domenica 31 ottobre 2010

da "Hiroshima, non dovevamo" di John Rawls

Sono passati cinquant'anni dal bombardamento di Hiroshima ed è tempo di riflettere su ciò che dobbiamo pensarne. Si è trattato davvero di un grave torto, come molti ritengono oggi, e come molti pensarono anche allora, o forse dopo tutto è possibile giustificarlo? Io credo che il bombardamento con ordigni incendiari delle città giapponesi iniziato nella primavera del 1945, così come il successivo attacco atomico contro Hiroshima del 6 agosto, furono dei gravissimi torti e che sia giusto considerarli così.
A sostegno di questa mia opinione, vorrei esporre quelli che ritengo siano i principi che governano la conduzione della guerra - jus in bello - per i popoli democratici. Nella conduzione della guerra questi popoli hanno finalità diverse rispetto a quelle degli Stati non democratici e in particolare totalitari, come la Germania e il Giappone di quel tempo, che tentarono di dominare e sfruttare i popoli assoggettati e, nel caso della Germania, addirittura di schiavizzarli, se non di sterminarli.
Sebbene non possa adeguatamente motivarli in queste pagine, vorrei cominciare con l'esporre sei principi e postulati a sostegno di questi miei giudizi. Spero che non appaiano irragionevoli di certo dovrebbero suonare familiari, dal momento che si rifanno strettamente a gran parte della tradizione intellettuale in materia. Ecco dunque i sei principi.
1. Lo scopo di una guerra giusta, condotta da una società democratica decente, è una pace giusta e duratura fra popoli, a cominciare dai nemici del momento.
2. Una società democratica decente combatte sempre contro uno Stato che non è democratico. Ciò discende dal fatto che i popoli democratici non si fanno la guerra fra loro e, dal momento che qui ci occupiamo delle regole della guerra per tali popoli, abbiamo per scontato che la società contro cui si combatte sia una società non democratica, che le sue mire espansionistiche abbiano minacciato la sicurezza e le libere istituzioni; di regimi democratici, e che ciò facendo essa abbia scatenato la guerra.
3. Nella conduzione della guerra, una società democratica deve operare un'attenta distinzione fra tre gruppi: i governanti e i funzionari dello Stato, i soldati e la popolazione civile. Il motivo di questa distinzione poggia sul principio di responsabilità: dal momento che lo Stato contro cui si combatte non è democratico, non possono essere stati i civili di quella società ad organizzare e condurre la guerra. Sono stati i suoi governanti e i suoi funzionari, con assistenza di altre élite che controllano l'apparato dello Stato e ne costituiscono il personale operativo. Sono loro i responsabili, loro hanno voluto la guerra e, proprio per averlo fatto, sono dei criminali. Non così i civili, spesso mantenuti nell'ignoranza e influenzati; dalla propaganda di Stato. E questo vale anche se alcuni civili erano meglio informati e magari hanno sostenuto la guerra entusiasticamente. Nella conduzione della guerra da parte di una nazione, molti di questi casi marginali possono esistere, ma sono irrilevanti. Quanto ai soldati, essi - proprio come i civili, e ad esclusione degli ufficiali di grado superiore - non hanno la responsabilità della guerra, ma vengono arruolati o costretti in altro modo a parteciparvi, e il loro patriottismo è spesso sfruttato con crudeltà e cinismo. La ragione per cui possono venire attaccati direttamente non sta nel fatto che sono responsabili della guerra, ma nel fatto che un popolo democratico non si può difendere in nessun altro modo. E difendersi deve. Su questo non vi è scelta.
4. Una società democratica decente deve rispettare i diritti umani dei membri della parte avversa, sia civili che militari, per due ragioni. La prima consiste nel semplice fatto che essi sono titolari di tali diritti in base al diritto dei Popoli. L'altra è che il contenuto di tali diritti va insegnato ai soldati e ai civili nemici tramite l'esempio del proprio comportamento. È questo il miglior modo di far loro comprendere il significato di quei diritti. Ad essi viene riconosciuto un certo status, lo status di componenti di una società umana che posseggono diritti in quanto esseri umani. Quanto ai diritti umani in caso di guerra, lo status dei civili è interpretato in modo restrittivo. Ciò significa, per quanto attiene a queste pagine, che essi non possono essere mai attaccati direttamente salvo che in circostanze di crisi estrema, la cui natura è esaminata più sotto.
5. Sempre in rapporto all'esempio da dare circa il contenuto dei diritti umani, il principio successivo è che i popoli giusti con le loro azioni e prese di posizione debbono prefigurare, durante la guerra, il tipo di pace cui mirano, e il tipo di rapporti fra nazioni che vogliono ottenere. Ciò facendo mostrano in modo aperto e pubblico qual è la natura dei loro fini e che tipo di popolo essi sono. Questi ultimi doveri ricadono in larga misura sui governanti e i funzionari dei popoli democratici, dal momento che questi ultimi si trovano nella posizione migliore per parlare a nome dell'intero popolo e per agire secondo ciò che il principio richiede. Tutti i principi elencati qui sopra esprimono anche doveri dell'uomo di Stato, ma questo vale in particolar modo per il quarto e il quinto. Il modo di combattere la guerra e le azioni che vi pongono fine permangono nella memoria storica dei popoli e possono porre le premesse per guerre future. Questo dovere dell'uomo di Stato non va mai perso di vista.
6. Infine, prendiamo in esame il ruolo che ha la valutazione pratica mezzi - fini nel giudicare dell'opportunità di un'azione o di una politica atte ad ottenere lo scopo della guerra o a non causare più male che bene. Questo genere di valutazione - che si esprima per mezzo di un (classico) ragionamento utilitarista o di un'analisi costi - benefici, o soppesando gli interessi nazionali, o in altri modi - dev'essere sempre collocato nel contesto dei principi suesposti e da essi severamente limitato. Le norme dello jus in bello segnano limiti che determinano l'azione giusta. I piani e le strategie militari, la conduzione vera e propria del combattimento, devono stare in questi limiti (con l'unica eccezione, lo ripeto, delle circostanze di crisi estrema).
Per quanto riguarda il quarto e quinto principio della conduzione della guerra, ho già detto che essi sono vincolanti in particolare per i governanti della nazione. Questi si trovano nella posizione migliore per rappresentare con il massimo dell'efficacia le finalità e gli obblighi del loro popolo, e solo talvolta diventano uomini di Stato.
Ma chi è un uomo di Stato? La carica di uomo di Stato, al contrario di quella di Presidente, di Cancelliere, di Primo ministro, non esiste. Quello dell'uomo di Stato è un ideale, come l'ideale dell'individuo onesto o virtuoso. Gli uomini di Stato sono Presidenti o primi ministri che diventano uomini di Stato grazie alla leadership e alla performance esemplare di cui danno prova in tempi duri e difficili e che mostrano forza, saggezza e coraggio. Essi guidano i loro popoli attraverso periodi turbolenti erti di pericoli, ed è questo che li farà ricordare tra i grandi.
L'ideale dell'uomo di Stato è riassunto nel detto "l'uomo politico pensa alle future elezioni, l'uomo di Stato alle future generazioni". È del resto compito degli studiosi di filosofia esaminare le condizioni permanenti e gli interessi reali di una società democratica giusta e buona. Ma e nello stesso tempo compito dell'uomo di Stato distinguere queste condizioni e interessi; nella pratica l'uomo di Stato vede più a fondo e più lontano di molti altri e coglie ciò che occorre fare. L'uomo di Stato deve capire, almeno per l'essenziale, le cose come stanno e attenersi saldamente alla comprensione così raggiunta. Washington e Lincoln erano uomini di Stato. Bismarck no. Egli non seppe vedere gli interessi reali della Germania abbastanza avanti nel futuro, e il suo giudizio e le sue motivazioni furono spesso distorti dai suoi interessi di classe e dal suo desiderio di essere lui e lui solo il cancelliere tedesco.
Gli uomini di Stato non sono per forza altruisti, e possono anche coltivare interessi personali, mentre sono in carica, ma debbono essere equilibrati nei giudizi e nelle valutazioni degli interessi della società e non lasciarsi trascinare, specie in tempi di guerra e di crisi, da passioni come la vendetta e la ritorsione contro il nemico. Soprattutto essi debbono tenere saldamente di vista il fine di conseguire una pace giusta ed evitare tutto ciò che rende più difficile raggiungerla. Sotto questo profilo, le affermazioni pubbliche di una nazione debbono chiarire (e questo è compito dell'uomo di Stato) che, una volta ristabilita una pace solida, al popolo nemico sarà concesso un suo regime autonomo e una vita dignitosa e piena. Qualsiasi cosa possano dirgli i suoi governanti, qualsiasi rappresaglia possa ragionevolmente temere, il popolo nemico non verrà tratto in schiavitù né asservito dopo la resa né gli verranno negate, al momento opportuno, le libertà nel senso più pieno; ed è anche possibile che conquisti libertà di cui non godeva prima, come è accaduto ai tedeschi e ai giapponesi dopo la guerra. L'uomo di Stato sa, anche se non lo sanno gli altri, che qualsiasi rappresentazione del popolo nemico (non dei suoi governanti) che contraddica questa impostazione è impulsiva e falsa.
Per tornare adesso a Hiroshima e al bombardamento incendiario su Tokyo, osserviamo che nessuno dei due rientra nell'eccezione dovuta a circostanze di crisi estrema. Dal momento che (supponiamo) non esistono diritti assoluti - diritti cioè che vanno rispettati in ogni circostanza - vi sono occasioni in cui i civili possono essere aggrediti direttamente per mezzo del bombardamento aereo. Vi sono stati momenti, durante la guerra, in cui la Gran Bretagna avrebbe voluto a ragione bombardare Amburgo e Berlino? Sì, quando Londra si è trovata disperatamente sola di fronte alla superiorità militare della Germania; per giunta, quel periodo si protrasse fino al momento in cui la Russia, respinto in modo incontrovertibile il primo assalto tedesco tra l'estate e l'autunno del 1941, non mosse una guerra totale contro la Germania. Quel punto di svolta si potrebbe collocare in un momento diverso, diciamo l'estate del 1942, e certamente all'epoca dell'assedio di Stalingrado. Non mi soffermerò su questo punto, poiché l'aspetto cruciale è che a nessuna condizione si sarebbe potuto permettere alla Germania di vincere la guerra, e questo per due motivi fondamentali: primo, la natura e la storia della democrazia costituzionale e il suo posto nella cultura europea; secondo, la peculiare essenza malvagia del nazismo e l'enorme e incalcolabile male morale e politico che rappresentava per la società civile.
È importante comprendere l'essenza malvagia del nazismo, poiché vi sono circostanze in cui un popolo democratico può accettare meglio la sconfitta se le condizioni della pace offerte dall'avversario sono ragionevoli e moderate, non gli infliggono umiliazioni e vanno in direzione di un rapporto politico praticabile e accettabile. Mentre al contrario, era tipico di Hitler rifiutare in blocco qualsiasi possibilità di rapporto politico con i suoi nemici.
Questi andavano invariabilmente intimiditi mediante il terrore e la brutalità e dominati per mezzo della forza. La campagna contro la Russia, ad esempio, fu fin dall'inizio una guerra di distruzione contro i popoli slavi, in cui gli abitanti originari potevano sopravvivere in caso di sconfitta tutt'al più solo come servi. Quando Goebbels e altri obiettarono che in quel modo non si poteva vincere la guerra, Hitler non volle dar loro ascolto.
Eppure, è evidente che l'eccezione dovuta a una crisi estrema, se era applicabile alla Gran Bretagna nelle prime fasi della guerra, non lo è mai stata agli Stati Uniti in nessuna fase della loro guerra contro il Giappone. In questo caso, i principi della conduzione della guerra sono sempre stati applicabili. Anzi, nel caso di Hiroshima financo molti esponenti delle sfere superiori dell'amministrazione riconobbero che il bombardamento era una scelta discutibile, e che si stavano oltrepassando dei limiti. Tuttavia, durante le discussioni fra i leader alleati tenutesi nel giugno e luglio 1945, il peso della valutazione pratica mezzi - fini fu preponderante. Sotto la pressione estenuante della guerra, questa sorta di dubbi morali non riuscì ad emergere in modo appropriato. Con il prosieguo del conflitto, pesanti bombardamenti incendiari contro la popolazione civile delle capitali nemiche, Berlino e Tokyo, e di altre città furono sempre più accettati da parte degli Alleati. Sebbene Roosevelt, dopo lo scoppio della guerra, avesse esortato entrambe le parti a non macchiarsi di una barbarie inumana come i bombardamenti contro i civili, nel 1945 i leader alleati davano ormai per scontato che il Presidente americano avrebbe usato la bomba su Hiroshima. La bomba fu un portato di tutto quanto era accaduto prima.
Le valutazioni pratiche mezzi - fini per giustificare L'uso della bomba atomica su Hiroshima furono le seguenti.
La bomba venne sganciata per affrettare la fine della guerra. È chiaro che Truman e la maggior parte degli altri leader alleati pensavano che l'effetto sarebbe stato quello. Un altro motivo fu che avrebbe salvato delle vite, dove le vite che contavano erano quelle dei soldati americani. Le vite dei giapponesi - militari o civili - presumibilmente contavano meno.
Qui il conto del tempo da ridurre al minimo e quello delle vite da salvare si sommano. Per giunta, sganciando la bomba si sarebbe fornito all'Imperatore e ai governanti del Giappone un modo per salvare la faccia, aspetto rilevante, considerata la tradizione samurai. In realtà, alla fine alcuni esponenti delle istituzioni giapponesi volevano fare un ultimo gesto sacrificale, ma su di loro prevalsero altri, appoggiati dall'Imperatore, che ordinarono la resa il 12 agosto, dopo aver avuto notizia da Washington che l'Imperatore sarebbe potuto restare, purché avesse accettato di ottemperare agli ordini del comando militare americano. L'ultimo motivo che voglio ricordare è che la bomba fu sganciata Per dare ai russi un'impressionante dimostrazione della potenza americana, onde renderli più inclini ad accogliere le nostre richieste. Quest'ultimo aspetto è molto dibattuto ma alcuni critici e studiosi ne sottolineano l'importanza.
Che queste valutazioni non abbiano rispettato i limiti da imporre alla conduzione della guerra è evidente, quindi preferisco concentrarmi su un altro aspetto: l'assenza di senso dello Stato da parte dei leader alleati e le sue possibili motivazioni. Truman disse una volta che i giapponesi erano bestie e come tali andavano trattati eppure, quanto sembra sciocco chiamare barbari e bestie i tedeschi o i giapponesi al giorno d'oggi! Detto dei militaristi nazisti e di Tokyo può anche andare bene, ma non esiste un'identità totale fra questi e il popolo tedesco o quello giapponese. In seguito, Churchill ammise di essere andato troppo in là con i bombardamenti, spinto dalla passione e dall'intensità del conflitto. Uno dei doveri dell'uomo di Stato è non permettere che simili sentimenti, per quanto naturali e inevitabili, alterino il comportamento di un popolo democratico nella ricerca della pace.
L'uomo di Stato è consapevole della speciale importanza dei rapporti con il nemico di oggi: infatti, come ho già detto, la guerra dev'essere condotta in modo aperto e pubblico, tale da rendere possibile una pace duratura e amichevole con il paese nemico, una volta sconfitto. Essa deve anche preparare il popolo del paese nemico al modo in cui può aspettarsi d'essere trattato: occorre sedare i suoi timori presenti di essere sottoposto a vendette e ritorsioni; i nemici attuali vanno visti come partner in una pace futura giusta e condivisa.
Come risulta chiaramente da queste osservazioni, a mio parere sia Hiroshima che il bombardamento incendiario delle città giapponesi sono stati gravi torti, che i doveri che derivano dal senso dello Stato impongono ai leader politici di evitare, ove non si applichi l'eccezione delle circostanze di crisi. Credo anche che questo si sarebbe potuto fare senza pagare un prezzo elevato in termini di ulteriori perdite umane. Un'invasione non era necessaria in quel momento, visto che la guerra era sostanzialmente alla fine. In ogni caso, che questo sia vero o no, non fa differenza. Vista l'assenza delle circostanze di crisi, quei bombardamenti sono stati gravi errori. E tuttavia è chiaro che l'esito non sarebbe cambiato neanche se a quel tempo ci fosse stata un'espressione appropriata dei principi della guerra giusta: era semplicemente troppo tardi. Un Presidente o Primo ministro dovrebbe avere considerato attentamente tali questioni, preferibilmente molto tempo prima, o almeno non appena ne abbia avuto la disponibilità.
Fra il baccano e le pressioni quotidiane degli eventi che accompagnano la fine delle ostilità, le riflessioni sulla guerra giusta non si sentono neppure; troppi sono ansiosi e impazienti, o semplicemente esausti. Analogamente, la giustificazione della democrazia costituzionale e il terreno dei diritti e dei doveri da rispettare dovrebbero far parte della cultura politica pubblica ed essere discussi nelle varie associazioni della società civile in quanto parte dell'educazione di ciascuno. Anche se non si fanno sentire nella normale politica quotidiana, questi principi devono essere considerati come un presupposto fondamentale e non come argomento della politica di tutti i giorni, tranne che in circostanze speciali. Allo stesso modo, non vi è stata, in precedenza, una sufficiente comprensione dell'importanza fondamentale dei principi della guerra giusta tale da inibire il ricorso alla valutazione pratica mezzi - fini in termini di calcolo delle perdite umane, o del tempo minimo necessario per porre fine alla guerra, o di qualche altra stima dei costi e dei benefici. Questa valutazione pratica, in realtà, giustifica troppo e troppo facilmente, e fornisce al potere dominante un modo per mettere a tacere qualsiasi scrupolo morale possa insorgere. Se in quel momento vengono anteposti i principi della guerra giusta, essi si trasformano facilmente in ulteriori considerazioni da mettere sulla bilancia.
Un'altra prova della mancanza di senso dello Stato e costituita dal mancato tentativo di intavolare trattative con i giapponesi prima che venissero compiuti passi drastici come il bombardamento delle città con ordigni incendiari o lo sganciamento della bomba su Hiroshima.
Sarebbe stato moralmente necessario attuare coscienziosamente un simile tentativo. In quanto popolo democratico, lo dovevamo ai giapponesi: se lo dovessimo anche al loro governo è tutt'altra questione. Infatti, già da diverso tempo si discutevano le varie possibilità di porre fine alla guerra, e il 26 giugno il governo di Tokyo aveva ricevuto dall'Imperatore un ordine in proposito. Doveva certamente essere stato compreso che con la flotta distrutta e le isole periferiche conquistate, la guerra era perduta. È ben vero che i giapponesi erano stati illusi dalla speranza che i russi potessero dimostrarsi loro alleati, ma negoziati servono precisamente a evitare che la controparte coltivi simili illusioni. Un uomo di Stato non è mai libero di pensare che tali trattative possano attenuare il valore d'urto desiderato di eventuali attacchi successivi.
Per molti aspetti Truman è stato un buon Presidente, a volte ottimo. Ma il modo in cui ha posto fine alla guerra ha dimostrato il suo fallimento come uomo di Stato. Per lui è stata un'occasione perduta, così come è stato un danno per i1 paese e per le sue forze armate. A volte si e detto che porre in questione il bombardamento di Hiroshima è un insulto alle truppe americane che hanno combattuto la guerra. Ciò e di difficile comprensione. Dopo cinquant'anni, dovremmo poter volgere lo sguardo al passato e anche considerare quali sono stati nostri errori. Ci aspettiamo che lo facciano tedeschi e giapponesi: zu vergegenwartigen der Vergangenhait, "rappresentare il passato", come si dice in tedesco. E perché non dovremmo? Non può davvero essere che noi americani pensiamo di aver fatto una guerra senza il minimo errore morale!
Nulla di ciò cambia il fatto che la Germania e il Giappone siano stati responsabili della guerra né muta il giudizio sul comportamento che hanno tenuto durante il suo corso.
Vi sono infatti due dottrine nichiliste da ripudiare energicamente. Una è espressa dalla frase di Sherman "La guerra è l'inferno", come dire che tutti i mezzi sono buoni per finirla prima possibile. L'altra è che tutti siamo colpevoli, quindi siamo tutti sullo stesso piano e nessuno può dare la colpa a nessun altro. Entrambe sono concezioni superficiali che annullano qualsiasi ragionevole distinzione; esse sono falsamente invocate per tentare di giustificare i nostri comportamenti riprovevoli o per tentare di negare la possibilità di essere condannati.
Il vuoto morale di queste teorie nichiliste e manifesto nel fatto che le società civili giuste e accettabili - le loro istituzioni, le loro leggi, la loro vita civile e la cultura e le tradizioni che fanno loro da sfondo - dipendono tutte assolutamente dalla capacità di operare, in tutte le situazioni, distinzioni morali e politiche significative. Certamente la guerra è una sorta d'inferno, ma perché ciò dovrebbe significare che cessano di valere tutte le distinzioni morali?
E ammettendo anche che a volte tutti o quasi tutti possono essere in una certa misura colpevoli, ciò non significa che tutti lo siano in misura uguale. Non esiste un momento in cui siamo svincolati da tutti i principi e da tutte le limitazioni morali e politiche. Teorie nichiliste del genere equivalgono a fingere di essere esenti da quei; principi e da quelle limitazioni che invece ci riguardano pienamente in ogni momento.

