giovedì 27 luglio 2023

Verba volant (842): gentilezza...

Gentilezza
, sost. f.

È il 5 novembre 1959. Il pubblico americano che quel giovedì decide di vedere uno dei film prodotti e distribuiti dalla Columbia - che sia la divertente commedia The Mouse That Roared con Peter Sellers o Battle of the Coral Sea su un eroico equipaggio di sommergibilisti durante la seconda guerra mondiale o ancora The Warrior and the Slave Girl, un peplum a basso costo girato in Italia - al prezzo del biglietto può assistere anche al primo episodio di una nuova serie di cartoni animati. Ancora per qualche anno nella sale i film saranno preceduti da un cortometraggio di animazione, anche se ormai i cartoni stanno diventando prodotti esclusivamente televisivi.
Quelli che sono soliti leggere i titoli di testa si sono accorti che quel cartone è realizzato da William Hanna e Joseph Barbera, gli autori della fortunata serie Tom and Jerry prodotta dalla Metro-Goldwyn-Mayer dal 1940 al 1958. William e Joseph non lavorano più per la MGM, perché quello studio li ha licenziati, dopo aver deciso di chiudere il reparto di animazione, proprio perché ormai i cartoni al cinema sono un prodotto superato. I due hanno aperto una loro, per ora piccola, casa di produzione. Alla fine degli anni Cinquanta realizzano alcune serie per la televisione, che ottengono un discreto successo - anche se non paragonabile a quello di Tom e Jerry - come quelle che hanno come protagonisti Yoghi, Braccobaldo, Ernesto Sparalesto. Sollecitati dai produttori della Columbia, decidono di tornare al cinema: sarà la prima e l’ultima serie che realizzeranno per il grande schermo. Anche perché stanno per lanciare in televisione una nuova serie dedicata a una famiglia che vive nell’età della pietra. E sarà un successo al di là di ogni aspettativa.

Ma torniamo al novembre del 1959. Il protagonista di quel cartone animato è un lupo antropomorfo, che si chiama Loopy De Loop - come vediamo sulla buchetta per la posta davanti a casa sua. Il nome richiama sia la parola latina per questo feroce animale sia il loop, il salto all’indietro dei voli acrobatici. Il nostro lupo indossa una cuffia e una sciarpa entrambe gialle ed evidentemente deve superare i postumi di un brutto incidente, visto che si è rotto - non sappiamo come - un braccio e una gamba. Parla con un curioso accento francese - come quelli del Québec quando si sforzano di usare l’inglese - ha un tono gentile, forse un po’ cerimonioso, ci mostra il libro che sta leggendo e ci annuncia che racconterà la vera storia di Cappuccetto Rosso. E siamo “trascinati” con lui, nel libro e nella storia.
La bambina, mentre attraversa il bosco per raggiungere la casa della nonna, viene avvicinata dai tre porcellini, una banda di teppistelli che le ruba il cestino delle provviste. Loopy, che assiste alla scena, si avvicina alla bambina in lacrime che però, resasi conto che si tratta di un lupo, lo afferra per la coda e lo sbatte diverse volte a terra, dimostrando un’incredibile forza. Loopy non reagisce - anzi sembra comprendere i timori della piccina - e incassa quelle botte. Ma, essendo gentile, non rinuncia alla missione di recuperare il cestino. Arrivato alla solida casa in mattoni della banda, i tre porcellini lo sfidano ad abbatterla con un soffio, ma Loopy escogita uno stratagemma che gli permette di recuperare comunque il “bottino”. Va quindi a casa della nonna e la dolce vecchina, accortasi che si tratta di un lupo, dimostra un’inattesa energia, lo afferra per la coda e, ancora una volta, Loopy le prende di santa ragione. Il lupo neppure in questo caso reagisce, ma si dimostra davvero charmant e i suoi complimenti - e quell’accento francese - affascinano la nonna, che si tranquillizza. Arriva però Cappuccetto Rosso che imbraccia un fucile. Loopy, a questo punto, non può che fuggire. Siamo di nuovo nel giardino della casetta di Loopy, che chiude il libro: la storia sembra finita. Ma la nonna ha altre idee e, travestita da Cappuccetto Rosso, lo insegue per riprendere il corteggiamento. La fuga del lupo continua.

