "Tieni questo pezzo di pane". Il ragazzo si sedette anche lui sul tronco e cominciò a mangiare, in silenzio; Strepsiade rimase in silenzio, continuando a toccarsi il tallone.
"Ragazzo, sai chi è Achille piè veloce?". "Certo, un giorno un cantastorie è venuto nel villaggio dove vivevo e ha raccontato che ha ucciso Ettore sotto le mura di Troia e che ne ha trascinato il cadavere, legato al suo carro, straziandolo. Ma poi il vecchio Priamo è andato da solo nell'accampamento degli achei e l'ha supplicato di rendergli il corpo del figlio e il piè veloce ne ha avuto pietà, vedendo in lui suo padre". "E sai come è morto Achille?". "No, questo non l'ha raccontato". "Già, non lo raccontano mai. Te lo dirò io. Un giorno, mentre gli eserciti si scontravano come al solito davanti alle porte Scee, Paride prese il suo arcò, si appostò e mirò al tallone sinistro di Achille, perché quello era l'unico punto vulnerabile del suo corpo. La madre Teti infatti lo tenne proprio per il tallone sinistro quando lo immerse nello Stige per renderlo invulnerabile ai colpi dei nemici.". Il ragazzo lo guardò stupito: "Lo hai inventato adesso?". Strepsiade sorrise: "Sì, grazie a te".
Poi continuò: "La tua memoria è buona quanto la tua mira?". "Sì". "Bene, allora ti insegnerò le storie di Achille e di Odisseo, diventerai un aedo. Verrai con me, anzi mi accompagnerai". Strepsiade prese dal suo sacco un pezzo di stoffa e si bendò. "Vedi ragazzo, un aedo cieco guadagna sempre di più, il pubblico pensa che sia più bravo. E adesso dobbiamo guadagnare di più, visto che siamo in due: e questo sarà il nostro segreto. Avanti, conducimi a Tebe, mentre ti racconto ancora come Paride caro agli dei uccise Achille piè veloce. A proposito, ragazzo, qual è il tuo nome?". "Al villaggio mi chiamavano Omero".
sabato 22 dicembre 2012
dal Verbale della seduta dell'Assemblea Costituente di lunedì 22 dicembre 1947
Presidente
L'ordine del giorno reca: Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana. Ha facoltà di parlare l'onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.
Ruini
Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell'Assemblea Costituente può dirsi adempiuto. Ecco il testo definitivo della Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell'Assemblea.
Era un compito difficile e faticoso. Il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mitica unità; i suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; ed oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine. Questo io devo dichiarare, a suo nome, all'Assemblea e ringraziarla di aver sanzionato l'opera nostra.
Questa è un'ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d'Italia, che l'Italia unita si dà una libera Costituzione. Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.
E ciò avviene in una congiuntura non ancora definita, in un processo di trasformazione ancora in cammino, in cui alcuni istituti vecchi non sono ancor morti, ed altri nuovi non sono ancora interamente vivi. Esistono due crepuscoli tra il giorno e la notte: questo che ora scorgiamo sarà per la nostra Italia crepuscolo di aurora e non di tramonto.
Dobbiamo darci la nostra Costituzione in una situazione tragica; dopo la disfatta; dopo l'onta di un regime funesto. Dobbiamo cercare di costruire qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale. Ebbene, vi siamo riusciti. L'Italia darà un'altra prova di ciò che è stato il segno della sua storia e la rende inconfondibile con le altre nazioni: l'Italia è la sola che abbia saputo e saprà, risorgendo, rinnovare e vivere fasi successive ed altissime di nuove civiltà.
Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No, abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell'esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi - ed i nostri figli - rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.
Critiche sono venute anche da questo banco; ma non ci dobbiamo abbandonare ad un abito di auto-denigrazione, che sembra talvolta un tristo retaggio italiano. Nessuna Costituzione è perfetta. Tutte le volte che se n'è fatta una, sono risuonati lamenti e deprecazioni fra i costituenti. Ciò è avvenuto, anche subito dopo che a Filadelfia fu votata, un secolo e mezzo fa, la Costituzione nord-americana; che ora è giudicata la migliore di tutte!
Un giudizio pacato sui pregi e sui difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e più ancora esuberanze; vi sono incertezze in dati punti; ma mi giungono ormai voci di grandi competenti dall'estero, e riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell'attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo anche rilevare alcuni risultati acquisiti.
I «principi fondamentali» che sono sanciti nell'introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principi», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell'affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.
Nella enunciazione dei diritti e doveri del cittadini, se la Francia, che ha una tradizione superba di tali dichiarazioni, ha potuto rimettersi ad esse, noi, che non l'abbiamo, siamo tenuti a formulare noi, per la prima volta, questi diritti e doveri. Lo abbiamo fatto non senza vantaggi e passi avanti; e qui le esigenze etico-politiche hanno ceduto il posto alla tecnica più precisa e concreta. Nessuna altra Carta costituzionale contiene un sistema così completo e definì Lo di garanzie di libertà, ed alcuni istituti non sono privi di novità; mi hanno segnalato appunto la nullità delle misure di polizia non comunicate e convalidate subito dalla Magistratura, ed il diritto di associazione, inteso nel senso che chi ha diritto di svolgere singolarmente un'attività può farlo anche in forma costituzionale. Per il suo tecnicismo giuridico - costituzionale (e per la struttura e l'architettonica dell'intera Costituzione) la nostra Carta è una cosa seria.
Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata - ormai da tempo - la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.
La seconda parte della Costituzione - ordinamento della Repubblica - ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell'edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri paesi, continuità di tradizione. Avevamo tutto da fare. Non abbiamo risoluto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali. Ad esempio, per la composizione delle due Camere ed il loro sistema elettorale, rimesso del resto alla legge ordinaria. Ma in complesso si è seguita una linea media ed equidistante dai due estremi. Da un lato, dalle suggestioni, talvolta inconsapevoli, in cui cadono certuni che hanno sempre davanti agli occhi i congegni del passato, e non si sono ancora persuasi che il potere del re è per sempre caduto. Dallo opposto lato, dalle visioni degli estremisti che idealizzano un governo di assemblea e di convenzione, di cui tutti gli altri poteri sarebbero semplici commessi ed appendici. Ne ho parlato qui più volte; anche oggi confermo che le soluzioni adottate erano, dopotutto, le sole possibili, in attesa che l'esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti. Certo è che - pur non entrando nella via, almeno parziale, di alcuni poteri riservati al Capo dello Stato senza correlativa responsabilità ministeriale - il Presidente della Repubblica italiana è tutt'altro che un fantoccio. Certo è che, mantenendo la indeclinabile condizione della fiducia delle Camere, si è cercato di evitare le sorprese e la soverchia instabilità dei governi. E certo è - per ritornare alla parte tecnica - che più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.
Per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l'obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.
La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell'ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l'adattamento della esperienza, consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.
Perdonatemi se ho creduto necessario rivendicare non solo le ombre, ma le luci della Costituzione. Si è fatto il possibile: nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa; per nessuna si è fatto con maggior completezza il punto, e si è condotto quasi un esame di coscienza di tutti i problemi più gravi del momento. È un eccesso ? Sì; ma non è senza significato che un popolo, nell'accingersi ad un rinnovamento, abbia voluto compiere quest'esame di coscienza.
La formulazione della nostra Costituzione non poteva che svolgersi con metodi democratici. Noi abbiamo assistito - foggiandolo noi stessi- a ciò che è un processo di formazione democratica e cioè collettiva. Una Costituzione non può più essere l'opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l'unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri. Che cinquecentocinquanta individui prendano parte (e tutti credono di aver eguale competenza) nella formulazione degli articoli di una Costituzione, ha fortissimi inconvenienti; non si fa così per i codici; ma come si fa a delegare la stesura della Costituzione? Con molta pazienza la tecnica riesce a farsi comunque strada; ed a rimediare, se non a tutti, a molti inconvenienti. Ciò avverrà sempre più, con l'autolimitazione volontaria e la maggior educazione politica di domani. Intanto vi è anche un vantaggio: che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l'ho discussa e vi ho messo qualcosa.