venerdì 29 ottobre 2010

"Leggendo i rotoli: un versi-culo" di Tony Harrison


La Pizia sul suo seggio di pietra
inalando marciume imparò a declamare
prima dell’età di Omero i primi
esametri che un essere umano abbia pronunciato.
Inondato di vapore, l’andatura pigra di drago morto,
il rettile sul suo orlo roccioso,
il putrido serpente, fu il vero
incantatore della vera poesia.

Con pensieri così riconciliavo
gli anni passati a scrivere con l’odore
del gas che perde e fantasticavo
di serpenti quando il fuoco del gas sibilava.
Mi aiutava a concentrarmi, il sibilo
come quello della Pitonessa pestata
che Apollo ridusse a un unico livido,
una pelle di serpente il premio del campione,
pestata così che Apollo potesse
essere l’unico nome tutelare di Delfi.
Bastonò fino alla tana del serpente,
poi barattò la sua clava rivestita di pelle con la lira,
ma ancora aleggiano pezzi fetidi di budella di serpente
quando il dio è sull’onda di un assolo magistrale.
La Musa che faceva la sua manicure
dimenticò di pulire le unghie dal sangue.
Così quando Apollo pizzica le corde
ne esce pura musica con olezzi di serpente.

Per oltre trent’anni passati a scrivere
il miasma che saliva dalla carogna del mostro,
gocciante attraverso il parquet e il tappeto di lana,
è stata l’ispirazione che inalavo.
Ho tollerato quella vaga zaffata
ma ora hanno chiuso i miei rubinetti del gas…
fetidi intestini di rettile, un gas malefico fugge
dai miei tubi di piombo bucati e sfigati.
Non più vecchio gas, grazie a Dio! - CO2
quel che il suicida più spesso ha scelto
(e una volta quando provai a scegliere quale,
il gas venne al primo posto insieme con Tyne Bridge).
E’ da lungo tempo che sento sibilare quello del Mare
del Nord
come quello della Pitonessa assopita di Delfi
i cui incrostati intestini e ossa
hanno appena scaricato nei miei bidoni della spazzatura,
con tutti i miei fornelli benché io recalcitrassi -

E’ fortunato che non ne sia esploso nessuno.

Agitazione sopra un simile odore
posso fin da molto piccolo rievocare.
C’è roba stecchita sotto il pavimento
diceva nonno Chiama Freddy Flea .
Fred, per cinquant’anni, aveva girato
con il suo circo di pulci. Ora in pensione
veniva chiamato per aiutare a scovare l’esatto punto
dove erano morti i ratti e guadagnarsi una pinta.
Il canile di alati segugi di Fred
erano mosconi in un contenitore di sapone.
Fred li lasciava andare, e tutto quello che faceva
per scoprire dove i ratti erano morti.
Loro ronzavano e si fermavano. Appena Fred
capiva
il punto dove tutti i suoi seguaci correvano
sollevava un asse di pavimento per svelare
un gatto rancido… voilà voilà.
I segugi di Fred avevano il loro babà.
Poi Fred li prendeva in una piccola rete
e spingeva le loro schiene in uno splendido blu faenza
nel contenitore del sapone.

martedì 26 ottobre 2010

"Eredità" di Tony Harrison

Come sei diventato poeta è un mistero
Dove cavolo hai preso il tuo talento?
Dico: avevo due zii, Jack e Harry –
uno era muto, l’altro balbuziente.

Considerazioni libere (174): a proposito di minatori e di diritti....

