Non so come voterò alle prossime elezioni; so che voterò, perché voglio votare e perché è importante farlo, tanto più in un momento in cui gli spazi di democrazia si vanno via via restringendo - in Italia, come nel resto dell'Europa - ma davvero non so per quale partito. Naturalmente non voterò a destra, né per quella lepenista né per quella "perbene"; non l'ho mai fatto e non lo farò mai. Non voterò per Grillo, perché il suo populismo è tanto lontano da me quanto lo è quello di destra. Vorrei votare a sinistra, e qui cominciano i problemi.
Vorrei votare per un partito o un movimento radicalmente alternativo, da sinistra, alla cosiddetta "agenda Monti". Sono convinto che accettando i vincoli imposti da questa "agenda" non sia neppure possibile impostare una coerente politica di promozione e di sostegno dell'occupazione e del reddito per la maggioranza della popolazione italiana. Avere accettato il vincolo del pareggio di bilancio e condividere le scelte politiche ed economiche elaborate dalle autorità finanziarie internazionali rende impraticabile delle politiche di equità e di redistribuzione del reddito, di mantenimento della progressività contributiva, di lotta al precariato, di introduzione del reddito di cittadinanza, di difesa e potenziamento del welfare, a partire dalla scuola e dalle università pubbliche, di sostegno della ricerca e della cultura. E sappiamo che in "agenda" non c'è e non ci sarà un programma di conversione ecologica dei cicli produttivi, per contribuire al contenimento sempre più urgente dei mutamenti climatici e creare una base produttiva e occupazionale sostenibile in mercati e contesti ambientali che presto saranno radicalmente diversi da quelli a cui siamo abituati. E non ci sarà neppure una politica estera che veda come propri cardini l'estensione dei diritti - a partire da quelli delle donne - e, attraverso una nuova politica ambientale, il radicale cambiamento di una struttura economica, che è basata esssenzialmente sullo sfruttamento di quei popoli. Portare avanti in maniera coerente questi progetti è impossibile senza mettere radicalmente in discussione non l'euro, non l'Unione europea - che anzi andrebbe consolidata - ma quel quadro di vincoli che, con il pareggio in bilancio e il fiscal compact, imporrà all'Italia di sottrarre alle entrate fiscali 150 miliardi ogni anno per pagare gli interessi sul debito e le rate ventennali della sua riduzione.
Visto che questo è quello che vorrei, capite che diventa per me francamente difficile votare per il Pd, nonostante la stima personale che ho per Bersani e nonostante l'amicizia con tante persone che militano con onestà, coscienza e impegno in quel partito. Nelle liste di candidate e candidati a queste primarie ho visto tante persone che conosco e che so che faranno bene; mi auguro che vengano eletti, nelle primarie, come nelle "secondarie". Il giudizio sul partito però rimane quello che ho espresso molte volte e ancora nell'ultima "considerazione" di qualche giorno fa: nel Pd non c'è - e non ci vuole essere - quella radicalità di cui secondo me ora c'è bisogno. Il Pd al governo, anche se non fosse "ostaggio" dei voti montiani - cosa di cui fortemente dubito - non toglierebbe né il pareggio di bilancio dalla Costituzione né tornerebbe indietro sulla decisione di adottare il fiscal compact. Comunque non posso ancora escludere di votare per Bersani. Se nelle prossime settimane crescerà - come temo - il consenso verso B. e ci fosse il pericolo reale di un risultato significativo di questo schieramento eversivo non potrei non votare per impedire in ogni modo questo esito.