Onorevoli colleghi, l'esigenza dell'opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l'inevitabile, ed è la forza stessa della democrazia. E vi è un'altra cosa inevitabile, una conseguenza di questa stessa esigenza: la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo - forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale - si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.
Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana.
(Vivissimi, generali applausi)
Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell'Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale.
(L'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi, generali, prolungati applausi - Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l'Inno di Mameli, ripreso dall'Assemblea e dal pubblico delle tribune - Rinnovati, vivissimi applausi)
Presidente
Do atto all'onorevole Ruini della consegna del testo definitivo della Costituzione, al cui perfezionamento di forma e di sostanza egli ha dato opera diuturna ed appassionata fino, possiamo ben dirlo, a poche ore fa. Ancora stamane noi lo abbiamo udito mentre forniva a noi tutti gli ultimi chiarimenti che ci erano necessari per metterci in condizioni di procedere ora al voto definitivo.
Credo che non ci fossimo resi conto tutti, in un primo momento, della gravità e dell'importanza del compito che avevamo affidato al Presidente della Commissione dei Settantancinque. È certo che molti di noi forse ancora non conoscono la somma di fatiche che il suo assolvimento ha imposto all'onorevole Ruini.
Voglio esprimere la mia riconoscenza personale all'onorevole Ruini, senza la cui valida collaborazione io stesso non avrei potuto rispondere alla fiducia riposta in me dall'Assemblea. E credo che se esprimo all'onorevole Ruini anche il ringraziamento dell'intera Assemblea, questa darà alle mie parole plauso e consenso.
(Vivissimi generali applausi).
Indico la votazione a scrutinio segreto sulla Costituzione della Repubblica italiana.
Si procederà alla votazione a scrutinio segreto con appello nominale. Pertanto ogni singolo deputato, il cui nome sarà chiamato, verrà a deporre nell'urna il suo voto.
Si faccia la chiama per ordine alfabetico, cominciando dalla lettera A.
Molinelli fa la chiama.
(Segue la votazione - Quando il Presidente Terracini si reca a votare l'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi, prolungati, generali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa)
[...]
Presidente
Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto. Invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.
Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto:
Presenti e votanti ... 515
Maggioranza ... 258
Voti favorevoli ... 453
Voti contrari ... 62
(L'Assemblea approva - L'Assemblea si leva in piedi - Vivissimi, generali, prolungali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa - Si grida: Viva la Repubblica! - Nuovi, prolungati applausi)
L'ordine del giorno reca: Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana. Ha facoltà di parlare l'onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.
Ruini
Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell'Assemblea Costituente può dirsi adempiuto. Ecco il testo definitivo della Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell'Assemblea.
Era un compito difficile e faticoso. Il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mitica unità; i suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; ed oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine. Questo io devo dichiarare, a suo nome, all'Assemblea e ringraziarla di aver sanzionato l'opera nostra.
Questa è un'ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d'Italia, che l'Italia unita si dà una libera Costituzione. Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.
E ciò avviene in una congiuntura non ancora definita, in un processo di trasformazione ancora in cammino, in cui alcuni istituti vecchi non sono ancor morti, ed altri nuovi non sono ancora interamente vivi. Esistono due crepuscoli tra il giorno e la notte: questo che ora scorgiamo sarà per la nostra Italia crepuscolo di aurora e non di tramonto.
Dobbiamo darci la nostra Costituzione in una situazione tragica; dopo la disfatta; dopo l'onta di un regime funesto. Dobbiamo cercare di costruire qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale. Ebbene, vi siamo riusciti. L'Italia darà un'altra prova di ciò che è stato il segno della sua storia e la rende inconfondibile con le altre nazioni: l'Italia è la sola che abbia saputo e saprà, risorgendo, rinnovare e vivere fasi successive ed altissime di nuove civiltà.
Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No, abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell'esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi - ed i nostri figli - rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.
Critiche sono venute anche da questo banco; ma non ci dobbiamo abbandonare ad un abito di auto-denigrazione, che sembra talvolta un tristo retaggio italiano. Nessuna Costituzione è perfetta. Tutte le volte che se n'è fatta una, sono risuonati lamenti e deprecazioni fra i costituenti. Ciò è avvenuto, anche subito dopo che a Filadelfia fu votata, un secolo e mezzo fa, la Costituzione nord-americana; che ora è giudicata la migliore di tutte!
Un giudizio pacato sui pregi e sui difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e più ancora esuberanze; vi sono incertezze in dati punti; ma mi giungono ormai voci di grandi competenti dall'estero, e riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell'attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo anche rilevare alcuni risultati acquisiti.
I «principi fondamentali» che sono sanciti nell'introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principi», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell'affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.
Nella enunciazione dei diritti e doveri del cittadini, se la Francia, che ha una tradizione superba di tali dichiarazioni, ha potuto rimettersi ad esse, noi, che non l'abbiamo, siamo tenuti a formulare noi, per la prima volta, questi diritti e doveri. Lo abbiamo fatto non senza vantaggi e passi avanti; e qui le esigenze etico-politiche hanno ceduto il posto alla tecnica più precisa e concreta. Nessuna altra Carta costituzionale contiene un sistema così completo e definì Lo di garanzie di libertà, ed alcuni istituti non sono privi di novità; mi hanno segnalato appunto la nullità delle misure di polizia non comunicate e convalidate subito dalla Magistratura, ed il diritto di associazione, inteso nel senso che chi ha diritto di svolgere singolarmente un'attività può farlo anche in forma costituzionale. Per il suo tecnicismo giuridico - costituzionale (e per la struttura e l'architettonica dell'intera Costituzione) la nostra Carta è una cosa seria.
Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata - ormai da tempo - la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.
La seconda parte della Costituzione - ordinamento della Repubblica - ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell'edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri paesi, continuità di tradizione. Avevamo tutto da fare. Non abbiamo risoluto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali. Ad esempio, per la composizione delle due Camere ed il loro sistema elettorale, rimesso del resto alla legge ordinaria. Ma in complesso si è seguita una linea media ed equidistante dai due estremi. Da un lato, dalle suggestioni, talvolta inconsapevoli, in cui cadono certuni che hanno sempre davanti agli occhi i congegni del passato, e non si sono ancora persuasi che il potere del re è per sempre caduto. Dallo opposto lato, dalle visioni degli estremisti che idealizzano un governo di assemblea e di convenzione, di cui tutti gli altri poteri sarebbero semplici commessi ed appendici. Ne ho parlato qui più volte; anche oggi confermo che le soluzioni adottate erano, dopotutto, le sole possibili, in attesa che l'esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti. Certo è che - pur non entrando nella via, almeno parziale, di alcuni poteri riservati al Capo dello Stato senza correlativa responsabilità ministeriale - il Presidente della Repubblica italiana è tutt'altro che un fantoccio. Certo è che, mantenendo la indeclinabile condizione della fiducia delle Camere, si è cercato di evitare le sorprese e la soverchia instabilità dei governi. E certo è - per ritornare alla parte tecnica - che più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.
Per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l'obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.
La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell'ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l'adattamento della esperienza, consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.
Perdonatemi se ho creduto necessario rivendicare non solo le ombre, ma le luci della Costituzione. Si è fatto il possibile: nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa; per nessuna si è fatto con maggior completezza il punto, e si è condotto quasi un esame di coscienza di tutti i problemi più gravi del momento. È un eccesso ? Sì; ma non è senza significato che un popolo, nell'accingersi ad un rinnovamento, abbia voluto compiere quest'esame di coscienza.
La formulazione della nostra Costituzione non poteva che svolgersi con metodi democratici. Noi abbiamo assistito - foggiandolo noi stessi- a ciò che è un processo di formazione democratica e cioè collettiva. Una Costituzione non può più essere l'opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l'unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri. Che cinquecentocinquanta individui prendano parte (e tutti credono di aver eguale competenza) nella formulazione degli articoli di una Costituzione, ha fortissimi inconvenienti; non si fa così per i codici; ma come si fa a delegare la stesura della Costituzione? Con molta pazienza la tecnica riesce a farsi comunque strada; ed a rimediare, se non a tutti, a molti inconvenienti. Ciò avverrà sempre più, con l'autolimitazione volontaria e la maggior educazione politica di domani. Intanto vi è anche un vantaggio: che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l'ho discussa e vi ho messo qualcosa.