Una breve "considerazione". Il salvataggio dei 33 minatori cileni rimasti per 69 giorni nella miniera di San José è stato seguito con il fiato sospeso da tutto il mondo. Vedere risalire in superficie, uno dopo l'altro, quegli uomini è stato considerato una specie di miracolo, che però ci ha fatto dimenticare le cause di quell'incidente, che poteva avere conseguenze drammatiche.
Quell'incidente non deve essere considerato né imprevisto né imprevedibile. In un recente numero dell'Economist è stato presentato uno studio della banca svizzera Ubs, secondo cui i lavoratori di Santiago del Cile hanno gli orari di lavoro più lunghi che in qualsiasi altra città del mondo, con una media di 2.244 ore lavorate all'anno. In particolare i minatori cileni, secondo un'indagine della Direcciòn del trabajo cilena, lavorano in media 51 ore a settimana, 2.754 ore all'anno: sono numeri impressionanti che denunciano un vero e proprio sfruttamento. Ci sono altri numeri da considerare, sempre forniti dalla Direcciòn del trabajo: negli ultimi vent'anni i lavoratori impiegati nelle miniere cilene sono circa raddoppiati, passando da 67.100 a 133.989; le imprese negli ultimi dieci anni sono triplicate, passando da 1.322 a 3.628. Le imprese sono diventate sempre più piccole, con minori controlli sulla sicurezza e sui diritti dei lavoratori; la parcellizzazione delle imprese ha favorito il ricorso ai subappalti, con la conseguenza di rendere più flessibile il mercato del lavoro e più spinta la flessibilità. Specialmente nelle piccole imprese, i contratti a tempo indeterminato sono stati progressivamente sostituiti da contratti atipici. In Cile, nonostante gli anni dei governi democratici, la legislazione del lavoro risale in sostanza agli anni di Pinochet, anni di uno sfrenato liberismo imposto dalle autorità statunitensi. L'articolo 159 del codice del lavoro prevede la possibilità di licenziamento per "caso fortuito o forza maggiore": in caso di imprevisti i datori di lavoro possono licenziare i loro operai, senza indennizzi. In questa situazione, con operai sfruttati in turni di lavoro massacranti e tutele sempre meno definite, si capisce che gli investimenti per la sicurezza nelle miniere non siano molto ingenti e non siano certo il primo pensiero degli imprenditori.
Precarietà, sfruttamento, misure di sicurezza inconsistenti sono le cause che hanno portato 33 uomini a stare per oltre due mesi sotto terra, a rischio della vita. Pensiamoci, quando guardiamo le foto della salvezza e soprattutto pensiamoci quando si parla di modernità, di flessibilità, di crescita economica.

p.s. devo questa "considerazione" a un articolo del giornalista argentino Alfredo Zaiat, apparso su Pàgina 12 e tradotto nel nr. 869 di Internazionale.

lunedì 25 ottobre 2010

"Battere la fame con le democrazie" di Amartya Sen

Il peso di una carestia è a carico solo della popolazione colpita, e non dalla compagine di governo. La classe dirigente non muore mai di fame. Tuttavia, laddove il governo risponda al popolo e siano presenti un sistema di libera informazione e una critica pubblica non soggetta a censura, anche il governo troverà buone ragioni per impegnarsi al meglio a sconfiggere le carestie.
A fronte di un sistema politico democratico ben funzionante e di un sistema mediatico libero e privo di censura, nonché di partiti di opposizione desiderosi di far gravare sul governo l'incapacità di prevenire la fame, il governo stesso avverte una enorme pressione, che lo induce ad adottare misure rapide ed efficaci ogni qualvolta si delinei la minaccia di una carestia. Poiché le carestie sono facili da prevenire laddove si compiano sforzi concreti per arrestarle (come ho già avuto modo di affermare), la prevenzione si rivela in linea generale una strada percorribile. Non desta pertanto sorpresa che, tra tutte le terribili carestie che hanno lacerato il mondo, nessuna si sia mai verificata in un Paese indipendente dotato di una democrazia funzionante, con partiti di opposizione operanti in libertà e una stampa non soggetta a censura.
Le democrazie caratterizzate da un sistema mediatico libero ed energico e da regolari elezioni multipartitiche si dimostrano di fatto efficienti nel prevenire il verificarsi delle carestie. Ciò merita d' essere considerato se si analizza l'efficacia con cui il dibattito pubblico contemporaneo può farsi carico dei problemi delle generazioni future. Ma perché?
Per fare un confronto, si pensi che la percentuale di persone colpite dalle carestie non supera mai il dieci per cento della popolazione totale e risulta altresì solitamente inferiore al cinque. Una frazione così esigua difficilmente risulterà in grado di indurre la maggioranza a votare le misure direttamente necessarie a sradicare la minaccia della fame. Sono dunque il dibattito e l'impegno pubblico a diffondere l' ampiezza di vedute di coloro che, pur nutrendo interessi non necessariamente minacciati dalle carestie, ritengono ragionevole tentare di prevenirle - e mandano a casa i governi pertinaci. Pertanto, anche se coloro che hanno attualmente diritto al voto non ci saranno forse più quando le generazioni future si troveranno ad affrontare la gravità dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale, il dibattito pubblico democratico può rendere efficace il voto di oggi nel tutelare gli interessi delle generazioni future; allo stesso modo, una democrazia maggioritaria di oggi, in cui sia radicato con forza il dibattito pubblico, può salvare la vita a una minoranza di persone (quali le vittime potenziali di una carestia) che, di per sé, non può spostare il voto in un sistema maggioritario. Le democrazie che si contraddistinguono per libertà del dibattito pubblico e assenza di censura governativa forniscono gli strumenti con cui perseguire giustizia sociale in numerosissimi ambiti. E rendere giustizia ai cittadini di domani costituisce già una parte assai rilevante dell' impegno democratico. Un dibattito pubblico aperto è un mezzo idoneo a gestire le nostre responsabilità verso le generazioni future.
Le nostre responsabilità in materia di sviluppo sostenibile racchiudono dunque il ruolo svolto dai cittadini di oggi nel dibattito inerente una situazione mondiale che si estende oltre le vite individuali. Di sicuro, molti aspetti legati al collasso ambientale esprimono effetti immediati. A quanti respirano l' aria di Pechino, Città del Messico o Nuova Delhi non occorre ricordare che alcuni degli effetti derivanti dal degrado ambientale pregiudicano nell' immediato la qualità delle loro vite. E a prescindere dal fatto che ci si occupi della condizione della popolazione di oggi o di quella di domani, non si possono ignorare la responsabilità civica e la partecipazione alla vita politica.
Attualmente disponiamo di una letteratura piuttosto vasta sul ruolo che i singoli cittadini svolgono nella salvaguardia dell' ambiente, incentrata nella fattispecie su azioni che trovano motivazione in un senso di obbligo civico e di etica sociale. Andrew Dobson si spinge a sostenere quanto da lui definito col termine di "cittadinanza ecologica", che prescrive l' attribuzione all'ecologia di una priorità. Non sono del tutto certo che smembrare una cittadinanza integrata in specifici ruoli settoriali costituisca il modo migliore per interpretare la cittadinanza e la democrazia. Tuttavia, Dobson enfatizza con giusta ragione la portata delle responsabilità civiche nell' affrontare le sfide ecologiche. Egli analizza ed evidenzia in primo luogo ciò che i cittadini possono fare se spinti da motivazioni sociali e riflessioni ponderate, anziché da puri incentivi finanziari (agendo in qualità di "attori razionali mossi da egoismi personali").
Concentrare l' attenzione sul senso della responsabilità ecologica dei cittadini è tipico di una nuova tendenza che si colloca a metà strada fra teoria e pratica. La politica britannica, ad esempio, fu bersaglio di critiche sul finire del 2000 quando, in risposta a picchetti e proteste, il governo fece marcia indietro rispetto alla proposta di aumento delle imposte sulla benzina, senza compiere alcun tentativo serio di rendere la questione ambientale materia di dibattito pubblico.
Come afferma Barry Holden nel suo avvincente Democracy and Global Warming, "questo non significa necessariamente che la questione ambientale avrebbe vinto la battaglia", ma "suggerisce che avrebbe avuto una possibilità, se almeno fosse stata sollevata". La crescente delusione che si va registrando è associata non solo alla debolezza - o all' assenza - di iniziative concrete, capaci di coinvolgere i cittadini nelle politiche ambientali, ma anche al palese scetticismo delle amministrazioni pubbliche circa la possibilità di appellarsi con successo al senso di responsabilità sociale dei cittadini.

domenica 24 ottobre 2010

"Se l'occhio non si esercita, non vede" di Danilo Dolci


Se l’occhio non si esercita, non vede
pelle che non tocca, non sa
se il sangue non immagina, si spegne.
Pure provato da fatiche e lotte,
meravigliato dei capelli bianchi
di persistere vivo, la tua voce
pudore ha di poetare:
a irreprimibile esigenza,
terra acqua creature orizzonte,
ti sono adolescenti parole.

lunedì 18 ottobre 2010

Considerazioni libere (173): a proposito di piazze...

La manifestazione di sabato 16 ottobre avrà - almeno spero - delle conseguenze nella vita politica italiana. Quantomeno a sinistra.
La grande piazza di Roma racconta molte cose. Prima di tutto ci dice che in questo paese, al di là dell'attuale rappresentanza parlamentare, esiste un'area di sinistra, con la voglia e la capacità di mobilitarsi, di scendere in piazza, di protestare e di fare proposte. C'erano in quella piazza - e ci sono in Italia - molte anime di una sinistra politicamente dispersa: gli operai che vedono progressivamente ridursi alcuni diritti, ormai ritenuti acquisiti, e si scontrano con un mondo imprenditoriale che è sempre più forte, più arrogante e senza condizionamenti; i precari che a 40 anni quei diritti non li hanno ancora "incontrati" e vengono sfruttati da un mercato che chiama globalizzazione la mancanza di regole; i padri che si rendono conto che i loro figli hanno e avranno meno opportunità di quelle che hanno avuto loro alla stessa età; i giovani che, tra la scuola che non funziona e un mondo del lavoro ostile, sentono su di sé il peso di essere una generazione sfortunata. Sabato a Roma c'erano tutti loro; e c'erano quelli che chiedono che l'acqua rimanga un bene pubblico e pensano che l'ambiente sia un bene indisponibile; e c'erano quelli che chiedono dei programmi televisivi decenti e che la cultura non sia continuamente mortificata; e c'erano quelli che chiedono il ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan e dall'Iraq e sognano una politica internazionale che non sia solo rapporti di forza e interessi commerciali; c'erano i giovani del sud che sentono sempre più opprimente il peso della criminalità organizzata, che strozza la loro possibilità di futuro. In quella piazza c'erano - e ci sono in Italia - quelli che subiscono le tante ingiustizie sociali di questo paese. C'era anche dell'utopia in quella piazza; è inevitabile, ma una società vive anche se c'è un po' di utopia, e non la sola disillusione che oggi è prevalente.
Quella piazza poi dice un'altra cosa importante. Tutte queste persone hanno trovato nella Fiom e nella Cgil un soggetto - l'unico soggetto a carattere nazionale - capace di rappresentare le loro istanze, le loro proteste, le loro speranze. Il sindacato finisce per assumere un ruolo diverso da quello che dovrebbe avere, un ruolo probabilmente improprio. E' troppo facile criticare la Cgil per il fatto che rischia di diventare un partito; il problema - l'ho detto molte volte - è che il maggior partito del centrosinistra ha rinunciato al proprio ruolo di rappresentare un pezzo della società. La divisione emersa ancora una volta all'interno del Pd non è sanabile, nonostante le diplomazie di Bersani; chi ha criticato anche aspramente la piazza del 16 ottobre, chi ha preferito proprio quel giorno partecipare a un dibattito di Confindustria, chi loda la Cisl per il suo presunto senso di responsabilità, chi considera positivo l'accordo di Pomigliano, tutti costoro - che hanno nomi e cognomi e hanno responsabilità all'interno del partito - non vogliono essere definiti di sinistra. E' legittimo che continuino - nel Pd o in altro partito - la propria battaglia politica, che portino avanti le loro idee, ma è altrettanto legittimo che le persone che erano in piazza sabato a Roma abbiano un loro partito, di centrosinistra, come c'è in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna.
Ho apprezzato la chiarezza con cui Bersani è intervenuto nelle ultime settimane. Oggi in un'intervista a la Repubblica pone due questioni programmatiche chiare, che dovrebbero essere alla base della proposta del centrosinistra per le prossime elezioni: occorre introdurre un salario minimo per chi è fuori dalla contrattazione nazionale e occorre evitare che, a parità di costo del lavoro, un'ora di lavoro precario costi meno di un'ora di lavoro stabile. Questo è quello di cui hanno bisogno i giovani e anche i loro genitori. Ma poi dice una cosa che nasconde un pensiero che non mi piace: "la gente che stava a San Giovanni è una fonte di energia che va considerata". No, caro compagno Bersani, le persone che erano in piazza a Roma non sono un elemento del quadro, magari utili a fini elettorali, sono il quadro. Bersani, quando eravamo tutti socialisti - sembra ormai un secolo fa, ma sono passati soli pochi anni - disse che la sinistra esiste in natura; ed è verissimo, perché da una parte ci sono le ingiustizie e dall'altra c'è chi soffre per quelle ingiustizie e quindi lotta per vincerle e superarle. In questa società ci sono troppe ingiustizie e lo hanno ricordato in tanti sabato in piazza San Giovanni e lo vedono in tanti tutti i giorni, e c'è chi lotta contro queste ingiustizie. Tra chi lotta c'è la Cgil, in maniera netta, a volte forse velleitaria, magari sbagliando, e non c'è, o non c'è abbastanza, il Pd.

sabato 16 ottobre 2010

Considerazioni libere (172): a proposito di spose bambine e di delitti d'onore...