Loopy De Loop ha un successo immediato e la Hanna-Barbera produce, dalla fine del 1959 al giugno del 1965, quarantotto episodi, di circa sette minuti l’uno, destinati ai cinema con protagonista questo lupo gentile e sfortunato, che si sforza di essere accettato dagli altri. Ken Muse che, dopo aver lavorato per Disney in Pinocchio e Fantasia, è stato uno dei “padri” alla MGM di Tom e Jerry, è l’animatore dei primi episodi. Dopo saranno altri grandi nomi dello studio, come Carlo Vinci, Dick Lundy e George Nichols a curare l’animazione. È Daws Butler a dare la voce a Loopy De Loop. Forse il suo nome non vi dice nulla, eppure è un grande dell’animazione americana, visto che è il doppiatore originale di Yoghi, Braccobaldo, Ernesto Sparalesto e Babalui, Svicolone, Wally Gator, Peter Potamos, Barney Rubbles, Napo Orso Capo e molti altri personaggi della Hanna-Barbera. La casa di produzione mette i suoi migliori “artigiani” al lavoro sulla serie dedicata a questo lupo sfortunato.
In diverse delle sue avventure gli sceneggiatori giocano con le fiabe più classiche, come avviene appunto nel primo episodio. Ad esempio Loopy incontra Hansel e Gretel, che però rifiutano l’aiuto del lupo che li vorrebbe far fuggire dalla casa di marzapane. Biancaneve invita il lupo a casa, ma i sette nani non sono d’’accordo. In un altro episodio Loopy tenta anche di convincere il Lupo cattivo di Cappuccetto a cambiare vita e a diventare vegetariano come lui, senza successo. Loopy è anche il fondatore della S.S.A., la Sheeps Stealers Anonymous, in cui organizza gli incontri con altri lupi che cercano di uscire dalla “dipendenza” verso le pecore: un’altra impresa destinata al fallimento.
In un giorno in cui Riccioli d’oro è fuori di casa, deve fare da baby-sitter al piccolo orso: un compito che si rivela troppo difficoltoso anche per un tipo gentile e paziente come lui. Mentre ha più fortuna quando riesce ad aiutare il Principe Azzurro a trovare Cenerentola, che però si spaventa quando si rende conto che è un lupo. Quando va bene le avventure di Loopy finiscono con una fuga precipitosa, ma più spesso viene picchiato. Adesso capiamo il motivo di quelle ingessature del primo episodio.
In genere Loopy si caccia nei guai proprio a causa della sua gentilezza: cerca di aiutare tutti, ma scopre, suo malgrado, che molti non vogliono essere aiutati. E specialmente da un lupo. Un altro dei motivi ricorrenti degli episodi è che tutto sembra andare bene, fino a quando Loopy non si presenta, perché lui è orgoglioso di essere un lupo “diverso”, “a good wolf”, come dice sempre. Ad esempio in Life with Loopy lo vediamo in terapia, mentre racconta di quando ha cercato di diventare un cane da pastore. Il suo padrone era così contento di lui e del suo lavoro, da spingere Loopy a dirgli che era un lupo. Ovviamente costringendolo a una rapida fuga. Ma a questo punto anche il terapista si rende conto che si tratta di un lupo e lo caccia fuori dal suo studio.