Onorevoli colleghi, l'esigenza dell'opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l'inevitabile, ed è la forza stessa della democrazia. E vi è un'altra cosa inevitabile, una conseguenza di questa stessa esigenza: la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo - forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale - si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.
Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana.
(Vivissimi, generali applausi)
Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell'Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale.
(L'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi, generali, prolungati applausi - Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l'Inno di Mameli, ripreso dall'Assemblea e dal pubblico delle tribune - Rinnovati, vivissimi applausi)
Presidente
Do atto all'onorevole Ruini della consegna del testo definitivo della Costituzione, al cui perfezionamento di forma e di sostanza egli ha dato opera diuturna ed appassionata fino, possiamo ben dirlo, a poche ore fa. Ancora stamane noi lo abbiamo udito mentre forniva a noi tutti gli ultimi chiarimenti che ci erano necessari per metterci in condizioni di procedere ora al voto definitivo.
Credo che non ci fossimo resi conto tutti, in un primo momento, della gravità e dell'importanza del compito che avevamo affidato al Presidente della Commissione dei Settantancinque. È certo che molti di noi forse ancora non conoscono la somma di fatiche che il suo assolvimento ha imposto all'onorevole Ruini.
Voglio esprimere la mia riconoscenza personale all'onorevole Ruini, senza la cui valida collaborazione io stesso non avrei potuto rispondere alla fiducia riposta in me dall'Assemblea. E credo che se esprimo all'onorevole Ruini anche il ringraziamento dell'intera Assemblea, questa darà alle mie parole plauso e consenso.
(Vivissimi generali applausi).
Indico la votazione a scrutinio segreto sulla Costituzione della Repubblica italiana.
Si procederà alla votazione a scrutinio segreto con appello nominale. Pertanto ogni singolo deputato, il cui nome sarà chiamato, verrà a deporre nell'urna il suo voto.
Si faccia la chiama per ordine alfabetico, cominciando dalla lettera A.
Molinelli fa la chiama.
(Segue la votazione - Quando il Presidente Terracini si reca a votare l'Assemblea sorge in piedi - Vivissimi, prolungati, generali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa)
[...]
Presidente
Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto. Invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.
Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto:
Presenti e votanti ... 515
Maggioranza ... 258
Voti favorevoli ... 453
Voti contrari ... 62
(L'Assemblea approva - L'Assemblea si leva in piedi - Vivissimi, generali, prolungali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa - Si grida: Viva la Repubblica! - Nuovi, prolungati applausi)
giovedì 20 dicembre 2012
Considerazioni libere (327): a proposito di destra e sinistra...
Indubbiamente questi dodici mesi non sono passati invano: la politica in Italia è cambiata in maniera profonda dal novembre scorso, ossia da quando è nato il governo Monti. Certamente vedere ogni momento e su ogni canale televisivo la maschera grottesca di B. sembra riportarci indietro di quasi vent'anni e offre spunti inesauribili ai comici; l'altra sera per Benigni è stato fin troppo facile ironizzare sull'ennesima discesa in campo di B. e sulla ripetizione ossessiva dei suoi più collaudati "cavalli di battaglia", come fanno tutti i vecchi artisti in disarmo. Comunque al di là di queste note di colore, il governo tecnico segnerà uno spartiacque nella storia d'Italia di questi anni. Per la destra come per la sinistra.
In questi ultimi vent'anni la destra italiana, la destra vera - quella del potere economico e del mantenimento dei privilegi, quella classe fatta di industriali e di grandi burocrati, di banchieri e di alti prelati, di agrari e di rentiers, insomma di conservatori e di ricchi di ogni sorta - ha sostanzialmente delegato la propria rappresentanza politica a B. e ai suoi alleati - leghisti, post-fascisti, centristi di varia natura - ossia a un populismo fascistoide, maschilista e clericale, antieuropeo e individualista, che è riuscito, nel bene e nel male, a rappresentare gli umori profondi, e spesso non dichiarati, di una parte ampia del nostro paese - tendenzialmente maggioritaria - grazie anche all'influenza sui mezzi di comunicazione concessa a quello che è diventato il monopolista di fatto del sistema televisivo italiano. Questa alleanza tra la destra "perbene" e il populismo berlusconiano ha goduto anche dell'appoggio, elettoralmente decisivo nelle regioni del sud, della criminalità organizzata, che in questa fase, e grazie a questo accordo, ha visto crescere la propria influenza economica e imprenditoriale nell'intero paese.
Per la destra italiana non si tratta di una novità: la stessa manovra fu fatta subito dopo la prima guerra mondiale per arginare la crescita del movimento socialista. Allora - come è noto - lo strumento fu il fascismo mussoliniano e sappiamo purtroppo come è andata a finire e che conseguenze nefaste ebbe per il nostro paese la decisione della monarchia, dell'esercito, del Vaticano e dei grandi potentati economici di sostenere il fascismo. Nel secondo dopoguerra le cose sono cambiate, anche perché nel frattempo era profondamente cambiato lo scenario internazionale: il mondo era diviso rigidamente in due blocchi e l'Italia era stata "assegnata" agli Stati Uniti. La Democrazia cristiana garantiva questo equilibrio internazionale e naturalmente i conservatori italiani accettarono di delegare la loro rappresentanza politica a questo partito, che pure aveva caratteristiche anomale rispetto agli altri partiti del popolarismo europeo. Ormai sappiamo che in Italia si organizzò, oltre a questa destra "visibile" e istituzionale, una destra "invisibile" che in diverse occasioni mise sotto tutela le istituzioni, specialmente quando si registravano tentativi di riformare una società che si sarebbe voluta sempre più statica: le stragi - da piazza Fontana alla stazione di Bologna - l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, la connivenza con le Brigate rosse per favorire la morte di Aldo Moro sono tra le pagine più tristi di questa storia della peggiore destra italiana. In sostanza ogni tentativo di cambiamento, sociale prima che politico, fu immediatamente tarpato da questo potere oscuro. La fine dell'Unione sovietica e di quell'equilibrio internazionale basato su due superpotenze ha richiesto di trovare nuove soluzioni anche al sistema politico italiano. E' a questo punto che comincia l'avventura politica di B., finita come sappiamo, dopo quasi vent'anni, con l'allontamento forzato dello stesso B. dal governo e la nascita, al di fuori di ogni consolidata prassi costituzionale, dell'attuale governo. Da quel momento finalmente la destra imprenditoriale e finanziaria ha deciso di gestire da sé e direttamente la propria rappresentanza politica, senza delegarla ad altri: indubbiamente si tratta di un elemento di chiarezza. Bisogna dire che questo atto di coraggio, che ha richiesto una preparazione di circa vent'anni, vista la flemma democristiana di molti dei protagonisti della vicenda - il cui eroe è il manzoniano don Ferrer - è stato possibile perché ormai in tutto il mondo occidentale queste forze hanno ormai preso il sopravvento, da un punto di vista culturale prima ancora che politico. L'ideologia mercatista e ultraliberista è ormai diventata il comune sentire delle nostre opinioni pubbliche. Quante volte abbiamo sentito dire in uno dei telegiornali che vediamo ogni sera che la crescita dei mercati azionari è un dato positivo? Sarà un dato positivo per chi possiede delle azioni, per i padroni di quelle aziende, ma non è detto che sia un dato positivo per noi o per chi lavora in quelle stesse imprese. Il mondo si sta sempre più polarizzando tra i pochissimi che hanno molto e i moltissimi che hanno poco e i primi, in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, controllano sempre più direttamente il governo, cercando naturalmente di conservare, e possibilmente di aumentare, le proprie ricchezze e i propri privilegi.