Circa otto giorni fa ho letto sul sito OsservatorioIraq questa notizia: in Turchia i matrimoni in cui sono coinvolte donne minorenni arrivano al 37% del totale di quelli registrati. Si tratta di un fenomeno che è presente, pur in proporzioni minori, anche nelle città, sia nella capitale Ankara che nella più "occidentale" Istanbul, ma la media sale drammaticamente nelle più remote regioni curde del sud-est: qui i matrimoni con spose bambine sono circa il 68% del totale.
Si tratta prima di tutto di un problema culturale, ma le leggi turche non aiutano a tutelare i diritti delle giovani donne: infatti il diritto civile stabilisce che per sposarsi bisogna avere compiuto 17 anni, ma il codice penale definisce bambino solo chi ha meno di 15 anni e questa ambiguità delle legge permette che questi matrimoni possano essere registrati. A complicare il tutto c'è poi la difficoltà in alcune regioni di controllare effettivamente i dati anagrafici delle persone. Queste informazioni sono state fornite dall’organizzazione per i diritti delle donne Uçan Süpürge, durante la presentazione del progetto chiamato "Spose bambine: vittime di tradizioni distruttive e di un’eredità sociale patriarcale", che durerà 18 mesi e coinvolgerà 54 province turche; la stessa ong sta lavorando per raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che porti a 18 anni l'età legale per potersi sposare. La coordinatrice del progetto Selen Dogan, nella stessa occasione ha affermato che "i matrimoni prematuri violano i diritti delle donne e dei bambini, e più in generale i diritti umani" e ha ricordato che nel solo 2009, secondo i dati del ministero turco dell’istruzione, sono state 693 le studentesse che hanno lasciato gli studi per sposarsi. La stessa Dogan ha spiegato che, anche se molte di queste donne non possono essere considerate come una sorta di "prigioniere in casa", certamente la maggior parte di loro sono del tutto inconsapevoli dei propri diritti e che, con altrettanta certezza, c'è un preciso legame tra "matrimoni prematuri" e violenze domestiche.
Personalmente sono favorevole all'ingresso della Turchia nell'Unione europea e ho considerato una buona notizia l'esito del recente referendum che ha contribuito a togliere potere ai militari, per rafforzare le istituzioni democratiche; credo però che gli stati europei - e l'Italia che ha notevoli interessi in quel paese - dovrebbero fare pressione sul governo turco affinché la legge venga cambiata, ma soprattutto che si lavori concretamente per far crescere una cultura dei diritti, specialmente dei diritti delle donne. C'è poi un altro aspetto su cui mi sembra necessario riflettere: spesso noi "progressisti" abbiamo condannato - e condanniamo - il governo turco per il modo in cui sono trattati i curdi; io, nel mio piccolo, ne ho parlato in due "considerazioni", la nr. 75 e la nr. 109, per la precisione. Forse dovremmo fare un po' più di attenzione: dobbiamo certamente continuare a chiedere che il governo turco rispetti i diritti della minoranza curda, ma dobbiamo anche denunciare lo stato delle donne curde. Il fatto di essere una minoranza oppressa non giustifica gli uomini curdi a mantenere un regime così rigidamente patriarcale.
Letta questa notizia, ho deciso di scriverne sul mio blog, ma per qualche giorno non ho trovato il tempo per farlo. Nel frattempo ho letto nel nr. 867 di Internazionale un'interessante inchiesta che il giornalista inglese Robert Fisk ha condotto per il quotidiano The Independent sulla condizione delle donne in Medio oriente. Vi consiglio di leggere questo articolo. A questo punto ho deciso di scrivere questa "considerazione" perché i temi sono strettamente legati.
Secondo i dati delle Nazioni Unite - molto probabilmente sottostimati - nel 2007, l'ultimo dato per cui ci sono dati significativi, cinquemila donne sono state uccise per motivi d'onore. Molti di questi delitti sono le conseguenze di "matrimoni prematuri"; poi ci sono storie terribili di violenze domestiche, di stupri consumati in famiglia e infine "lavati" con il delitto. Naturalmente sono sempre le donne, e in genere le giovani donne, che pagano per colpe che altri hanno commesso. Leggere l'articolo di Fisk è come scendere in un girone dantesco: ci sono storie di ragazze uccise dalle loro famiglie soltanto perché possedevano un cellulare o perché nella memoria del loro telefonino c'era un numero non conosciuto; storie di donne che si sono uccise perché innamorate di un uomo che era di una casta inferiore o che non era stato scelto per lei dal padre; storie di ragazze uccise perché scoperte incinta, magari dopo uno stupro.
C'è un elemento interessante nell'inchiesta di Fisk, che merita di essere sottolineato. Il fenomeno dei delitti d'onore non è legato alla religione, come troppo spesso anche noi tendiamo a pensare. O almeno non è solo legato alla religione. Il delitto d'onore è un fenomeno che interessa tutto il Medio oriente, dal laico Libano all'India di religione indù, passando ovviamente per i paesi islamici, più o meno radicali; ma nella comunità cristiana della Giordania i delitti d'onore sono più frequenti che nel resto del paese. E' un problema culturale prima che religioso, su cui bisogna intervenire, a partire dall'educazione, ricordando sempre che il primo obiettivo deve essere quello di tutelare i diritti delle donne e dei bambini.

venerdì 15 ottobre 2010

"Io non ho prova della mia esistenza" di Giorgio Manganelli


Io non ho prova della mia esistenza
se non per questo
dolore continuo dell'orecchio,
una lettera d'amico,
il gusto denso della birra
contro le gengive.
Fuori del sigillo
della paura ininterrotta
non ho altro indizio
della mia continuità.

mercoledì 13 ottobre 2010

Considerazioni libere (171): a proposito di primarie e di "secondarie" bolognesi...

Come sapete, su questo blog cerco di commentare il meno possibile le vicende politiche bolognesi, nonostante la tentazione sia spesso forte; prevale però il rispetto per i miei sparuti lettori, avendo ormai verificato che la grandissima maggioranza di voi non è di Bologna, rischia di non cogliere i riferimenti ai vari personaggi citati e probabilmente non è interessata alla quotidianità di quello che succede in questa città. Questa volta però c'è una notizia che è riuscita a "bucare" le pagine nazionali dei quotidiani e la tentazione è troppo forte; per cui vi prego di scusarmi questa divagazione bolognese.
Il prossimo sindaco di Bologna sarà Maurizio Cevenini. Non serve la palla di vetro per fare questa profezia: i concorrenti alle primarie del centrosinistra, che si terranno il prossimo 5 dicembre, sono troppo deboli per impensierirlo e il centrodestra bolognese non riuscirà nei pochi mesi che ci separano dalle elezioni di primavera a presentare un candidato credibile, continuandosi ad avvitare nelle proprie piccole beghe interne. Cevenini - il Cev, come da tempo è chiamato dai giornali e dalla gente - è una persona intelligente, che in questi anni si è ritagliato, con pazienza, un ruolo in città. Simpatico, allegro, sempre pronto alla battuta, è l'ospite ideale per le trasmissioni delle radio e delle televisioni locali, qualunque sia l'argomento trattato; il calcio e il Bologna sono una sua grande passione, che ha saputo sfruttare con scaltrezza; è l'animatore della pesca gigante alla Festa dell'Unità e l'infaticabile "officiante" dei matrimoni civili in Comune - più di 4.000 coppie bolognesi sono state sposate dal Cev; partecipa di persona a moltissime iniziative ed è un grande utilizzatore della rete, che usa con abilità; piace alla base del partito, perché non ha mai nascosto di essere il figlio di un barbiere, e si muove disinvoltamente nei salotti, anche perché per diversi anni si è occupato professionalmente di sanità privata; rivendica l'antica militanza nel Pci, ma è ben visto dalla Curia. Non è una persona facile da inquadrare, anche perché in questi lunghi anni si è sempre accuratamente tenuto fuori dalle polemiche. Il Cev è stato indubbiamente fortunato: se non ci fossero stati la fuga di Cofferati e il clamoroso scandalo che ha costretto Delbono alle dimissioni non sarebbe mai diventato sindaco; ma è stato anche incredibilmente abile, si è fatto trovare pronto proprio nel momento in cui c'è bisogno di lui. Nessuno nel partito lo vuole sfidare alle primarie e i malumori si sussurrano a mezza bocca, a parte qualche eccezione: comunque la sua strada è ormai spianata.
Non voto a Bologna, se abitassi in città sicuramente non parteciperei alle primarie e francamente non so cosa farei alle elezioni: probabilmente non andrei a votare. Non ho nulla contro Maurizio - tutt'altro - penso che probabilmente sarà un buon sindaco, ma sinceramente trovo sconfortante il modo in cui si è arrivati alla sua candidatura. La scelta del Cev è il modo per nascondere la polvere sotto il tappeto; e di polvere ce n'è moltissima. C'è la polvere che viene dalla situazione nazionale del centrosinistra: il Pd con il suo incerto profilo programmatico, la sinistra dilaniata e debolissima, i proclami di Di Pietro, che teme la concorrenza di Grillo, la rassegnazione di tanti elettori che hanno rinunciato. E poi c'è la polvere specificamente bolognese: la mancata analisi di quello che è successo nel '99, il trascinarsi di una polemica condotta spesso sotto traccia e per interposta persona, il progressivo abbandono di tante persone e l'inarrestabile ascesa di molti mediocri. A Bologna per tanti la politca sembra ormai qualcosa di superfluo. In questo vuoto c'è il Cev. Qualcuno probabilmente pensa che il Cev, una volta diventato sindaco, sarà facile da "guidare": non credo sarà così, Cevenini sa benissimo cosa fare e lo farà, vista anche la debolezza di quello che ha intorno. Peccato che nessuno sappia ancora cosa vuole fare.
Speriamo che sia, ancora una volta, il mio inguaribile pessimismo.

"Ricetta per uccidere un uomo" di Josè Saramago

Si prendono qualche decina di chili di carne, ossa e sangue, secondo parametri adeguati. Si dispongono armoniosamente in testa, tronco e membra, si riempiono di viscere e di una rete di vene e nervi, avendo cura di evitare errori di fabbricazione che siano pretesto alla comparsa di fenomeni teratologici. Il colore della pelle non ha alcuna importanza.

Al prodotto di questo delicato lavoro si dà il nome di uomo. Si serve caldo o freddo a seconda della latitudine e della stagione dell’anno, dell’età e del temperamento. Se poi se ne vogliono lanciare prototipi sul mercato, gli si infondono alcune qualità che li distingueranno dalla massa: coraggio, intelligenza, sensibilità, carattere, amore per la giustizia, bontà attiva, rispetto per il prossimo e per il distante. I prodotti di seconda scelta avranno, in maggiore o minor grado, l’una o l’altra di queste virtù di attributi positivi, parallelamente agli opposti, in genere predominanti. La modestia impone di non ritenere fattibili prodotti integralmente positivi o negativi. Ad ogni modo, si sa che anche in questi casi il colore della pelle non ha alcuna importanza.

L’uomo, classificato nel frattempo con un’etichetta personale che lo distinguerà dai suoi simili, usciti come lui dalla catena di montaggio, viene posto a vivere in un edificio cui si dà, a sua volta, il nome di Società. Occuperà uno dei piani di quest’edificio, ma raramente gli sarà consentito di salire la scala. Scenderla è permesso e a volte facilitato. Nei piani dell’edificio ci sono molte abitazioni, designate ciascuna o da ceti sociali o da professioni. La circolazione avviene per canali detti abitudine, usanza e preconcetto. È pericoloso andare contro la corrente dei canali, sebbene alcuni lo facciano per tutta la vita. Costoro, nella cui massa carnale si trovano fuse le qualità distintive dei prodotti che rasentano la perfezione, o che hanno optato deliberatamente per queste qualità, non si identificano dal colore della pelle. Ce ne sono di bianchi e di neri, di gialli e di bruni. Sono pochi i ramati, ma solo perché si tratta di una serie quasi estinta.