Nelle scorse settimane ho guardato con interesse a quello che si stava muovendo a sinistra del Pd e di Sel. Ho sottoscritto il manifesto di Alba, ho cercato di seguirne il dibattito, ho firmato l'appello Cambiare si può. Non sono riuscito a partecipare direttamente alle iniziative, per alcune difficoltà oggettive - gli spostamenti, le spese - ma soprattutto per una mia difficoltà a ricominciare con intensità la vita politica, dopo averla fatta per tanti anni, con grandi soddisfazioni e qualche delusione. Nel mio piccolo - come le formiche di antica memoria - ho questo blog. Al di là di queste note personali, mi pare che l'esito di quel travaglio, accelerato nella fase finale in maniera forse troppo brusca dalle dimissioni di Monti, ma comunque allungato nella parte iniziale dalla nostra tendenza "sinistra" a invilupparci nel dibattito, sia stato molto al di sotto delle aspettative. Mi piace il nome "Rivoluzione civile", mi piace molto che nel simbolo ci sia stilizzato il Quarto stato di Pellizza da Volpedo: stuzzica il mio animo notoriamente novecentesco. Non mi piace per niente, ma proprio per niente, il nome di Antonio Ingroia nel simbolo. Questo è uno di quei casi in cui la forma è sostanza. Conosco poco Ingroia, non so se è il miglior candidato possibile per questo nuovo schieramento, personalmente penso che sarebbe meglio che un magistrato che intende fare politica lasci definitivamente la magistratura e penso anche che sarebbe necessario prevedere un qualche, congruo, tempo di stacco tra le due attività. Non mi è particolarmente piaciuto questo tira e molla: vado in Guatamela, torno, mi candido, non mi candido, mi candido. Capisco però che Ingroia è un personaggio noto, uno che porta voti, ed ero comunque disposto a votarlo; come diceva Deng Xiaoping: "non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi". La sua candidatura risolveva altri problemi che si sarebbero posti con candidati troppo connotati su questo o quel partito o davvero troppo poco noti, come quasi tutti i "capi" di Alba. Ma di qui a egemonizzare questo movimento in maniera così netta ce ne corre. Di liste personali ormai ne abbiamo avute e ne abbiamo troppe, è ora di cambiare in maniera netta questo modo di fare politica. Vedo che per una parte di quelli che hanno firmato l'appello uno dei problemi è la presenza nelle liste dei segretari dei partiti che hanno aderito alla costituzione di questa lista. Sinceramente per me questa non è una questione dirimente: quei partiti, pur con le loro debolezze, sono comunque necessari al movimento, hanno rinunciato al loro simbolo, è naturale che abbiamo bisogno di una qualche forma di visibilità. Semmai una questione dirimente è la presenza dell'Italia dei valori e di Antonio Di Pietro. Io, con tutta la mia buona volontà, non sono mai riuscito a considerare - e non considero tuttora - Di Pietro come una persona di sinistra. Basti sentire cosa dice a proposito della questione delle carceri: su questo la sua posizione è assolutamente assimilabile a uno di destra. Di Pietro usa strumentalmente questioni di sinistra, come il referendum sull'articolo 18, per avere visibilità; rischiando seriamente a questo giro di uscire dal parlamento, pensa di utilizzare questa nuova lista come un taxi. Ha fatto qualcosa del genere cinque anni fa con il Pd di Veltroni. Stavolta cerchi un altro taxi; io non voto Pd per non votare Bindi, Letta, Marini e Fioroni, sarebbe un paradosso che votassi una lista in cui ci sia Di Pietro, che è culturalmente e politicamente più a destra di questi. Mi pare che la lista Ingroia, soprattutto se imbarcherà Di Pietro, non uscirà dalla contraddizione in cui ci siamo dibattuti in questi anni, per cui andava bene tutto quello che strepitava contro B., e più forte strepitava meglio andava. Avendo firmato sia il manifesto per la costituzione di Alba sia l'appello Cambiare si può, mi è stato chiesto di votare a un referendum on line per decidere se questo gruppo deve entrare o meno nella nascente lista Ingroia. Io conseguentemente alle cose che ho scritto adesso, ho appena votato no. Naturalmente, visto che i tempi stringono, non ci sarà tempo per costruire un'altra cosa e quindi in campo, a sinistra del Pd, rimarrà soltanto questa nuova lista. Non mi pare un grande risultato per la sinistra radicale italiana.
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