E questo spiega anche come questo anno di governo tecnico abbia cambiato in profondità la sinistra italiana. A dire la verità la trasformazione radicale della sinistra è cominciata prima, con la nascita del Partito democratico, la decisione di fare un unico partito unendo gli eredi del Pci e quelli della cosiddetta sinistra democristiana, e di conseguenza la mancata adesione al Partito socialista europeo. In Italia il Partito democratico è nato con l'obiettivo dichiarato di porsi al di sopra della contrapposizione destra-sinistra: naturalmente questa è stata un'ottima notizia per quelli di destra, che invece hanno continuato a perseguire i propri obiettivi, senza neppure l'intralcio di un'opposizione.
Quello che è successo in queste ultime settimane rende evidente questa dinamica. B., che ha capito finalmente di essere stato scaricato dalla destra "perbene" - immagino come si sarà sentito quando alla riunione del Ppe si è trovato davanti Monti: davvero uno "scherzo da prete" - ha deciso di giocare il tutto per tutto e di vendere cara la pelle. Facciamo attenzione: l'uomo è pericoloso, ormai non ha più nulla da perdere e potrebbe avere in serbo delle spiacevoli sorprese. E c'è un'Italia che intuisce che se non ci sarà più lui la musica potrebbe anche cambiare e cercherà di difendere i propri interessi: il voto a B. potrebbe essere molto superiore a quello che lasciano credere i sondaggi. E come reagirà la criminalità organizzata di fronte a un cambio così radicale? Tra il '92 e il '93 la mafia fece sentire la propria voce in maniera violentissima. Per ora pare che abbia scelto di tenere un profilo molto più basso, ma il rischio di un cambio di strategia, per quanto remoto, c'è sempre.
Mentre cresceva il disimpegno di B. aumentava l'impegno del Pd per sostenere il governo Monti e qui siamo a uno dei paradossi di questa svolta. Il centrosinistra ha permesso al proprio avversario di crescere, di svilupparsi. Senza il Pd ora Monti non sarebbe nelle condizioni di battere lo stesso Pd. Perché questo è avvenuto? Di preciso non lo so. Forse qualcuno non condivide la mia analisi - è naturalmente legittimo - e immagina che il sistema politico italiano si articoli in tre aree: la destra, presidiata da B., il centro montiano, la sinistra con il Pd e i cespugli e che per il Pd l'unico modo per vincere sia quello di unire centro e sinistra. Anche se non la condivido, c'è qualcosa di vero in questa ipotesi: in fondo le uniche volte in cui la sinistra è riuscita ad andare al governo è stato quando si è riusciti a stabilizzare - pur con molte incomprensioni e molti sospetti, che alla fine si sono rivelati esiziali - un'alleanza tra questi due poli. Probabilmente qualcuno pensava - e pensa - che sia necessario per l'Italia avere due schieramenti di tipo europeo, uno legato al Ppe e uno al Pse, così come avviene in tutti gli altri paesi europei e che per far questo sia necessario togliere di mezzo B., costi quel che costi. L'obiettivo in sé è naturalmente condivisibile - direi quasi sacrosanto - ma purtroppo ha avuto un costo altissimo, dal momento che il Pd ha rinunciato in partenza a essere il rappresentante della socialdemocrazia in Italia. In questi mesi il Pd ha accettato la riforma costituzionale che ha introdotto l'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, un atto simbolico, che insieme all'adesione convinta che Bersani fa ogni giorno ai principi della cosiddetta "agenda Monti", di fatto ha posto questo partito in una sorta di subalternità culturale al montismo di destra. Così l'opzione alle prossime elezioni non sarà tra una proposta rigorosamente di destra e una di sinistra o di centrosinistra o socialdemocratica - come la volete chiamare - ma sarà tra una proposta rigorosamente di destra e una di destra meno rigorosa, con qualche attenuazione, con gli angoli meno smussati. Per noi di sinistra non sarà una scelta facile.
In questi ultimi vent'anni la destra italiana, la destra vera - quella del potere economico e del mantenimento dei privilegi, quella classe fatta di industriali e di grandi burocrati, di banchieri e di alti prelati, di agrari e di rentiers, insomma di conservatori e di ricchi di ogni sorta - ha sostanzialmente delegato la propria rappresentanza politica a B. e ai suoi alleati - leghisti, post-fascisti, centristi di varia natura - ossia a un populismo fascistoide, maschilista e clericale, antieuropeo e individualista, che è riuscito, nel bene e nel male, a rappresentare gli umori profondi, e spesso non dichiarati, di una parte ampia del nostro paese - tendenzialmente maggioritaria - grazie anche all'influenza sui mezzi di comunicazione concessa a quello che è diventato il monopolista di fatto del sistema televisivo italiano. Questa alleanza tra la destra "perbene" e il populismo berlusconiano ha goduto anche dell'appoggio, elettoralmente decisivo nelle regioni del sud, della criminalità organizzata, che in questa fase, e grazie a questo accordo, ha visto crescere la propria influenza economica e imprenditoriale nell'intero paese.
Per la destra italiana non si tratta di una novità: la stessa manovra fu fatta subito dopo la prima guerra mondiale per arginare la crescita del movimento socialista. Allora - come è noto - lo strumento fu il fascismo mussoliniano e sappiamo purtroppo come è andata a finire e che conseguenze nefaste ebbe per il nostro paese la decisione della monarchia, dell'esercito, del Vaticano e dei grandi potentati economici di sostenere il fascismo. Nel secondo dopoguerra le cose sono cambiate, anche perché nel frattempo era profondamente cambiato lo scenario internazionale: il mondo era diviso rigidamente in due blocchi e l'Italia era stata "assegnata" agli Stati Uniti. La Democrazia cristiana garantiva questo equilibrio internazionale e naturalmente i conservatori italiani accettarono di delegare la loro rappresentanza politica a questo partito, che pure aveva caratteristiche anomale rispetto agli altri partiti del popolarismo europeo. Ormai sappiamo che in Italia si organizzò, oltre a questa destra "visibile" e istituzionale, una destra "invisibile" che in diverse occasioni mise sotto tutela le istituzioni, specialmente quando si registravano tentativi di riformare una società che si sarebbe voluta sempre più statica: le stragi - da piazza Fontana alla stazione di Bologna - l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, la connivenza con le Brigate rosse per favorire la morte di Aldo Moro sono tra le pagine più tristi di questa storia della peggiore destra italiana. In sostanza ogni tentativo di cambiamento, sociale prima che politico, fu immediatamente tarpato da questo potere oscuro. La fine dell'Unione sovietica e di quell'equilibrio internazionale basato su due superpotenze ha richiesto di trovare nuove soluzioni anche al sistema politico italiano. E' a questo punto che comincia l'avventura politica di B., finita come sappiamo, dopo quasi vent'anni, con l'allontamento forzato dello stesso B. dal governo e la nascita, al di fuori di ogni consolidata prassi costituzionale, dell'attuale governo. Da quel momento finalmente la destra imprenditoriale e finanziaria ha deciso di gestire da sé e direttamente la propria rappresentanza politica, senza delegarla ad altri: indubbiamente si tratta di un elemento di chiarezza. Bisogna dire che questo atto di coraggio, che ha richiesto una preparazione di circa vent'anni, vista la flemma democristiana di molti dei protagonisti della vicenda - il cui eroe è il manzoniano don Ferrer - è stato possibile perché ormai in tutto il mondo occidentale queste forze hanno ormai preso il sopravvento, da un punto di vista culturale prima ancora che politico. L'ideologia mercatista e ultraliberista è ormai diventata il comune sentire delle nostre opinioni pubbliche. Quante volte abbiamo sentito dire in uno dei telegiornali che vediamo ogni sera che la crescita dei mercati azionari è un dato positivo? Sarà un dato positivo per chi possiede delle azioni, per i padroni di quelle aziende, ma non è detto che sia un dato positivo per noi o per chi lavora in quelle stesse imprese. Il mondo si sta sempre più polarizzando tra i pochissimi che hanno molto e i moltissimi che hanno poco e i primi, in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, controllano sempre più direttamente il governo, cercando naturalmente di conservare, e possibilmente di aumentare, le proprie ricchezze e i propri privilegi.