Il destino ultimo dell’uomo è, come si sa fin dall’inizio del mondo, la morte. La morte, in quel preciso momento, è uguale per tutti. Non però quanto la precede immediatamente. Si può morire con semplicità, come chi si addormenta; si può morire attanagliati da una di quelle malattie di cui eufemisticamente si dice che “non perdonano”; si può morire sotto tortura, in un campo di concentramento; si può morire volatilizzati all’interno del sole atomico; si può morire al volante di una Jaguar o investiti da essa; si può morire nel bagno o dal barbiere; si può scegliere la propria morte, e questo si chiama suicidio; si può morire di fame o di indigestione; si può anche morire di un colpo di fucile, al crepuscolo, quando c’è ancora la luce del giorno e non si pensa che la morte sia vicina. Ma il colore della pelle non ha alcuna importanza.

Martin Luther King era un uomo come ognuno di noi. Aveva le virtù che sappiamo, sicuramente dei difetti che non ne sminuivano le virtù. Aveva un lavoro da compiere - e lo compiva. Lottava contro le correnti dell’abitudine, dell’usanza, del preconcetto, immerso in esse fino al collo. Finché arrivò il colpo di fucile a ricordare ai distratti quel che siamo e che il colore della pelle ha molta importanza.

venerdì 8 ottobre 2010

da "Carta 08", il manifesto dei dissidenti cinesi

Liu Xiaobo, firmatario di Carta 08, premio Nobel per la pace 2010

I nostri principi fondamentali
Questo è un momento storico per la Cina e da esso dipende il nostro futuro. Rivedendo il processo di modernizzazione politica negli ultimi 100 anni e più, noi riaffermiamo e sottoscriviamo i seguenti valori universali fondamentali:
Libertà. Essa è il fulcro dei valori umani universali. Libertà di parola, di stampa, di credo, di raduno, di associazionismo, di movimento, come anche la libertà di sciopero, di dimostrare e protestare, sono le forme in cui essa si esprime. Senza libertà, la Cina rimarrà sempre lontana dagli ideali della civiltà.
Diritti umani. Essi non sono concessi benevolmente dallo Stato. Ogni persona nasce con specifici diritti alla dignità e alla libertà. Il governo esiste per la protezione dei diritti umani dei suoi cittadini. L’esercizio del potere dello Stato deve essere autorizzato dal popolo. La serie di disastri politici nella storia recente della Cina è una conseguenza diretta del disprezzo da parte del regime verso i diritti umani.
Uguaglianza. L’integrità, dignità, libertà di ogni persona - senza guardare al livello sociale, l’occupazione, il sesso, le condizioni economiche, l’etnia, il colore della pelle, la religione o il credo politico - sono uguali per tutti. Bisogna sostenere i principi di uguaglianza di fronte alla legge e nei diritti sociali, economici, culturali, civili e politici.
Repubblica. La forma repubblicana sostiene che il potere deve essere bilanciato fra rami differenti del governo e deve comporre e servire i diversi interessi. Esso ricorda l’ideale politico della tradizione cinese della “bellezza di tutti sotto il cielo”. Permette a differenti interessi di gruppo e assemblee sociali, persone di varie culture e credo, di esercitare un auto-governo democratico e decidere in modo da raggiungere soluzioni pacifiche a problemi del pubblico, sulla base di un uguale accesso al governo e a una libera e onesta competizione.
Democrazia. Il principio fondamentale della democrazia è che il popolo è sovrano e che il popolo sceglie il suo governo. La democrazia ha queste caratteristiche: 1) il potere politico comincia con il popolo e la legittimità di un regime deriva dal popolo; 2) il potere politico va esercitato attraverso scelte fatte dal popolo; 3) le cariche nei posti più importanti a tutti i livelli del governo sono determinate attraverso libere e competitive elezioni periodiche; 4) onorando il volere della maggioranza, si deve anche proteggere la dignità fondamentale, la libertà e i diritti umani delle minoranze. In breve, la democrazia è il mezzo moderno per giungere a un governo che sia davvero “del popolo, dal popolo, per il popolo”.
Regole costituzionali. Esse sono il modo in cui i principi espressi nella costituzione vengono attuati attraverso un sistema legale e delle regole legali. Significa proteggere la libertà e i diritti dei cittadini, limitare e definire gli scopi del potere di un governo legittimo, provvedere che vi sia un apparato amministrativo che serva questi fini.

Che cosa difendiamo
C’è un generale declino dei sistemi autoritari in tutto il mondo. Anche in Cina l’era degli imperatori e dei feudatari sta andando verso la fine. In ogni luogo è tempo ormai per tutti i cittadini di divenire padroni dei loro Stati. La pista che conduce fuori dell’impasse attuale in cui versa la Cina è quella che porta al distacco dalla nozione autoritaria di confidare in un'“illuminata supervisione” o in un “onesto burocrate”, seguendo invece un sistema di libertà, democrazia, stato di diritto, verso la crescita della coscienza di moderni cittadini che vedono i diritti come fondamentali e la partecipazione come un dovere.
Proprio per questo e in uno spirito di dovere, responsabilità, costruttività di cittadini, offriamo le seguenti raccomandazioni su un governo nazionale, i diritti dei cittadini, lo sviluppo sociale.
1. Una Nuova Costituzione. Dobbiamo riformulare la nostra attuale costituzione, eliminando quegli aspetti che non sono in conformità con il principio secondo cui la sovranità è del popolo, trasformandolo in un documento che davvero garantisce i diritti umani, autorizza l’esercizio del potere pubblico, serve come sostegno legale alla democratizzazione della Cina. La Costituzione deve essere la legge suprema del Paese, inviolabile da parte di individui, gruppi o partiti.
2. Separazione dei poteri. Dobbiamo costruire un governo moderno, in cui sia garantita la separazione fra potere esecutivo, giudiziario e amministrativo. Abbiamo bisogno di una legge amministrativa che definisca l’ampiezza della responsabilità del governo, prevenendo abusi di potere. Il governo deve rispondere a chi paga le tasse. La divisione di potere fra governi provinciali e centrale deve sottostare al principio per cui i poteri del governo centrale sono solo quelli stabiliti dalla costituzione, mentre tutti gli altri poteri appartengono ai governi locali.
3. Democrazia legislativa. I membri dei corpi legislativi devono essere tutti scelti attraverso elezioni dirette, e una democrazia legislativa dovrebbe osservare norme giuste e imparziali.
4. Indipendenza del potere giudiziario. La legge deve essere al di sopra degli interessi di ogni specifico partito politico e i giudici devono essere indipendenti. È necessario stabilire una Corte suprema costituzionale e varare procedure per le revisioni della costituzione. Al più presto vanno aboliti tutti quei Comitati per gli affari politici e legali che a tutt’oggi permettono ai membri del Partito comunista di ogni livello di decidere in anticipo e fuori delle corti su casi politicamente sensibili. Dobbiamo proibire con forza l’uso di cariche pubbliche per scopi privati.
5. Pubblico controllo del servizio pubblico. L’esercito deve rispondere al governo nazionale, non a un partito politico e dovrebbe essere reso molto più professionale. Il personale militare deve giurare sulla Costituzione e rimanere neutrale. Organizzazioni politiche e partitiche devono essere proibite fra i militari. Tutti i rappresentanti pubblici, compresa la polizia, devono servire in modo neutrale, senza schierarsi. Deve finire la pratica attuale di favorire un partito politico nelle assunzioni per un servizio pubblico.
6. Garantire i diritti umani. Si devono garantire in modo preciso i diritti umani e il rispetto per la dignità umana. Si deve creare un Comitato per i diritti umani, capace di vigilanza fino ai corpi legislativi più al vertice, capace di bloccare possibili abusi di potere da parte del governo che violino i diritti umani. Una Cina democratica e costituzionale deve garantire in modo speciale la libertà personale dei cittadini. Nessuno deve subire arresti illegali, detenzione, accuse, interrogatori, punizioni. Il sistema della “rieducazione attraverso il lavoro” deve essere abolito.
7. Elezione dei pubblici ufficiali. Ci deve essere un sistema completo per elezioni democratiche basate su “una persona, un voto”. Va attuato in modo sistematica l’elezione diretta dei responsabili amministrativi a livello di contea, città, provincia e nazione. Il diritto a tenere elezioni libere e periodiche e a parteciparvi è un diritto inalienabile per ogni cittadino.
8. Uguaglianza fra città e campagne. Almeno i due terzi del sistema attuale di registrazione deve essere abolito. Esso favorisce i residenti delle città e colpisce quelli che risiedono nelle campagne. Dobbiamo invece stabilire un sistema che dà ad ogni cittadino gli stessi diritti costituzionali e la stessa libertà nello scegliere dove vivere.
9. Libertà di formare gruppi. Deve essere garantito il diritto dei cittadini a formare gruppi. L’attuale sistema di registrazione per gruppi non governativi, che richiede “l’approvazione” previa di un gruppo, va sostituita con un sistema in cui un gruppo registra se stesso in modo diretto e semplice. La costituzione e la legge deve governare la formazione di partiti politici; ciò significa che dobbiamo abolire il privilegio speciale di un partito che monopolizza il potere e dobbiamo garantire principi per una competizione libera e obbiettiva fra i partiti politici.
10. Libertà di raduno. La Costituzione difende assemblee pacifiche, dimostrazioni, proteste e libertà di espressione quali diritti fondamentali del cittadino. Non si deve permettere al partito al governo e il governo stesso di interferire in modo illegale o non costituzionale contro di essi.
11. Libertà di espressione. Dobbiamo rendere universale il diritto di parola, di stampa e di libertà accademica, garantendo che i cittadini siano informati e messi nella possibilità di esercitare il loro diritto di supervisione. Queste libertà vanno sostenute con una legge sulla stampa che abolisca le restrizioni politiche su di essa. L’articolo dell’attuale codice criminale che parla di “crimine di incitamento alla sovversione del potere statale” deve essere abolito. Dobbiamo finirla col guardare alle parole come dei crimini.
12. Libertà di religione. Dobbiamo garantire la libertà di religione e di credo, istituendo la separazione fra religione e Stato. Non vi devono essere interferenze del governo nelle attività religiose pacifiche. Dobbiamo abolire ogni legge, regolamento, regola locale che limiti o sopprima la libertà religiosa dei cittadini. Dobbiamo abolire il sistema attuale che richiede ai gruppi religiosi (e ai loro luoghi di culto) di ottenere l’approvazione ufficiale in anticipo, sostituendolo con un sistema in cui la registrazione è facoltativa e, per quelli che la scelgono, automatica.
13. Educazione civica. Nelle nostre scuole dobbiamo eliminare l’educazione politica e gli esami che mirano ad indottrinare gli studenti nell’ideologia di Stato, instillando il sostegno verso il governo di un partito. Dobbiamo sostituirla con l’educazione civica che promuova valori universali e diritti dei cittadini, faccia crescere la coscienza civica e promuova le virtù civiche che servono la società.
14. Protezione della proprietà privata. Dobbiamo attuare e proteggere il diritto alla proprietà privata e promuovere un sistema economico di mercato libero e onesto. Dobbiamo abbandonare i monopoli governativi nel commercio e nell’industria e garantire la libertà di fondare nuove imprese. Dobbiamo varare un Comitato sulla proprietà dello Stato, che faccia rapporto al parlamento nazionale, che verifiche il trasferimento di imprese statali a proprietà di privati, in una maniera neutra, competitiva e ordinata. Dobbiamo varare una riforma fondiaria che promuova la proprietà privata della terra, garantisca il diritto di comprare e vendere la terra, e permetta alla proprietà privata di essere valutata in modo vero nel mercato.
15. Riforma finanziaria e delle tasse. Dobbiamo stabilire un sistema della finanza pubblica che sia regolato in modo democratico e verificabile, e che assicuri la protezione dei diritti di chi paga le tasse, e che operi secondo procedure legali. Abbiamo bisogno di un sistema per cui le entrate pubbliche ad un certo livello – centrale, provinciale, di contea, o locale – siano controllate allo stesso livello. Abbiamo bisogno di una grande riforma del sistema delle tasse che abolisca ogni tassa ingiusta, semplifichi il sistema, distribuisca il peso delle imposte in modo equilibrato. Ai membri del governo è vietato l’aumento delle tasse, o l’istituzione di nuove, senza decisione pubblica e l’approvazione di una assemblea democratica. Dobbiamo riformare anche il sistema di proprietà per incoraggiare la competizione fra un più vasto numero di partecipanti al mercato.
16. Sicurezza sociale. Dobbiamo costruire un sistema di sicurezza sociale che copra tutti i cittadini, e assicuri loro un accesso fondamentale a istruzione, sanità, pensione e impiego.
17. Proteggere l’ambiente. Abbiamo bisogno di proteggere l’ambiente naturale e promuovere uno sviluppo che sia sostenibile e responsabile verso i nostri discendenti e verso il resto dell’umanità. Ciò significa che lo Stato e suoi rappresentanti a tutti i livelli devono non solo fare quello che è giusto per giungere a questi scopi, ma accettare anche la supervisione e la partecipazione di organizzazioni non governative.
18. Una repubblica federale. Una Cina democratica deve cercare di agire come una massima potenza responsabile, che contribuisca alla pace e allo sviluppo della regione Asia-Pacifico avvicinandosi agli altri in uno spirito di uguaglianza e onestà. Per Hong Kong e Macao dobbiamo sostenere le libertà che là esistono di già. Riguardo a Taiwan, dobbiamo anzitutto dichiarare il nostro impegno verso i principi di libertà e di democrazia, e quindi cercare una formula di riunificazione pacifica, negoziando fra uguali, ed essendo pronti al compromesso. Dobbiamo anche affrontare dispute nelle aeree delle minoranze in Cina con una mente aperta, cercando vie per trovare uno schema in cui tutte i gruppi etnici e religiosi possano fiorire. Dovremmo tendere allo scopo di una federazione di comunità democratiche della Cina.
19. Verità nella riconciliazione. Dobbiamo riabilitare la reputazione di tutte le persone - comprese le loro famiglie - che hanno sofferto di ostracismo e umiliazione nelle campagne politiche del passato o sono stati bollati come criminali a causa del loro pensiero, parole, o fede. Lo Stato dovrebbe pagare un risarcimento a queste persone. Tutti i prigionieri politici e di coscienza devono essere liberati. Ci deve essere una Commissione per la ricerca della verità incaricata di trovare prove fattuali delle ingiustizie e atrocità del passato, determinando le responsabilità , garantendo giustizia e su queste basi, ricercando anche la riconciliazione sociale.

giovedì 7 ottobre 2010

Considerazioni libere (170): a proposito di diritto allo studio...