In Italia Loopy De Loop arriva già nel 1962. Viene ribattezzato Palmiro De Lupis ed è il protagonista di Le eroiche battaglie di Palmiro lupo crumiro, un film prodotto dalla Titania Film, che viene distribuito al cinema montando insieme dodici episodi. Quelli della Titania inseriscono questi episodi autoconclusivi e con nessun legame l’uno con l’altro in una sorta di “cornice”, ossia le pagine di un libro con il titolo dell’episodio, nella tradizione aperta dalla Disney nei suoi classici animati. E si inventano anche un finale: infatti nell’ultimo cartello si dice che Palmiro, stanco di prenderle sempre, ha deciso di cambiare vita e di diventare un lupo cattivo, adeguandosi a quello che gli altri pensano da sempre di lui.
La voce del lupo è quella, inconfondibile, di Paolo Panelli, uno dei grandi caratteristi del cinema e della televisione, mentre la voce della sua coscienza - che manca nell’originale americano - e di quasi tutti gli altri personaggi sono affidate ad Alighiero Noschese. Il celebre imitatore si può scatenare nell’episodio I balli mascherati e gli amici del giaguaro. Il lupo, in una delle sue continue fughe, capita davanti a una casa dove c’è una festa in maschera. Il padrone di casa crede che sia un suo amico travestito da lupo, lo invita dentro e gli chiede di esibirsi nelle sue imitazioni. Nell’originale Loopy imita Maurice Chevalier, Peter Lorre, Ed Sullivan e Jimmy Durante. Naturalmente quando si scopre che non è Charlie, ma un vero lupo, Loopy, fino a quel momento applaudito e l’anima della festa, viene cacciato. nella versione italiana Palmiro imita Totò ed Enza Sampò, cavalli di battaglia di Noschese. E in questo curioso film non mancano neppure citazioni di celebri canzoni, da Il blu dipinto di blu a Romantica.
Nel 1969 gli episodi vengono nuovamente doppiati e trasmessi, dal 30 settembre di quell’anno, sul Programma Nazionale. Questa volta la voce del protagonista, con un lieve accento inglese, è quella di Antonio Guidi, uno dei grandi del doppiaggio italiano e anche un volto familiare della televisione, visto che per alcuni anni ha condotto Il teatro di Arlecchino, un programma dedicato alle maschere e alla commedia dell’arte. Loopy diventa allora Lupo de’ Lupi. Solo qualche anno dopo, in un successivo doppiaggio - con la voce di Roberto Del Giudice - diventa Lupo de’ Lupis. Come noi lo conosciamo.

Ma torniamo nell’America di quel freddo giovedì di inizio novembre. In molte sale cinematografiche degli Stati del Sud bianchi e neri devono sedere in posti separati e ovviamente i primi hanno quelli migliori. Tutti ridono di fronte alle disavventure di quel personaggio, ma qualcuno comincia a pensare. Loopy viene giudicato non per quello che fa, ma per quello è: a nessuno importa che sia un lupo rispettoso delle regole, un altruista, perché quando lo guardano vedono solo un lupo. Ma quello che fa davvero infuriare quelli che hanno questi pregiudizi contro di lui è il fatto che Loopy non alza mai la voce, non protesta, lui continua imperterrito a fare le sue buone azioni. Alla violenza Loopy De Loop risponde con la gentilezza: non c’è nulla di più rivoluzionario. E anche altri lupi “buoni” faticano a capire questa ostinazione di Loopy, la giudicano una forma di arrendevolezza. Ma a lui sembra davvero non importare. Lui sa la verità e la dice: “I’m Loopy De Loop. I’m a good wolf”. E questo vi deve bastare.
I cinque anni in cui Loopy De Loop appare sugli schermi, l’America cambia in maniera profonda.
Il 6 maggio 1960 il presidente Eisenhower firma il Civil Rights Act, la legge federale che istituisce ispezioni e detta le sanzioni per chi impedisce ai neri di votare.
Dal 1 novembre 1961 sui mezzi di trasporto pubblico interstatale nessun posto può essere riservato in base al colore della pelle, al credo religioso o all’origine nazionale.
Il 28 agosto 1963 duecentocinquantamila persone arrivano a Washington per la Marcia per il lavoro e la libertà. La maggioranza della folla assiepata di fronte al Lincoln Memorial è composta da afroamericani, ma sono tanti i bianchi che hanno aderito. Quel giorno Martin Luther King pronuncia il celeberrimo discorso che comincia con le parole “I have a dream”.
Il 2 luglio 1964 il presidente Johnson, dopo un lungo e sofferto iter legislativo, promulga il Civil Rights Act: vengono dichiarate illegali le disparità di registrazione nelle elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, sui posti di lavoro e in tutte le strutture pubbliche
Loopy De Loop è consapevole che non basta una firma sotto una legge per cambiare le teste delle persone, sa che il futuro sarà difficile - come dirà nel 1967 Spencer Tracy nello splendido monologo che chiude Guess Who’s Coming to Dinner - ma è altrettanto sicuro che senza quella legge la sua battaglia sarebbe vana. È contento di aver fatto la sua parte, di aver dato il suo contributo alla lotta. Con gentilezza.