E questo spiega anche come questo anno di governo tecnico abbia cambiato in profondità la sinistra italiana. A dire la verità la trasformazione radicale della sinistra è cominciata prima, con la nascita del Partito democratico, la decisione di fare un unico partito unendo gli eredi del Pci e quelli della cosiddetta sinistra democristiana, e di conseguenza la mancata adesione al Partito socialista europeo. In Italia il Partito democratico è nato con l'obiettivo dichiarato di porsi al di sopra della contrapposizione destra-sinistra: naturalmente questa è stata un'ottima notizia per quelli di destra, che invece hanno continuato a perseguire i propri obiettivi, senza neppure l'intralcio di un'opposizione.
Quello che è successo in queste ultime settimane rende evidente questa dinamica. B., che ha capito finalmente di essere stato scaricato dalla destra "perbene" - immagino come si sarà sentito quando alla riunione del Ppe si è trovato davanti Monti: davvero uno "scherzo da prete" - ha deciso di giocare il tutto per tutto e di vendere cara la pelle. Facciamo attenzione: l'uomo è pericoloso, ormai non ha più nulla da perdere e potrebbe avere in serbo delle spiacevoli sorprese. E c'è un'Italia che intuisce che se non ci sarà più lui la musica potrebbe anche cambiare e cercherà di difendere i propri interessi: il voto a B. potrebbe essere molto superiore a quello che lasciano credere i sondaggi. E come reagirà la criminalità organizzata di fronte a un cambio così radicale? Tra il '92 e il '93 la mafia fece sentire la propria voce in maniera violentissima. Per ora pare che abbia scelto di tenere un profilo molto più basso, ma il rischio di un cambio di strategia, per quanto remoto, c'è sempre.
Mentre cresceva il disimpegno di B. aumentava l'impegno del Pd per sostenere il governo Monti e qui siamo a uno dei paradossi di questa svolta. Il centrosinistra ha permesso al proprio avversario di crescere, di svilupparsi. Senza il Pd ora Monti non sarebbe nelle condizioni di battere lo stesso Pd. Perché questo è avvenuto? Di preciso non lo so. Forse qualcuno non condivide la mia analisi - è naturalmente legittimo - e immagina che il sistema politico italiano si articoli in tre aree: la destra, presidiata da B., il centro montiano, la sinistra con il Pd e i cespugli e che per il Pd l'unico modo per vincere sia quello di unire centro e sinistra. Anche se non la condivido, c'è qualcosa di vero in questa ipotesi: in fondo le uniche volte in cui la sinistra è riuscita ad andare al governo è stato quando si è riusciti a stabilizzare - pur con molte incomprensioni e molti sospetti, che alla fine si sono rivelati esiziali - un'alleanza tra questi due poli. Probabilmente qualcuno pensava - e pensa - che sia necessario per l'Italia avere due schieramenti di tipo europeo, uno legato al Ppe e uno al Pse, così come avviene in tutti gli altri paesi europei e che per far questo sia necessario togliere di mezzo B., costi quel che costi. L'obiettivo in sé è naturalmente condivisibile - direi quasi sacrosanto - ma purtroppo ha avuto un costo altissimo, dal momento che il Pd ha rinunciato in partenza a essere il rappresentante della socialdemocrazia in Italia. In questi mesi il Pd ha accettato la riforma costituzionale che ha introdotto l'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, un atto simbolico, che insieme all'adesione convinta che Bersani fa ogni giorno ai principi della cosiddetta "agenda Monti", di fatto ha posto questo partito in una sorta di subalternità culturale al montismo di destra. Così l'opzione alle prossime elezioni non sarà tra una proposta rigorosamente di destra e una di sinistra o di centrosinistra o socialdemocratica - come la volete chiamare - ma sarà tra una proposta rigorosamente di destra e una di destra meno rigorosa, con qualche attenuazione, con gli angoli meno smussati. Per noi di sinistra non sarà una scelta facile.
martedì 18 dicembre 2012
Considerazioni libere (326): a proposito di concorsi...
Ho partecipato ai miei primi concorsi pubblici tra il '97 e il '98, subito dopo aver finito l'università. Gli altri partecipanti erano più o meno miei coetanei; io forse contribuivo ad alzare un po' la media, visto che mi ero laureato con "comodo". Nell'estate del '99 - quindi a 29 anni, avendo davanti anni molto produttivi - avrei potuto iniziare a lavorare in un Comune, ma rifiutai perché intanto avevo cominciato a fare un altro mestiere. Sono tornato a fare concorsi tra il 2009 e il 2010, più di dieci anni dopo le mie prime esperienze concorsuali. Con mia sorpresa, mi sono ritrovato ancora una volta tra coetanei, una masnada di "ex-giovani", in genere sposati, molti già con prole; anzi in questa nuova tornata ero tra i meno "vecchi" del gruppo. Ho ricominciato a lavorare in un Comune nel 2011; certamente a poco più di 40 anni sono ancora giovane e, grazie alle riforme del sistema previdenziale che si sono via via succedute, per me e per quelli della mia generazione l'orizzonte della pensione si è progressivamente allontanato - se non è già decisamente sfumato - eppure penso di essere, rispetto a dieci anni fa, un po' meno capace di apprendere cose nuove, in un momento in cui nella pubblica amministrazione questo è un elemento essenziale. L'esperienza è certamente importante, così come quella capacità di smussare gli angoli che si acquista con il passare degli anni, ma penso che lo sia altrettanto la freschezza dell'apprendimento e anche una certa irruenza e il desiderio di cambiare le cose che sono più tipiche di un giovane.
Al di là di queste note personali, in quei mesi di concorsi mi ha colpito questo brusco alzarsi dell'età media, che ho interpretato come un elemento negativo, il segnale che la crisi si stava estendendo e stava colpendo sempre più duramente la mia generazione. Mi ha colpito anche il fatto che molti, come me, erano disposti a spostarsi parecchio pur di riuscire a lavorare e naturalmente questo spostamento è tanto più un sacrificio se si ha una famiglia. Un altro segnale della crisi incombente, oltre all'età media dei partecipanti, è stato anche notare i titoli di studio dei concorrenti: nell'autunno del 2010, a Firenze, per un posto di categoria B, ci ritrovammo in tantissimi ed eravamo quasi tutti laureati.
Ho ripensato a questa mia esperienza e a queste personalissime constatazioni empiriche, leggendo che l'età media delle persone che hanno partecipato al concorso della scuola è 38 anni. Al di là di quello che avviene in questi giorni nel panorama politico - che francamente non presenta molte novità - credo che questo concorso sia il fatto più importante di questi giorni in Italia. Spesso ci sentiamo ripetere discorsi altisonanti sull'importanza della scuola: è certamente vero, purtroppo a queste dichiarazioni di principio non seguono i fatti. Gli articoli dei principali organi di informazione trattano del concorso della scuola come di un fenomeno di colore. Oggi ad esempio leggo sul Corriere che ha partecipato anche la moglie di Renzi, superando la prova selettiva; francamente non me ne importa nulla. Così come mi paiono poco rilevanti gli immancabili servizi su calciatori e miss che fanno l'esame di maturità.
Io non amo molto la retorica giovanilistica, non mi iscrivo al partito dei "rottamatori" - peraltro questa retorica si accompagna spesso al persistere della peggior gerontocrazia - ma penso che questo stato di fatto faccia perdere almeno dieci anni alla nostra società. Non sarebbe meglio che nella scuola e nella pubblica amministrazione ci fosse un'iniezione massiccia di persone di 30 anni piuttosto che di 40, come sta avvenendo ora? Perdere questi dieci anni di energia, di competenze, di gioventù non dovrebbe essere considerato uno scandalo da tutti? Poi so bene che questo concorso serve anche a dare una soluzione - lo speriamo vivamente - a una parte di quelle persone che da anni lavorano già nella scuola e che sono precari, ma credo comunque che una riflessione su questo tema andrebbe fatta. Pensate solo alla consuetudine con le nuove tecnologie: noi, anche se ci siamo adattati al nuovo mondo delle rete, non possiamo certo essere considerati dei "nativi digitali". I nostri figli, quelli che adesso cominciano la scuola, lo sono e sarebbe meglio che lo fossero anche i loro insegnanti, o almeno una parte di loro. Una riflessione sulla scuola deve partire prima di tutto dalla sua risorsa più importante, ossia gli insegnanti, ma mi pare che questo tema non sia all'ordine del giorno.