Oggi voglio raccontare una vicenda - sperando di non abusare della pazienza dei miei sparuti lettori - successa poco meno di vent'anni fa in un piccolo comune vicino a Bologna.
I protagonisti di questa storia sono due bambini, di nome M. e A., un maschio e una femmina, praticamente coetanei - tra i due c'è un solo anno di differenza - che i medici hanno diagnosticato, sin dalla nascita, come portatori di handicap gravissimo; uno dei due, se fosse nato solo qualche anno prima, senza i continui progressi registrati ogni giorno dalla medicina, sarebbe sopravvissuto probabilmente soltanto per due o tre anni. Per fortuna M. e A. sono nati in famiglie che hanno avuto la capacità di accoglierli con grande amore e si sono molto impegnate per assicurare loro il massimo dell'assistenza possibile, un compito non semplice, che solo l'amore appunto ha reso - e rende - possibile; e giustamente le famiglie di M.e A. sono le altre protagoniste di questa storia.
Raggiunti i tre anni, M.e A. sono stati iscritti alla scuola materna comunale. Non è stato semplice, ma l'inserimento è stato positivo, grazie al lavoro delle insegnanti, alla competenza della coordinatrice pedagogica e al supporto costante della neuropsichiatra dell'unità sanitaria. Naturalmente ci sono stati dei costi: sono stati necessari alcuni adeguamenti nella struttura, si sono dovuti finanziare dei momenti specifici di formazione sia per le insegnanti sia per il personale ausiliario, è stato ridotto il numero complessivo delle bambine e dei bambini ammessi alla scuola; l'Amministrazione comunale ha deciso di sopportare queste spese, tagliando in qualche altro settore, per garantire ai due bambini un primo inserimento nel mondo della scuola e per aiutare in maniera concreta quelle due famiglie. Una parte delle attività della scuola è stata indirizzata a spiegare agli altri la diversità di M.e A. e anche questo aspetto, grazie alla sensibilità delle famiglie, è stato positivo.
Quasi nello stesso tempo è stata coinvolta la Direzione didattica - c'era allora una direttrice molto attiva - per capire come garantire l'inserimento dei due bambini nella scuola elementare. Un intelligente funzionario del Provveditorato - allora si chiamava così quello che ora si chiama Csa - ha proposto l'istituzione di una "unità educativa sperimentale", una u.e.s., ovvero la creazione di una classe "speciale" per M.e A. all'interno della scuola elementare. In un primo momento la proposta ha suscitato una qualche perplessità: istituire una classe "speciale" sembrava un passo indietro rispetto a una scelta, ormai consolidata nella scuola, di favorire al massimo l'integrazione nelle classi dei bambini portatori di handicap. Il funzionario spiegò che in quel caso l'integrazione avrebbe avuto risultati molto scarsi, per la gravità delle patologie di M.e A.; per loro da un certo punto di vista sarebbe stato meglio continuare la scuola materna, anche se era impossibile. Spiegò poi che attraverso la u.e.s. sarebbe stato possibile da un lato seguire in maniera adeguata M.e A. e dall'altro lato organizzare attività e laboratori per coinvolgere, insieme a loro due, tutti gli alunni della scuola, e non solo i loro coetanei di classe.
Questa scelta implicava uno sforzo notevole per tutte le istituzioni coinvolte; per garantire l'attuazione del progetto e il tempo pieno per M.e A. il Provveditorato avrebbe dovuto garantire l'assegnazione di un insegnante a tempo pieno per la u.e.s. e di uno a tempo parziale per i laboratori, l'Usl - ora si chiama Asl - l'assegnazione di un insegnante e il coordinamento del controllo neuropsichiatrico, il Comune l'assegnazione di un terzo insegnante e di una bidella. A carico del Comune ci fu anche la costruzione ex novo di uno spazio, a fianco della scuola elementare e collegata con quella, con tutte le caratteristiche tecniche necessarie. Realizzare tutto questo non è stato semplice, ha richiesto qualche tempo, con la decisione di far slittare di un anno l'ingresso del bambino più grande nella scuola dell'obbligo e di farlo stare un anno in più nella scuola materna comunale.
Tutto questo lavoro ha permesso a M.e A. di completare le scuole dell'obbligo, di non far gravare l'assistenza esclusivamente sulle loro famiglie e infine di insegnare ai tanti bambini che hanno frequentato la scuola elementare in quei cinque anni che, anche se apparentemente non siamo tutti uguali, tutti abbiamo gli stessi diritti e tutti abbiamo grandi ricchezze da donare agli altri. Per M. l'unico modo di comunicare con gli altri era - ed è - attraverso le mani: il suo abbraccio è qualcosa che non può essere dimenticato.
Ho scritto di questa esperienza, che - vi assicuro - è vera, perché ho letto la storia di un ragazzo disabile che, iscritto alla seconda superiore, alcuni giorni fa nessuno ha accompagnato in bagno quando ne aveva bisogno; né la scuola né il Comune - quello di Milano, in questo caso - hanno le risorse per garantire questa assistenza e ora la madre sarà costretta ad andare a scuola con il figlio per impedire il ripetersi di un episodio del genere, che è stato un trauma per quel ragazzo. Le autorità hanno detto che non ci sono le risorse.
Ho raccontato la storia di M.e A. per dire che le risorse, se c'è la volontà, si trovano e soprattutto che le risorse, anche se ingenti, non sono sufficienti, se non ci sono idee, competenze, voglia di sperimentare. Nella storia di M.e A. non ci sono soltanto istituzioni che hanno speso soldi pubblici, ma persone che hanno creduto in un progetto, convinti che la priorità fosse garantire il rispetto dell'art. 3 della Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

mercoledì 6 ottobre 2010

"L'isola deserta" di Josè Saramago

Per essermi mostrato troppo esigente con il comandante della nave che mi trasportava fui sbarcato su un’isola deserta. Mi dettero cibo per quindici giorni o quindici anni (non sono mai riuscito ad appurarlo con certezza), armi e munizioni (bombe atomiche incluse), e tra i passatempi della nave mi consentirono di prendere un libro e un disco. Scelsi il Don Chisciotte e l’Orfeo. Converrà spiegarne il perché. Avrei vissuto solo, e in pace, se possibile. Avrei avuto molto lavoro e poche distrazioni. Dunque, quale migliore libro del Don Chisciotte, che fa ridere e ha una Dulcinea inesistente, e dell’Orfeo, che fa piangere e ha un’Euridice morta? Con questa deliberata assenza avrei popolato le mie interminabili notti.

Vissi così sull’isola deserta. Non so quanto, ma fu più di quindici giorni e meno di quindici anni. Non arrivai a percorrere tutta l’isola, ma so che era deserta, altrimenti non mi ci avrebbero sbarcato. Persi la parola per l’abitudine di non parlare, e con ciò regalai al mondo un po’ di silenzio. Oltre al canto degli uccelli e al ruggito di una bestia feroce (non la vidi mai, ma dal ruggito era sicuramente feroce) non si udiva sull’isola altro che gli appelli disperati di Orfeo e le risate di Sancio Panza. Don Chisciotte, lui, passeggiava tutte le mattine lungo la spiaggia odorosa di alghe e di sale, sempre più magro, a cavallo delle ossa di Ronzinante. Di notte saliva su un’alta roccia e se ne stava a contare le stelle. Infilato al braccio sinistro teneva l’elmo di Mambrino, girato al contrario per offrire un rifugio al piccolo uccello che vi si era abituato a dormire. Con la lancia nella destra, Don Chisciotte vegliava sul sonno dell’uccellino. Ogni tanto mandava un sospiro. Non riuscii a chiedergli per quale ragione sospirasse, perché nel frattempo ero arrivato alla fine del libro.

Vivemmo tutti e quattro in buona pace sull’isola deserta. Un giorno si arenò sulla costa una grande cassa. Mentre l’aprivo, si raccolsero attorno a me i miei compagni. Non vi restarono a lungo: videro subito che dentro non c’era né Euridice, né Dulcinea, e neppure una botticella di vino. Ciascuno tornò alla sua vita, mentre io mi scervellavo per capire che cosa fosse quella roba. Aveva luci che si accendevano e si spegnevano e sembrava respirare. Solo più tardi, quando la vita sull’isola cominciò a modificarsi, scoprii che si trattava di un computer, cervello elettronico o qualcosa di simile. Onnisciente, non io, la macchina, è chiaro. Era comunque una compagnia. Il peggio fu che la nostra bella anarchia finì. Orfeo poteva piangere solo in certe ore, l’uccellino di Don Chisciotte fu accusato di trasmettere la psittacosi (e non era un pappagallo, lo giuro), e Sancio Panza dovette mettere da parte i proverbi e imparare l’inglese. In un certo senso, da questi e da altri cambiamenti traemmo giovamento, ma si insinuò in tutti noi un’inquietudine che era quasi una malattia e che il computer non seppe curare. Fu questa, se ben ricordo, la sua unica dimostrazione di ignoranza.

Quel che il computer fece di me non è bello dirlo. Mi provò che mi ero ingannato su tutto quel che era stata la mia ragione d’essere e di sentire. Che, al contrario, il comandante della nave aveva avuto mille motivi per sbarcarmi, e che l’isola deserta non era tale perché lui, computer, stava lì. Che l’uomo (l’uomo in generale, e io in particolare) è solo un bell’aneddoto anche quando (o soprattutto quando) piange, soffre, ride o sogna.

Di modo che morii. Il computer sta ancora li. Ma io ho grandi speranze. Se Dulcinea prende corpo ed Euridice risuscita, questo mondo forse può ancora diventare abitabile.

martedì 5 ottobre 2010

Considerazioni libere (169): a proposito di giochi e di azzardi...