venerdì 21 luglio 2023

Verba volat (841): giudizio...

Giudizio
, sost. m.

Il 28 novembre 1989 - due mesi dopo l’uscita al cinema di Palombella rossa e solo qualche giorno dopo la “svolta” della Bolognina – la Epic Records pubblica Di terra e di vento, un 33 giri di inediti di Fiorella Mannoia. Confesso che in quei giorni di autunno non sono molto attento alle novità discografiche. Penso ad altro: sono le mie prime settimane all’università, ma soprattutto guardo con grande interesse a quello che succede a Berlino, a Mosca, in un’Europa in cui sembrano schiudersi grande speranze. E mi appassiono - molto - a quello che sta succedendo nel mio partito, che si chiama ancora PCI. Allora ci credevo ancora: ero davvero convinto di poter cambiare il mondo.
La seconda traccia di quello splendido disco è Oh che sarà. Ivano Fossati ha tradotto, abbastanza fedelmente, il testo scritto da Chico Buarque de Hollanda e la canta insieme a Fiorella. Per quel 33 giri l’autore genovese scrive per lei anche Baia senza vento e la bellissima Lunaspina.

ah, che sarà, che sarà
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste, nelle parole


Bologna, 2002. È un caldissimo pomeriggio di fine agosto. La Festa provinciale dell’Unità è cominciata solo da qualche giorno e io convoco una riunione urgente delle compagne e dei compagni responsabili delle varie attività. So già che non sarà un’assemblea facile: devo chiedere di allungare la festa di due giorni. Forse a voi sembra poco, ma sono già venticinque - senza contare quelli necessari per il montaggio e lo smontaggio - e altri due oggettivamente pesano. Però secondo me ne vale la pena. Gli organizzatori del tour di Pino Daniele, Francesco De Gregori, Ron e Fiorella Mannoia ci hanno proposto di organizzare un concerto dei quattro artisti mercoledì 18 settembre, proprio nella grande arena del Parco Nord.
Quel tour è stato l’evento dell’estate: venticinque date, ma nessuna in Emilia-Romagna. E poi sarà l’occasione per registrare dal vivo il doppio cd e il dvd di quel concerto, sfruttando il grande palco e molte delle attrezzature già montate per le riprese dell’MTV Day del 14 settembre.
Com’è prevedibile c’è più di un malumore, anche perché immaginano già le reazioni di quelli a cui loro dovranno a loro volta riferire quella decisione. Sono compagni saggi, sanno che abbiamo già detto di sì e che quella è una comunicazione e non una decisione da prendere. Prevale comunque un giudizio favorevole: il “centralismo democratico” funziona, almeno nelle Feste dell’Unità.
Così il 30 agosto comincia la vendita dei biglietti nelle prevendite abituali, come si diceva una volta, prima di Vivaticket e delle altre piattaforme specializzate. I biglietti costano da 35 euro per i posti a sedere nel primo settore a 24 per stare in piedi o accomodarsi sul “bananone”, come chiamiamo l’anfiteatro di terra che delimita l’arena. Qualcuno - soprattutto qualche compagno intellettuale snob - fa polemica per il costo troppo alto dei biglietti, che peraltro loro possono acquistare senza problemi. I posti a sedere si venderanno comunque in pochi giorni: i bolognesi arrivano senza fretta, sanno che l’arena è enorme e i posti praticamente illimitati.