C'è poi un altro tema su cui mi piacerebbe che si aprisse un confronto. Capisco che per selezionare tante persone sia necessario trovare qualche sistema efficace e rapido e devo ammettere che sono rimasto piacevolmente stupito che il ministero sia riuscito a mettere in piedi un sistema come questo che sembra quasi quello di un normale paese occidentale. Ma siamo sicuri che i quiz siano il sistema giusto per selezionare i futuri insegnanti? Io non ne sono affatto sicuro. Certo chi risponde correttamente a cinquanta domande in cinquanta minuti dimostra una serie di qualità notevoli, una mente elastica, una capacità di cogliere al volo una questione, una certa trasversalità di competenze, una buona memoria, ma siamo certi che tutto questo basti a farne un insegnante capace? Naturalmente non esiste una ricetta del buon insegnante. Sappiamo che alcune persone che già insegnano non sono riuscite a superare questa prima fase. Un terzo dei partecipanti non è riuscito a passare: sono tutti inadatti all'insegnamento? O è il sistema incapace di selezionare le persone giuste? Francamente non lo so, ma temo che non lo sappiano molti altri.
Al di là di queste note personali, in quei mesi di concorsi mi ha colpito questo brusco alzarsi dell'età media, che ho interpretato come un elemento negativo, il segnale che la crisi si stava estendendo e stava colpendo sempre più duramente la mia generazione. Mi ha colpito anche il fatto che molti, come me, erano disposti a spostarsi parecchio pur di riuscire a lavorare e naturalmente questo spostamento è tanto più un sacrificio se si ha una famiglia. Un altro segnale della crisi incombente, oltre all'età media dei partecipanti, è stato anche notare i titoli di studio dei concorrenti: nell'autunno del 2010, a Firenze, per un posto di categoria B, ci ritrovammo in tantissimi ed eravamo quasi tutti laureati.
Ho ripensato a questa mia esperienza e a queste personalissime constatazioni empiriche, leggendo che l'età media delle persone che hanno partecipato al concorso della scuola è 38 anni. Al di là di quello che avviene in questi giorni nel panorama politico - che francamente non presenta molte novità - credo che questo concorso sia il fatto più importante di questi giorni in Italia. Spesso ci sentiamo ripetere discorsi altisonanti sull'importanza della scuola: è certamente vero, purtroppo a queste dichiarazioni di principio non seguono i fatti. Gli articoli dei principali organi di informazione trattano del concorso della scuola come di un fenomeno di colore. Oggi ad esempio leggo sul Corriere che ha partecipato anche la moglie di Renzi, superando la prova selettiva; francamente non me ne importa nulla. Così come mi paiono poco rilevanti gli immancabili servizi su calciatori e miss che fanno l'esame di maturità.
Io non amo molto la retorica giovanilistica, non mi iscrivo al partito dei "rottamatori" - peraltro questa retorica si accompagna spesso al persistere della peggior gerontocrazia - ma penso che questo stato di fatto faccia perdere almeno dieci anni alla nostra società. Non sarebbe meglio che nella scuola e nella pubblica amministrazione ci fosse un'iniezione massiccia di persone di 30 anni piuttosto che di 40, come sta avvenendo ora? Perdere questi dieci anni di energia, di competenze, di gioventù non dovrebbe essere considerato uno scandalo da tutti? Poi so bene che questo concorso serve anche a dare una soluzione - lo speriamo vivamente - a una parte di quelle persone che da anni lavorano già nella scuola e che sono precari, ma credo comunque che una riflessione su questo tema andrebbe fatta. Pensate solo alla consuetudine con le nuove tecnologie: noi, anche se ci siamo adattati al nuovo mondo delle rete, non possiamo certo essere considerati dei "nativi digitali". I nostri figli, quelli che adesso cominciano la scuola, lo sono e sarebbe meglio che lo fossero anche i loro insegnanti, o almeno una parte di loro. Una riflessione sulla scuola deve partire prima di tutto dalla sua risorsa più importante, ossia gli insegnanti, ma mi pare che questo tema non sia all'ordine del giorno.
C'è poi un altro tema su cui mi piacerebbe che si aprisse un confronto. Capisco che per selezionare tante persone sia necessario trovare qualche sistema efficace e rapido e devo ammettere che sono rimasto piacevolmente stupito che il ministero sia riuscito a mettere in piedi un sistema come questo che sembra quasi quello di un normale paese occidentale. Ma siamo sicuri che i quiz siano il sistema giusto per selezionare i futuri insegnanti? Io non ne sono affatto sicuro. Certo chi risponde correttamente a cinquanta domande in cinquanta minuti dimostra una serie di qualità notevoli, una mente elastica, una capacità di cogliere al volo una questione, una certa trasversalità di competenze, una buona memoria, ma siamo certi che tutto questo basti a farne un insegnante capace? Naturalmente non esiste una ricetta del buon insegnante. Sappiamo che alcune persone che già insegnano non sono riuscite a superare questa prima fase. Un terzo dei partecipanti non è riuscito a passare: sono tutti inadatti all'insegnamento? O è il sistema incapace di selezionare le persone giuste? Francamente non lo so, ma temo che non lo sappiano molti altri.
lunedì 17 dicembre 2012
"Come te" di Roque Dalton
Io, come te,
amo l’amore, la vita, il dolce incanto
delle cose, il paesaggio
celeste dei giorni di gennaio.
Anche il mio sangue freme
e rido attraverso occhi
che hanno conosciuto il germinare delle lacrime.
Credo che il mondo è bello,
che la poesia è come il pane, di tutti.
E che le mie vene non finiscono in me
ma nel sangue unanime
di coloro che lottano per la vita,
l’amore,
le cose,
il paesaggio e il pane,
la poesia di tutti.
domenica 16 dicembre 2012
"Gli amici di Eraclito" di Charles Simic
giravi per le strade
a tutte le ore, parlando di filosofia.
Perciò, oggi sei andato solo,
fermandoti spesso per scambiarti di posto
con il tuo compagno immaginario,
e ribattere a te stesso
sul tema delle apparenze:
il mondo che vediamo nella testa
e il mondo che vediamo ogni giorno,
così difficili da distinguere
quando dolore e sofferenza ci piegano.
Voi due spesso vi siete fatti trascinare
tanto da trovarvi in quartieri strani
persi tra gente ostile,
costretti a chiedere indicazioni
proprio sul ciglio di una suprema rivelazione,
a ripetere la domanda
a una vecchia o a un bambino
che potrebbero essere entrambi sordi e muti.
Qual era quel frammento di Eraclito
che stavi cercando di ricordare
quando sei inciampato nel gatto del macellaio?
Nel frattempo, tu stesso ti eri perso
fra la scarpa nera nuova di qualcuno
abbandonata sul marciapiedi
e il terrore improvviso e l'ilarità
alla vista di una ragazza
abbigliata per una notte di ballo
che sfreccia sui pattini.
sabato 8 dicembre 2012
Considerazioni libere (325): a proposito di una crisi...
C'è la crisi di governo. O forse non c'è. A essere sinceri la situazione è strana e costituzionalmente inedita: il partito che ha la maggioranza relativa in parlamento e che quindi è il maggior sostegno dell'attuale esecutivo ha pubblicamente annunciato che non voterà più la fiducia al governo - e si è coerentemente astenuto sia al senato che alla camera - ma il presidente del consiglio non si è dimesso, continuando anzi a preparare decreti che rischiano concretamente di non essere convertiti in legge. Siamo ormai al di là - e al di fuori - della lettera e dello spirito della Costituzione del '48, nonostante quel galantuomo del presidente della repubblica tenti di rassicurarci del contrario. D'altra parte già questo governo è nato in maniera anomala - per usare un eufemismo - e al di fuori delle regole costituzionali: il governo che c'era prima non è stato sfiduciato dal parlamento, eppure è stato costretto alle dimissioni, sotto la pressione delle autorità finanziarie internazionali e dei più importanti governi europei, e il presidente della repubblica ha deciso in una notte il nome del successore, al di fuori della prassi e delle dinamiche parlamentari.