Non so da quanto tempo in Italia siano legali le slot machine - probabilmente pochi anni - ma ormai queste macchinette sono diventate una presenza costante, quasi familiare, in bar e tabaccherie; quando entriamo in un locale per prendere un caffè, non notiamo più le persone meccanicamente impegnate a infilare le monete e a spingere i pulsanti, nella speranza di una vincita che non arriverà.
Ecco un dato, dal Corriere della sera di ieri: nella sola Milano ci sono 16mila slot e quindi, ipotizzando che in ogni macchinetta vengano giocati ogni giorno 100 euro - una stima al ribasso - la spesa quotidiana è 1.600.000 euro. E' un grande affare per lo stato, che incassa il 13%, per i baristi e per chi produce e affitta le slot; un giro di denaro su cui è calata la criminalità organizzata, che attraverso la gestione di una parte di questa attività ha trovato un nuovo modo per riciclare denaro sporco. Chi perde sono soltanto i giocatori.
Provate uno dei prossimi giorni a guardare chi sono questi giocatori: spesso persone anziane, molto spesso donne anziane, persone con abiti dimessi, a volte povere, in difficoltà. Se tornerete il giorno dopo alla stessa ora, vedrete con molta probabilità le stesse persone e così nei giorni successivi. Le slot sono un gioco che provoca dipendenza, specialmente tra le persone più anziane, ma su questo non si indignano i benpensanti, i carlogiovanardi o le ritadallachiesa, sempre pronti a intervenire su altro.
Ho lavorato per alcuni anni in un ufficio comunale, in un ricco paese alle porte di Bologna. Ogni giorno, come i miei colleghi, pranzavo al bar, in centro, quello che una volta era il bar della casa del popolo. Ho visto via via aumentare il numero delle slot, tanto che una nuova gestione ha tolto alcuni tavoli per poterne aggiungere altre; soprattutto ho visto le persone che giocavano, donne e uomini che in alcuni casi conoscevano, a volte perché seguiti dai servizi sociali, persone sole, nuclei in difficoltà, storie di quotidiana infelicità. Nel pomeriggio poi arrivavano i giovanissimi. Le slot sono per gli adolescenti la prima occasione per avvicinarsi al gioco d'azzardo; secondo i servizi del Comune di Milano, nell'ultimo anno un adolescente su due ha giocato. Un bel salto da quando nei bar c'erano i flipper o i più moderni videogiochi.
Non sono quasi mai favorevole alle leggi che impongono divieti, sono per lo più inefficaci e anzi ammantano di proibito e di misterioso pratiche che non hanno nulla di affascinante. Nella prima metà del secolo scorso, negli Stati Uniti il divieto di vendere alcolici nei locali pubblici non ha certo impedito la diffusione dell'alcolismo, ma ha solo arricchito la criminalità organizzata e favorito la corruzione. Il gioco è una pulsione che è impossibile eliminare dall'uomo, con il gusto dell'azzardo e la speranza del colpo di fortuna capace di cambiarti la vita. Legalizzare le scommesse e i giochi d'azzardo è stata una scelta inevitabile e giusta, se aveva lo scopo di danneggiare la criminalità che su questi lucrava. Nonostante questa mia convinzione, credo che le slot machine dovrebbero essere nuovamente vietate. Il giocatore che non sa resistere alla tentazione del tavolo verde, se il texas hold'em venisse vietato, troverebbe una bisca clandestina, l'appassionato di scommesse, se queste venissero di nuovo proibite, troverebbe un allibratore per piazzare le sue giocate, ma una pensionata che si gioca i suoi risparmi alle slot, che ha raggiunto un livello di dipendenza da questo gioco, se venissero vietate, smetterebbe probabilmente di giocare.
Lo stato, il biscazziere oscuro di questo gioco, dovrebbe porsi la domanda se è eticamente giusto offrire questa droga a chi, per la propria debolezza, non ha la forza di difendersi. Poi, al di là della scelta più radicale, occorre vigilare con molta più attenzione sul gioco: sono rispettate le percentuali di vincita? tutte le slot sono legali? e soprattutto chi c'è dietro l'affare delle macchinette? Lo stato, e quindi tutti noi, non può permettersi di essere socio con la mafia.

domenica 3 ottobre 2010

Antonio Gramsci interviene alla Camera il 16 maggio 1925


Roma, Camera dei deputati, 16 maggio 1925. Si dibatte il disegno di legge Mussolini-Rocco sulle associazioni segrete. E' l'unico intervento che Antonio Gramsci riuscirà a fare alla Camera; sarà arrestato, in aperta violazione dell'immunità parlamentare, l'8 novembre del 1926.

Presidente
Ha facoltà di parlare l'Onorevole Gramsci

Gramsci
Il disegno di legge contro le società segrete è stato presentato alla Camera come un disegno di legge contro la massoneria; esso è il primo atto reale del fascismo per affermare quella che il partito fascista chiama la sua rivoluzione. Noi, come partito comunista, vogliamo ricercare non solo il perché della presentazione del disegno di legge contro le organizzazioni in generale, ma anche il significato del perché il partito fascista ha presentato questa legge rivolta prevalentemente contro la massoneria.
Noi siamo tra i pochi che abbiano preso sul serio il fascismo, anche quando il fascismo sembrava fosse solamente una farsa sanguinosa, quando intorno al fascismo si ripetevano solo i luoghi comuni sulla "psicosi di guerra", quando tutti i partiti cercavano di addormentare la popolazione lavoratrice presentando il fascismo come un fenomeno superficiale, di brevissima durata.
Nel novembre 1920 abbiamo previsto che il fascismo sarebbe andato al potere - cosa allora inconcepibile per i fascisti stessi - se la classe operaia non avesse fatto a tempo ad infrenare, con le armi, la sua avanzata sanguinosa.
Il fascismo, dunque, afferma oggi praticamente di voler "conquistare lo Stato". Cosa significa questa espressione ormai diventata luogo comune? E che significato ha, in questo senso, la lotta contro la massoneria?
Poiché noi pensiamo che questa fase della "conquista fascista" sia una delle più importanti attraversate dallo Stato italiano e per ciò che riguarda noi che sappiamo di rappresentare gli interessi della grande maggioranza del popolo italiano, gli operai e i contadini, così crediamo necessaria un'analisi, anche se affrettata, della quistione.
Che cos'è la massoneria? Voi avete fatto molte parole sul significato spirituale, sulle correnti ideologiche che essa rappresenta, eccetera; ma tutte queste sono forme di espressione di cui voi vi servite solo per ingannarvi reciprocamente, sapendo di farlo.
La massoneria, dato il modo con cui si è costituita l'Italia in unità, data la debolezza iniziale della borghesia capitalistica italiana, la massoneria è stata l'unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo. Non bisogna dimenticare che poco meno che venti anni dopo l'entrata a Roma dei piemontesi, il Parlamento è stato sciolto e il corpo elettorale da circa 3 milioni di elettori è stato ridotto ad 800 mila.
Ê stata questa la confessione esplicita da parte della borghesia di essere un'infima minoranza della popolazione, se dopo venti anni di unità essa è stata costretta a ricorrere ai mezzi più estremi di dittatura per mantenersi al potere, per schiacciare i suoi nemici di classe, che erano i nemici dello Stato unitario.
Quali erano questi nemici? Era prevalentemente il Vaticano, erano i gesuiti, e bisogna ricordare all'onorevole Martire come, accanto ai gesuiti che vestono l'abito talare, esistono i gesuiti laici, i quali non hanno nessuna speciale montura che indichi il loro ordine religioso.
Nei primi anni dopo la fondazione del regno i gesuiti hanno dichiarato espressamente in tutta una serie di articoli pubblicati da Civiltà cattolica quale fosse il programma politico del Vaticano e delle classi che allora erano rappresentanti del Vaticano, cioè delle vecchie classi semifeudali, tendenzialmente borboniche nel meridione, o tendenzialmente austriacanti nel Lombardo-Veneto, forze sociali numerosissime che la borghesia capitalistica non è riuscita mai a contenere, quantunque nel periodo del Risorgimento essa rappresentasse un progresso, e un principio rivoluzionario. I gesuiti della Civiltà cattolica, e cioè il Vaticano, ponevano a scopo della loto politica come primo punto il sabotaggio dello Stato unitario, attraverso l'astensione parlamentare, l'infrenamento dello Stato liberale per tutte quelle sue attività che potevano corrompere e distruggere il vecchio ordine; come secondo punto, la creazione di un'armata di riserva rurale da porre contro l'avanzata del proletariato, poiché fin dal '71 i gesuiti prevedevano che sul terreno della democrazia liberale sarebbe nato il movimento proletario, che si sarebbe sviluppato un movimento rivoluzionario.
L'onorevole Martire ha oggi dichiarato che finalmente è stata raggiunta, alle spese della massoneria, l'unità spirituale della nazione italiana.
Poiché la massoneria in Italia ha rappresentato l'ideologia e l'organizzazione reale della classe borghese capitalistica, chi è contro la massoneria è contro il liberalismo, è contro la tradizione politica della borghesia italiana. Le classi rurali che erano rappresentate nel passato dal Vaticano, sono rappresentate oggi prevalentemente dal fascismo; è logico pertanto che il fascismo abbia sostituito il Vaticano e i gesuiti nel compito storico, per cui le classi più arretrate della popolazione mettono sotto il loro controllo la classe che è stata progressiva nello sviluppo della civiltà; ecco il significato della raggiunta unità spirituale della nazione italiana, che sarebbe stato un fenomeno di progresso cinquanta anni fa; ed è oggi invece il fenomeno più grande di regressione...
La borghesia industriale non è stata capace di infrenare il movimento operaio, non è stata capace di controllare né il movimento operaio, né quello rurale rivoluzionario. La prima istintiva e spontanea parola d'ordine del fascismo, dopo l'occupazione delle fabbriche, è stata perciò questa: "I rurali controlleranno la borghesia urbana, che non sa essere forte contro, gli operai".
Se non m'inganno, allora, onorevole Mussolini, non era questa la vostra tesi, e tra il fascismo rurale e il fascismo urbano dicevate di preferire il fascismo urbano...
(interruzioni)

Mussolini
Bisogna che la interrompa per ricordarle un mio articolo di alto elogio del fascismo rurale del 1921-22.

Gramsci
Ma questo non è un fenomeno puramente italiano, quantunque in Italia, per la più grande debolezza del capitalismo abbia avuto il massimo di sviluppo; è un fenomeno europeo e mondiale, di estrema importanza per comprendere la crisi generale del dopoguerra, sia nel dominio dell'attività pratica che nel dominio delle idee e della cultura. L'elezione di Hindenburg in Germania, la vittoria dei conservatori in Inghilterra, con la liquidazione dei rispettivi partiti liberali democratici, sono il corrispettivo del movimento fascista italiano; le vecchie forze sociali, ma non assorbite completamente da esso, hanno preso il sopravvento nell'organizzazione degli Stati, portando nell'attività reazionaria tutto il fondo di ferocia e di spietata decisione che è stata sempre loro propria; ma in sostanza noi abbiamo un fenomeno di regressione storica che non è e non sarà senza risultanza per lo sviluppo della rivoluzione proletaria. Esaminata su questo terreno, l'attuale legge contro le associazioni sarà una forza o è invece destinata ad essere completamente irrita e vana?
Corrisponderà essa alla realtà, potrà essere il mezzo per una stabilizzazione del regime capitalistico o sarà solo un nuovo perfezionato strumento dato alla polizia per arrestare Tizio, Caio e Sempronio?... Il problema pertanto è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fascismo? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo?
Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè, l'impossibilità della borghesia di creare in Italia una industria, che avesse una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d'opera esuberante. In secondo luogo, la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi l'impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo: la quistione meridionale, cioè la quistione dei contadini, legata strettamente al problema dell'emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere...
(interruzioni)

Mussolini
Anche i tedeschi sono emigrati a milioni.

Gramsci
Il significato dell'emigrazione in massa dei lavoratori è questo: il sistema capitalistico, che è il sistema predominante, non è in grado di dare il vitto, l'alloggio e i vestiti alla popolazione, e una parte non piccola di questa popolazione è costretta ad emigrare...

Rossoni (deputato fascista)
Quindi la nazione si deve espandere nell'interesse del proletariato.

Gramsci
Noi abbiamo una nostra concezione dell'imperialismo e del fenomeno coloniale, secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale finanziario. Finora l'"imperialismo" italiano è consistito solo in questo: che l'operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri paesi, cioè finora l'Italia è solo stata un mezzo dell'espansione del capitale finanziario non italiano. Voi vi sciacquate sempre la bocca con le affermazioni più puerili di una pretesa superiorità demografica dell'Italia sugli altri paesi; voi dite sempre, per esempio, che l'Italia demograficamente è superiore alla Francia. Ê una quistione questa che solo le statistiche possono risolvere perentoriamente, ed io qualche volta mi occupo di statistiche; ora una statistica pubblicata nel dopoguerra, mai smentita, e che non può essere smentita, afferma che l'Italia di prima della guerra dal punto di vista demografico si trovava già nella stessa situazione della Francia dopo la guerra; ciò è determinato dal fatto che l'emigrazione allontana dal territorio nazionale una tal massa di popolazione maschile, produttivamente attiva, che i rapporti demografici diventano catastrofici. Nel territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte della popolazione passiva, che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia.
È questa la debolezza fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l'emigrazione italiana, per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a inquadrare.
I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere questi problemi?
Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani politici della borghesia per risolvere la quistione del governo del popolo italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione borghese-proletaria la massa dei contadini italiani, specialmente nel Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo. Nell'Italia settentrionale si costituisce difatti una coalizione borghese proletaria attraverso la collaborazione parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative; nell'Italia meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri...
(interruzioni del deputato fascista Greco)
Voi fascisti siete stati i maggiori artefici del fallimento di questo piano politico, poiché avete livellato nella stessa miseria l'aristocrazia operaia e i contadini poveri di tutta Italia.
Abbiamo avuto il programma che possiamo dire del Corriere della sera, giornale che rappresenta una forza non indifferente nella politica nazionale: 800.000 lettori sono anch'essi un partito.
(voci) Meno...