che accende candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura, nella bellezza


Il 22 novembre 1976 esce nei cinema brasiliani Dona Flor e Seus Dois Maridos, un film diretto da Bruno Barreto, adattamento del romanzo scritto dieci anni prima da Jorge Amado. Realizzare quel film è possibile grazie al nuovo clima di aperture portato avanti dal presidente Ernesto Geisel, che attenua la repressione del suo predecessore Emílio Garrastazu Médici. Si tratta sempre di un regime sostenuto dai militari e finanziato dalla Cia, ma in quegli anni la censura comincia ad allargare le maglie. Geisel, nonostante il regime di Salazar sia sempre stato un alleato, dopo la rivoluzione dei garofani, riconosce il governo del socialista Mario Soares, dimostrando un notevole pragmatismo.
Il film è un grande successo in Brasile, anche grazie all’interpretazione di una splendida Sônia Braga, che nel suo paese diventerà famosa, oltre che per questo ruolo, per quello della protagonista di Gabriela, un film, diretto sempre da Barreto, in cui recita accanto a Marcello Mastroianni. Anche questo è un personaggio di Amado, del suo romanzo Gabriella, garofano e cannella. Poi negli anni Ottanta per la diva brasiliana arriverà anche la fama internazionale, grazie a Il bacio della donna ragno e Milagro. E anche grazie alla sua storia d’amore con Robert Redford.
Nel febbraio 1978 il film arriva nell’Italia della “solidarietà nazionale”, sconvolta dal terrorismo, alcuni mesi dopo l’uscita dell’edizione italiana del romanzo. Nel nostro paese il film va abbastanza bene, anche se il pubblico probabilmente si aspetta una commedia più scollacciata, vista la locandina. Certo in quell’anno escono sia Ecce Bombo che L’albero degli zoccoli, ma nei manifesti di tante sale campeggia la prorompente bellezza di Edvige Fenech, protagonista in quella stagione di ben tre film, diventati pietre miliari della commedia sexy degli anni Settanta: L’insegnante va in collegio, La soldatessa alle grandi manovre e L’insegnante viene a casa.

quel che non ha ragione né mai ce l’avrà
quel che non ha rimedio né mai ce l’avrà
quel che non ha misura


È una bella festa quella del 2002. È la quarta da quando Giorgio Guazzaloca è sindaco di Bologna, il primo di destra nella città “rossa” per eccellenza, la città della più grande Federazione comunista dell’Europa occidentale, come si diceva una volta. La Federazione è sempre grande, la più grande d’Italia, ma ovviamente non siamo più comunisti. Adesso ci chiamiamo Democratici di Sinistra e Fassino è il nostro segretario nazionale, dopo il combattuto congresso dell’anno precedente, in cui la sua mozione - che anch’io ho sostenuto in tante sezioni della provincia - ha prevalso su quella di Giovanni Berlinguer, appoggiata dalla Cgil di Sergio Cofferati. È anche la quarta da quando sono un funzionario di partito, proprio con l’incarico di organizzare le Feste dell’Unità. E noi continuano a fare una delle feste più grandi d’Italia. Me lo dirà anche l’ex presidente Scalfaro l’anno dopo, ammettendo che noi siamo sempre stati i più bravi a fare le feste.
A Palazzo Chigi c’è il Berlusconi II, che sarà il più longevo della storia della Repubblica.
Almeno l’Unità è tornata in edicola, diretta da Furio Colombo: a me è toccato fare nel 2000 la prima Festa nazionale dell’Unità senza l’Unità, una cosa che ha accesso la curiosità degli annoiati cronisti agostani. E mi ha fatto anche andare su Radio Uno.
Stiamo già morendo, ma molti di noi non se ne rendono conto. Io, per esempio, sono uno di quelli che ancora è convinto di poter cambiare il mondo, almeno un po’.