Per un momento dimenticate che il precedente presidente del consiglio era B. e che tutti abbiamo tirato un respiro di sollievo quando lo abbiamo visto uscire dimissionario dal portone del Quirinale, dimenticate la gioia di poter dire che non era più lui il capo del governo; lo so è difficile dimenticare l'entusiasmo di quei giorni, ma dobbiamo fare uno sforzo. Quel passaggio è avvenuto in maniera irrituale, se non apertamente anticostituzionale, ed è inevitabile che anche la fine di un governo nato in quel modo avvenga sotto lo stesso segno. Questo per me è un problema molto grave ed è tanto più grave perché si fa finta di niente, pare che tutto sia normale, mentre normale non è: Monti avrebbe dovuto rimettere il mandato, Napolitano avrebbe potuto rifiutare le dimissioni, ma avrebbe comunque dovuto avviare le consultazioni. Adesso ci sono consultazioni senza dimissioni e probabilmente si troverà un accordo, al di fuori del parlamento, di cui i garanti saranno ancora una volta i governi europei e il presidente della Bce, per preparare le elezioni, una "crisi ordinata", secondo il neologismo inventato oggi da Alfano, per non spaventare i mercati. Sono sempre più convinto che la prima riforma costituzionale necessaria per questo paese sarebbe l'applicazione rigorosa della Costituzione, eliminando gli artifici e le prassi presidenzialiste di questi ultimi anni. Le vicende di questi giorni dimostrano ancora una volta che nel nostro paese - come nel resto d'Europa, anche se in forme diverse - c'è un deficit di democrazia; da qui io credo dovrebbe partire una radicale opposizione di sistema a questo stato di cose.
Naturalmente questi processi non avvengono mai per caso e se altri poteri hanno gradualmente preso il posto di quelli che c'erano prima la causa è prima di tutto l'insipienza di questi ultimi, la loro incapacità di offrire una reale prospettiva di governo, la loro incapacità di saper interpretare le aspettative di parti rilevanti della società e non solo quelle delle loro ristrette nomenclature e clientele. In politica, come in fisica, i vuoti si riempiono e quindi di fronte alla debolezza conclamata della politica italiana è stato naturale che altri abbiano svolto quel ruolo a cui negli anni le forze politiche hanno deliberatamente rinunciato.
Per tornare all'attualità, personalmente faccio fatica a pensare che quello che è avvenuto in questi giorni sia soltanto il frutto di un caso, non è "impazzita la maionese", come ho sentito dire da qualche commentatore, con scarsa fantasia. Io non amo molto quelli che si esercitano in analisi "dietrologiche", ma penso che le parole di Passera siano il frutto di un rischio calcolato, dette per alimentare una brace che covava da qualche tempo sotto la cenere. D'altra parte la situazione non poteva essere migliore: quando Passera ha parlato, lo spread era al minimo e difficilmente avrebbe potuto continuare a scendere, la vittoria di Bersani alle primarie ha capitalizzato intorno a quel leader e al suo partito un consenso vasto, esplicitato in questi giorni anche dalle dichiarazioni di voto - o almeno di interesse - di Squinzi e del direttore del Corriere, Napolitano è uscito - come'era prevedibile, vista l'evidente parzialità dei giudici - vittorioso dal confronto con la procura - almeno una parte della procura - di Palermo, sostenuta da una claque politica probabilmente troppo facinorosa e comunque decisamente "sinistra", le elezioni sono abbastanza vicine da rendere velleitario ogni tentativo di modificare la legge elettorale, che a tutti va bene così com'è. Quale migliore occasione che mettere il dito nella piaga e stuzzicare una persona come B., in cui purtroppo - per una serie di ragioni anagrafiche e cliniche prima ancora che politiche ed economiche - le ragioni del risentimento e del livore personale vengono prima di ogni altro interesse personale, per non parlare di calcolo politico. La reazione di B. era facilmente prevedibile, com'era prevedibile l'acquiescenza delle persone di cui si è circondato negli anni; era un'illusione pensare che Angelino diventasse un politico vero nello giro di un mese e comunque sempre con una tutela così ingombrante.
Adesso questa crisi-non crisi avrà un esito facilmente prevedibile, perché - come mi è capitato di scrivere "a caldo" l'altra sera - tutti i personaggi hanno finalmente ritrovato la loro parte in commedia e fanno quello che sanno fare. B. fa il rappresentante della destra eversiva e anticostituzionale, che comunque in Italia è molto più forte di quello che i "montiani" vogliono credere. Bersani fa l'uomo di centrosinistra pragmatico che può rassicurare sia i lettori del Corriere che quelli dell'Unità. E Monti fa Monti, continuando a difendere gli interessi di cui è legittimo e legittimato rappresentante. Nelle prossime elezioni ci sarà l'incognita Grillo - in democrazia peraltro qualche incertezza deve esserci, nonostante quello che spera l'uomo della Bce che vorrebbe evitare questi rischiosi passaggi elettorali; ma probabilmente Grillo sarà funzionale al risultato atteso, raccogliendo una parte di malcontento che altrimenti sarebbe andato alla destra rancorosa, senza rosicchiare troppo al centrosinistra "pulito", uscito vittorioso dalle primarie. Quindi, tutto bene madama la marchesa: Bersani a palazzo Chigi, Monti al Quirinale, il programma già scritto a Francoforte. Certo ci saranno un po' di diritti civili in più, ci saranno meno asprezze - non si ripeterà il pasticcio degli esodati - ma la linea è quella dettata dalla famosa lettera dell'agosto 2011, la linea che tanti positivi risultati sta portando in Grecia.
Io comunque, se fossi NapoMonti o DraMonti, starei attento a fare questi calcoli. In Italia "lorsignori" hanno troppo coccolato la destra berlusconiana, le hanno dato potere, denaro, le hanno permesso di avere giornali e di controllare gran parte del sistema televisivo, l'hanno usata per sconfiggere la sinistra, ma adesso quella destra lì - così tipicamente italiana - è cresciuta e, indipendentemente dalla sorte personale di B., sarà fatica toglierle lo spazio che la destra "perbene" le ha dato. E' una destra che conosciamo bene: sono quelli che si sono arricchiti grazie all'evasione fiscale, che dicono che le loro tasse sono troppo pesanti, ma che gli altri dovrebbero pagarne di più, sono quelli che non si vergognano a essere razzisti, ma che intanto fanno lavorare gli immigrati in nero o affittano loro casa - regolarmente senza contratto -, sono quelli che la domenica vanno a messa e difendono la tradizione e la sera vanno a puttane, quelli che si disperano se il loro figlio è omosessuale, perché è contro natura - come dice il papa - e non disdegnano i "servizi" dei trans, quelli che fanno affari con la malavita organizzata e quelli che ci guadagnano quando un loro amico diventa onorevole, sono quelli che difendono la famiglia, ma purché la donna stia al suo posto; tutti questi sanno che B. li rappresenta e che con lui la festa continuerà. E allora le prossime elezioni potrebbero riservare una sorpresa amara alla destra "europea" di Monti, di Montezemolo, di Draghi e - a quel punto - sarebbe una sorpresa amara per tutto il paese.
p.s. è l'8 dicembre: Leggo che Monti vuole dimettersi e che pare abbia deciso di far nascere la lista Monti; da un certo punto di vista credo sia un elemento di chiarezza, è giusto che anche lui conti le sue "corazzate"; ma, considerandolo da un'altra prospettiva, mi pare che le prossime elezioni saranno tutti contro B.: paradossalmente temo che questo finisca per aiutarlo.