Mussolini
La metà! E poi i lettori dei giornali non contano. Non hanno mai fatto una rivoluzione. I lettori dei giornali hanno regolarmente torto!

Gramsci
Il Corriere della sera non vuole fare la rivoluzione.

Farinacci (deputato fascista)
Neanche l'Unità!

Gramsci
Il Corriere della sera ha sostenuto sistematicamente tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, a Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi, ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le Isole, e perciò altrettanto pericolosa che l'attuale fascismo per la stessa unità materiale dello Stato italiano, il Corriere della sera ha sostenuto sempre un'alleanza tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente meridionale sul terreno del libero scambio. L'una e l'altra soluzione tendevano essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella originaria, tendevano a sviluppare le "conquiste" del Risorgimento.
Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia avesse in Italia; per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La "rivoluzione" fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale.

Mussolini
Di una classe ad un'altra, come è avvenuto in Russia, come avviene normalmente in tutte le rivoluzioni, come noi faremo metodicamente! (approvazioni)

Gramsci
È rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. Il fascismo non si basa su nessuna classe che non fosse già al potere.

Mussolini
Ma se gran parte dei capitalisti ci sono contro, ma se vi cito dei grandissimi capitalisti che ci votano contro, che sono all'opposizione: i Motta, i Conti...

Farinacci
E sussidiano i giornali sovversivi!
(commenti)

Mussolini
L'alta banca non è fascista, voi lo sapete!

Gramsci
La realtà dunque è che la legge contro la massoneria non è prevalentemente contro la massoneria; coi massoni il fascismo arriverà facilmente ad un compromesso.

Mussolini
I fascisti hanno bruciato le logge dei massoni prima di fare la legge! Quindi non c'è bisogno di accomodamenti.

Gramsci
Verso la massoneria il fascismo applica, intensificandola, la stessa tattica che ha applicata a tutti i partiti borghesi non fascisti: in un primo tempo ha creato un nucleo fascista in questi partiti; in un secondo periodo ha cercato di esprimere dagli altri partiti le forze migliori che gli convenivano, non essendo riuscito ad ottenere il monopolio come si proponeva...

Farinacci
E ci chiamate sciocchi?

Gramsci
Non sareste sciocchi solo se foste capaci di risolvere i problemi della situazione italiana...

Mussolini
Li risolveremo. Ne abbiamo già risolti parecchi.

Gramsci
Il fascismo non è riuscito completamente ad attuare l'assorbimento di tutti i partiti nella sua organizzazione. Con la massoneria ha impiegato la tattica politica del noyautage, poi il sistema terroristico dell'incendio delle logge, e infine impiega oggi l'azione legislativa, per cui determinate personalità dell'alta banca e dell'alta burocrazia finiranno per l'accordarsi ai dominatori per non perdere il loro posto, ma con la massoneria il governo fascista dovrà venire ad un compromesso. Come si fa quando un nemico è forte? Prima gli si rompono le gambe, poi si fa il compromesso, in condizioni di evidente superiorità.

Mussolini
Prima gli si rompono le costole, poi lo si fa prigioniero, come voi avete fatto in Russia! Voi avete fatto i vostri prigionieri e poi li tenete, e vi servono! (commenti)

Gramsci
Far prigionieri significa appunto fare il compromesso: perciò noi diciamo che in realtà la legge è fatta specialmente contro le organizzazioni operaie. Domandiamo perché da parecchi mesi a questa parte, senza che il partito comunista sia stato dichiarato associazione a delinquere, i carabinieri arrestano i nostri compagni ogni qualvolta li trovano riuniti in numero di almeno tre...

Mussolini
Facciamo quello che fate in Russia...

Gramsci
In Russia ci sono delle leggi che vengono osservate: voi avete le vostre leggi...

Mussolini
Voi fate delle retate formidabili. Fate benissimo!
(risate)

Gramsci
In realtà l'apparecchio poliziesco dello Stato considera già il partito comunista come un'organizzazione segreta.

Mussolini
Non è vero!

Gramsci
Intanto si arresta senza nessuna imputazione specifica chiunque sia trovato in una riunione di tre persone, soltanto perché comunista, e lo si butta in carcere.

Mussolini
Ma vengono presto scarcerati. Quanti sono in carcere? Li peschiamo semplicemente per conoscerli!

Gramsci
È una forma di persecuzione sistematica che anticipa e giustificherà l'applicazione della nuova legge. Il fascismo adotta gli stessi sistemi del governo di Giolitti. Fate come facevano nel Mezzogiorno i mazzieri giolittiani che arrestavano gli elettori di opposizione... per conoscerli.

(una voce)
Ce ne è stato un caso solo. Lei non conosce il meridione.

Gramsci
Sono meridionale!

Mussolini
A proposito di violenze elettorali io le ricordo un articolo di Bordiga che le giustifica a pieno!

Greco
Lei, onorevole Gramsci, non lo ha letto quell'articolo.

Gramsci
Non le violenze fasciste, le nostre. Noi siamo sicuri di rappresentare la maggioranza della popolazione, di rappresentare gli interessi più essenziali della maggioranza del popolo italiano; la violenza proletaria è perciò progressiva e non può essere sistematica. La vostra violenza è sistematica e sistematicamente arbitraria perché voi rappresentate una minoranza destinata a scomparire. Noi dobbiamo dire alla popolazione lavoratrice che cosa è il vostro governo, come si comporta il vostro governo, per organizzarla contro di voi, per metterla in condizioni di vincervi. È molto probabile che anche noi ci troveremo costretti ad usare gli stessi vostri sistemi, ma come transizione, saltuariamente...
(rumori, interruzioni)
Sicuro: ad adottare gli stessi vostri metodi, con la differenza che voi rappresentate la minoranza della popolazione, mentre noi rappresentiamo la maggioranza.
(interruzioni, rumori)

Farinacci
Ma allora, perché non fate la rivoluzione? Lei è destinato a fare la fine di Bombacci! La manderanno via dal partito!

Gramsci
La borghesia italiana quando ha fatto l'unità era una minoranza della popolazione, ma siccome rappresentava gli interessi della maggioranza anche se questa non la seguiva, così ha potuto mantenersi al potere. Voi avete vinto con le armi, ma non avete nessun programma, non rappresentate niente di nuovo e di progressivo. Avete solo insegnato all'avanguardia rivoluzionaria come solo le armi, in ultima analisi, determinano il successo dei programmi e dei non programmi...
(interruzioni, commenti)

Presidente
Non interrompete!

Gramsci
Questa legge non varrà affatto ad infrenare il movimento che voi stessi preparate nel paese. Poiché la massoneria passerà in massa al partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine. Questo è il valore reale, il vero significato della legge.
Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere senza che essa abbia un partito ed una organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero in questa torbida perversione reazionaria degli insegnamenti marxisti. È certo molto difficile che una classe possa giungere alla soluzione dei suoi problemi e al raggiungimento di quei fini che sono insiti nella sua esistenza e nella forza generale della società, senza che un'avanguardia si costituisca e conduca questa classe fino al raggiungimento di tali fini.
Ma non è detto che questa enunciazione sia sempre vera, nella sua meccanicità esteriore ad uso della reazione! Questa è una legge che serve per l'Italia, che dovrà essere applicata in Italia, dove la borghesia non è riuscita in nessun modo e non riuscirà mai a risolvere in primo luogo la quistione dei contadini italiani, a risolvere la questione dell'Italia meridionale. Non per nulla questa legge viene presentata contemporaneamente ad alcuni progetti concernenti il risanamento del Mezzogiorno.

(una voce)
Parli della massoneria.

Gramsci
Volete che io parli della massoneria. Ma nel titolo della legge non si accenna neppure alla massoneria, si parla solo delle organizzazioni in generale. In Italia il capitalismo si è potuto sviluppare in quanto lo Stato ha premuto sulle popolazioni contadine, specialmente nel Sud. Voi oggi sentite l'urgenza di tali problemi, perciò promettete un miliardo per la Sardegna, promettete lavori pubblici e centinaia di milioni a tutto il Mezzogiorno; ma per fare opera seria e concreta dovreste cominciare col restituire alla Sardegna i 100-150 milioni di imposte che ogni anno estorcete alla popolazione sarda! Dovreste restituire al Mezzogiorno le centinaia di milioni di imposte che ogni anno estorcete alla popolazione meridionale.

Mussolini
Voi non fate pagare le tasse in Russia!...

(una voce)
Rubano in Russia, non pagano le tasse!

Gramsci
Non è questa la quistione, egregio collega, che dovrebbe conoscere almeno le relazioni parlamentari che su tali quistioni esistono nelle biblioteche. Non si tratta del meccanismo normale borghese delle imposte: si tratta del fatto che ogni anno lo Stato estorce alle regioni meridionali una somma di imposte che non restituisce in nessun modo, né con servizi di nessun genere...

Mussolini
Non è vero.

Gramsci
Somme che lo Stato estorce alle popolazioni contadine meridionali per dare una base al capitalismo dell'Italia settentrionale.
(interruzioni, commenti)
Su questo terreno delle contraddizioni del sistema capitalistico italiano si formerà necessariamente, nonostante la difficoltà di costituire grandi organizzazioni, la unione degli operai e dei contadini contro il comune nemico.
Voi fascisti, voi governo fascista, nonostante tutta la demagogia dei vostri discorsi, non avete superato questa contraddizione che era già radicale; voi l'avete anzi fatta sentire più duramente alle classi e alle masse popolari.
Voi avete operato in questa situazione, per le necessità di questa situazione. Voi avete aggiunto nuove polveri a quelle già accumulate dallo sviluppo della società capitalistica e credete di sopprimere con una legge contro le organizzazioni gli effetti più micidiali della vostra attività stessa. (interruzioni)
Questa è la quistione più importante nella discussione di questa legge!
Voi potete "conquistare lo Stato", potete modificare i codici, voi potete cercare di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite adesso; non potete prevalere sulle condizioni obiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fino ad oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa.
Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, che il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi.
(interruzioni)
Ê molto difficile applicare ad una popolazione di 40 milioni di abitanti i sistemi di governo di Tsankov. In Bulgaria vi sono pochi milioni di abitanti e tuttavia, nonostante gli aiuti dall'estero, il governo non riesce a prevalere sulla coalizione del partito comunista e delle forze contadine rivoluzionarie, e in Italia ci sono 40 milioni di abitanti.

Mussolini
Il partito comunista ha meno iscritti di quello che abbia il partito fascista italiano!

Gramsci
Ma rappresenta la classe operaia.

Mussolini
Non la rappresenta!

Farinacci
La tradisce, non la rappresenta.

Gramsci
Il vostro è un consenso ottenuto col bastone.

Farinacci
Parla di Miglioli!

Gramsci
Precisamente. Il fenomeno Miglioli ha una grande importanza appunto nel senso di ciò che ho detto prima: che le masse contadine anche cattoliche si indirizzano verso la lotta rivoluzionaria. Né i giornali fascisti avrebbero protestato contro Miglioli, se il fenomeno Miglioli non avesse questa grande importanza dell'indicare un nuovo orientamento delle forze rivoluzionarie in dipendenza della vostra pressione sulle classi lavoratrici.
Concludendo: la massoneria è la piccola bandiera che serve per far passare la merce reazionaria antiproletaria! Non è la massoneria che vi importa! La massoneria diventerà un'ala del fascismo.
La legge deve servire per gli operai e per i contadini, i quali comprenderanno ciò molto bene dall'applicazione che ne verrà fatta. A queste masse noi vogliamo dire che voi non riuscirete a soffocare le manifestazioni organizzative della loro vita di classe, perché contro di voi sta tutto lo sviluppo della società italiana.
(interruzioni)

Presidente
Ma non interrompano! Lascino parlare. Lei però Onorevole Gramsci, non ha parlato della legge!

Rossoni
La legge non è contro le organizzazioni!

Gramsci
Onorevole Rossoni, ella stesso è un comma della legge contro le organizzazioni. Gli operai e i contadini debbono sapere che voi non riuscirete ad impedire che il movimento rivoluzionario si rafforzi e si radicalizzi.
(interruzioni, rumori)
Perché esso solo rappresenta oggi la situazione del nostro paese...
(interruzioni)

Presidente
Onorevole Gramsci, questo concetto lo ha ripetuto tre o quattro volte. Abbia la bontà! Non siamo dei giurati, a cui occorre ripetere molte volte le stesse cose!

Gramsci
Bisogna ripeterle, invece, bisogna che lo sentiate fino alla nausea. Il movimento rivoluzionario vincerà il fascismo.