ah, che sarà, che sarà
che vive nell’idea di questi amanti
che cantano i poeti più deliranti
che giurano i profeti ubriacati
che sta sul cammino dei mutilati


Per la colonna sonora di Dona Flor e Seus Dois Maridos Chico Buarque compone O que serà. Nel film ci sono tre versioni, che punteggiano i tre momenti della storia: Apertura, A fior de piel, A fior de tierra.
Chico racconterà qualche anno dopo di essersi ispirato a una serie di fotografie scattate a Cuba, che descrivono la vita di quel paese, al di fuori della retorica castrista.
I funzionari della censura passano al setaccio i versi della canzone. Chico Buarque è un autore di sinistra. Durante gli anni di Médici è stato arrestato e poi ha lasciato il paese per venire in Italia, in una sorta di auto-esilio. Ora è tornato in patria, ma continua a essere una spina nel fianco del regime.
Gli uomini della censura vogliono evitare quello che è successo qualche hanno prima con la canzone Apesar de você, che in un primo momento hanno approvato e poi è diventata un inno del movimento democratico, costringendoli in tutta fretta a bandirla. Ogni parola viene soppesata, ma alla fine decidono che non si tratta di una canzone politica.
Forse è vero, forse è solo una bossa nova. C’è una malinconia profonda che avvolge quelle parole, che raccontano la sofferenza del mondo e insieme il bisogno di gridare che occorre fare qualcosa per combatterla. O que serà è la canzone di uno che il mondo lo vuole cambiare, che ci crede ancora, per quanto si renda conto che è sempre più difficile.

e nella fantasia degli infelici
che sta nel dai e dai delle meretrici
nel piano derelitto dei banditi


Ma torniamo al 2002. Lunedì 16 c’è il tradizionale spettacolo di fuochi d’artificio con cui chiudiamo sempre la festa, mentre viene posticipata al mercoledì l’estrazione dell’automobile alla pesca gigante. Il maestro di cerimonia di questo evento è, come sempre, Maurizio Cevenini, il cui suicidio, dieci anni dopo, segnerà per molti di noi un traumatico passaggio, personale e politico.
Martedì 17 è una giornata di attesa e di preparazione del concerto.
Arriva mercoledì 18: finalmente l’ultimo giorno di quella lunghissima festa. E noi stiamo già lavorando per programmare le attività di smontaggio, che dureranno per un’altra ventina di giorni.
Nel primissimo pomeriggio, nella distesa vuota del Parco Nord, cominciano a risuonare le note di Napule è. Pino Daniele è quello che prova in maniera più meticolosa i propri pezzi. Io ascolto così quel concerto, la sera ci sono troppe cose da fare e non riesco a fermarmi come vorrei. Ma quel pomeriggio mi siedo sulla sgangherata sedia del mio ufficio nella palazzina rossa e ascolto. Dopo alcune canzoni, parte la chitarra di Pino e Fiorella comincia a cantare Oh che sarà. E quei versi mi rimangono in testa. Per sempre.
Prima del concerto gli organizzatori mi accompagnano, insieme al segretario della Federazione, nel backstage. Quando mi presentano Fiorella Mannoia, farfuglio un saluto. È così bella che ammutolisco.

ah, che sarà, che sarà
quel che non ha decenza né mai ce l’avrà
quel che non ha censura né mai ce l’avrà
quel che non ha ragione