Per un momento dimenticate che il precedente presidente del consiglio era B. e che tutti abbiamo tirato un respiro di sollievo quando lo abbiamo visto uscire dimissionario dal portone del Quirinale, dimenticate la gioia di poter dire che non era più lui il capo del governo; lo so è difficile dimenticare l'entusiasmo di quei giorni, ma dobbiamo fare uno sforzo. Quel passaggio è avvenuto in maniera irrituale, se non apertamente anticostituzionale, ed è inevitabile che anche la fine di un governo nato in quel modo avvenga sotto lo stesso segno. Questo per me è un problema molto grave ed è tanto più grave perché si fa finta di niente, pare che tutto sia normale, mentre normale non è: Monti avrebbe dovuto rimettere il mandato, Napolitano avrebbe potuto rifiutare le dimissioni, ma avrebbe comunque dovuto avviare le consultazioni. Adesso ci sono consultazioni senza dimissioni e probabilmente si troverà un accordo, al di fuori del parlamento, di cui i garanti saranno ancora una volta i governi europei e il presidente della Bce, per preparare le elezioni, una "crisi ordinata", secondo il neologismo inventato oggi da Alfano, per non spaventare i mercati. Sono sempre più convinto che la prima riforma costituzionale necessaria per questo paese sarebbe l'applicazione rigorosa della Costituzione, eliminando gli artifici e le prassi presidenzialiste di questi ultimi anni. Le vicende di questi giorni dimostrano ancora una volta che nel nostro paese - come nel resto d'Europa, anche se in forme diverse - c'è un deficit di democrazia; da qui io credo dovrebbe partire una radicale opposizione di sistema a questo stato di cose.
Naturalmente questi processi non avvengono mai per caso e se altri poteri hanno gradualmente preso il posto di quelli che c'erano prima la causa è prima di tutto l'insipienza di questi ultimi, la loro incapacità di offrire una reale prospettiva di governo, la loro incapacità di saper interpretare le aspettative di parti rilevanti della società e non solo quelle delle loro ristrette nomenclature e clientele. In politica, come in fisica, i vuoti si riempiono e quindi di fronte alla debolezza conclamata della politica italiana è stato naturale che altri abbiano svolto quel ruolo a cui negli anni le forze politiche hanno deliberatamente rinunciato.
Per tornare all'attualità, personalmente faccio fatica a pensare che quello che è avvenuto in questi giorni sia soltanto il frutto di un caso, non è "impazzita la maionese", come ho sentito dire da qualche commentatore, con scarsa fantasia. Io non amo molto quelli che si esercitano in analisi "dietrologiche", ma penso che le parole di Passera siano il frutto di un rischio calcolato, dette per alimentare una brace che covava da qualche tempo sotto la cenere. D'altra parte la situazione non poteva essere migliore: quando Passera ha parlato, lo spread era al minimo e difficilmente avrebbe potuto continuare a scendere, la vittoria di Bersani alle primarie ha capitalizzato intorno a quel leader e al suo partito un consenso vasto, esplicitato in questi giorni anche dalle dichiarazioni di voto - o almeno di interesse - di Squinzi e del direttore del Corriere, Napolitano è uscito - come'era prevedibile, vista l'evidente parzialità dei giudici - vittorioso dal confronto con la procura - almeno una parte della procura - di Palermo, sostenuta da una claque politica probabilmente troppo facinorosa e comunque decisamente "sinistra", le elezioni sono abbastanza vicine da rendere velleitario ogni tentativo di modificare la legge elettorale, che a tutti va bene così com'è. Quale migliore occasione che mettere il dito nella piaga e stuzzicare una persona come B., in cui purtroppo - per una serie di ragioni anagrafiche e cliniche prima ancora che politiche ed economiche - le ragioni del risentimento e del livore personale vengono prima di ogni altro interesse personale, per non parlare di calcolo politico. La reazione di B. era facilmente prevedibile, com'era prevedibile l'acquiescenza delle persone di cui si è circondato negli anni; era un'illusione pensare che Angelino diventasse un politico vero nello giro di un mese e comunque sempre con una tutela così ingombrante.
Adesso questa crisi-non crisi avrà un esito facilmente prevedibile, perché - come mi è capitato di scrivere "a caldo" l'altra sera - tutti i personaggi hanno finalmente ritrovato la loro parte in commedia e fanno quello che sanno fare. B. fa il rappresentante della destra eversiva e anticostituzionale, che comunque in Italia è molto più forte di quello che i "montiani" vogliono credere. Bersani fa l'uomo di centrosinistra pragmatico che può rassicurare sia i lettori del Corriere che quelli dell'Unità. E Monti fa Monti, continuando a difendere gli interessi di cui è legittimo e legittimato rappresentante. Nelle prossime elezioni ci sarà l'incognita Grillo - in democrazia peraltro qualche incertezza deve esserci, nonostante quello che spera l'uomo della Bce che vorrebbe evitare questi rischiosi passaggi elettorali; ma probabilmente Grillo sarà funzionale al risultato atteso, raccogliendo una parte di malcontento che altrimenti sarebbe andato alla destra rancorosa, senza rosicchiare troppo al centrosinistra "pulito", uscito vittorioso dalle primarie. Quindi, tutto bene madama la marchesa: Bersani a palazzo Chigi, Monti al Quirinale, il programma già scritto a Francoforte. Certo ci saranno un po' di diritti civili in più, ci saranno meno asprezze - non si ripeterà il pasticcio degli esodati - ma la linea è quella dettata dalla famosa lettera dell'agosto 2011, la linea che tanti positivi risultati sta portando in Grecia.
Io comunque, se fossi NapoMonti o DraMonti, starei attento a fare questi calcoli. In Italia "lorsignori" hanno troppo coccolato la destra berlusconiana, le hanno dato potere, denaro, le hanno permesso di avere giornali e di controllare gran parte del sistema televisivo, l'hanno usata per sconfiggere la sinistra, ma adesso quella destra lì - così tipicamente italiana - è cresciuta e, indipendentemente dalla sorte personale di B., sarà fatica toglierle lo spazio che la destra "perbene" le ha dato. E' una destra che conosciamo bene: sono quelli che si sono arricchiti grazie all'evasione fiscale, che dicono che le loro tasse sono troppo pesanti, ma che gli altri dovrebbero pagarne di più, sono quelli che non si vergognano a essere razzisti, ma che intanto fanno lavorare gli immigrati in nero o affittano loro casa - regolarmente senza contratto -, sono quelli che la domenica vanno a messa e difendono la tradizione e la sera vanno a puttane, quelli che si disperano se il loro figlio è omosessuale, perché è contro natura - come dice il papa - e non disdegnano i "servizi" dei trans, quelli che fanno affari con la malavita organizzata e quelli che ci guadagnano quando un loro amico diventa onorevole, sono quelli che difendono la famiglia, ma purché la donna stia al suo posto; tutti questi sanno che B. li rappresenta e che con lui la festa continuerà. E allora le prossime elezioni potrebbero riservare una sorpresa amara alla destra "europea" di Monti, di Montezemolo, di Draghi e - a quel punto - sarebbe una sorpresa amara per tutto il paese.
p.s. è l'8 dicembre: Leggo che Monti vuole dimettersi e che pare abbia deciso di far nascere la lista Monti; da un certo punto di vista credo sia un elemento di chiarezza, è giusto che anche lui conti le sue "corazzate"; ma, considerandolo da un'altra prospettiva, mi pare che le prossime elezioni saranno tutti contro B.: paradossalmente temo che questo finisca per aiutarlo.
lunedì 3 dicembre 2012
"Cosmologia di Caronte" di Charles Simic
Con solo una fioca lanterna
a indicargli dov'è
e ogni volta una montagna
di cadaveri freschi da caricare
portarli dall'altra parte
dove ce ne sono molti di più
direi che ormai dev'essere incerto
su quale sia la sponda
direi che non importa
nessuno si lamenta mai
guardar loro nelle tasche
in una qualche briciola di pane in un'altra una salsiccia
una volta ogni tanto uno specchio
o un libro che getta
fuori bordo nel fiume scuro
e rapido e freddo e profondo.
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