A interpretare il brano nel film è Simone Bittencourt de Oliveira - o meglio solo Simone, come è conosciuta - che nel 1973 ha lasciato la carriera sportiva - è nella nazionale femminile di pallacanestro del Brasile - per dedicarsi soltanto alla musica. O que serà è uno dei primi successi di questa artista, destinata a diventare una delle cantanti più popolari del suo paese.
Qualche mese dopo Chico Buarque la registra in un duetto con Milton Nascimento; e questa diventa la versione più popolare del brano. Milton ha una voce splendida, fa un grande uso del falsetto, e anche lui è uno di quelli che combatte il governo fascista dei militari. Coração de Estudante commemora il funerale dello studente Edson Luís, ucciso giovanissimo dalla polizia del regime il 28 marzo 1968.
Nel 1978 Gigliola Cinquetti incide la canzone nel suo album Pensieri di donna. Gigliola canta un po’ in portoghese e un po’ in italiano, in una versione, non molto fedele, scritta da Sergio Bardotti. Non è una “pasionaria”, ma anche Gigliola sta dalla parte giusta.

ah che sarà, che sarà
che tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare
e tutti gli inni insieme a consacrare


A metà del concerto, non so come, arriva in palazzina la notizia che Nanni Moretti è tra il pubblico. Certo Moretti è il regista che ha raccontato con Palombella rossa e La cosa la fine del PCI, è il vincitore, con La stanza del figlio, della Palma d’oro al Festival di Cannes del 2001, il secondo italiano dopo Ermanno Olmi con L’albero degli zoccoli, ma nel settembre 2002 è, almeno per noi, soprattutto un uomo politico, il leader “de facto” dei girotondi.
Immagino che molti di voi non se lo ricordino, ma per alcuni mesi in quell’Italia tenacemente berlusconiana nasce questo movimento fatto di professori, artisti, intellettuali, altrettanto tenacemente antiberlusconiani. La forza di Berlusconi, sia detto per inciso, è stata proprio questa capacità di animare entusiasmi, a favore o contro poco importa, riuscendo a stare lui comunque al centro della scena. Quelli dei girotondi non sono solo contro Berlusconi, sono anche contro di noi, perché, a loro dire, non siamo abbastanza antiberlusconiani. È stato proprio Nanni, il 2 febbraio di quell’anno a piazza Navona, a dare voce a questo malcontento contro i partiti dell’Ulivo: salito inaspettatamente sul palco, dove ci sono anche i leader del centrosinistra, li attacca e quell’attacco viene calorosamente applaudito.
Il 14 settembre, mentre noi alla Festa dell’Unità di Bologna ospitiamo l’MTV Day - nel cast di quell’edizione ci sono Afterhours, Articolo 31, Daniele Silvestri, Meganoidi, Negrita, Piero Pelù, Timoria e dall’Irlanda arrivano The Cranberries - i girotondi organizzano una grande manifestazione a Roma. Piazza del Popolo non basta e viene spostata a piazza San Giovanni. Quella scelta ha anche un valore simbolico, perché quella è la piazza delle storiche manifestazioni della sinistra italiana. Don Luigi Ciotti, Rita Borsellino, Gino Strada, Paolo Flores d’Arcais, Furio Colombo, Francesco Pardi, Daria Colombo, Vittorio Foa sono tra quelli che parlano dal palco. Ci sono anche molti artisti: De Gregori, Mannoia e Roberto Vecchioni. È proprio Nanni Moretti ad aprire quella grande manifestazione.
Quindi quel mercoledì sera c’è alla Festa, seppur non invitato, un importante ospite politico, per rango qualcosa di simile a un segretario di partito. Qualcosa bisogna pur fare. Il segretario della Federazione mi ordina di raggiungere Moretti e di invitarlo a cena dopo il concerto. Inaspettatamente Nanni accetta.
Adesso devo chiedere a Vanes e ai compagni di Pianoro - che gestiscono uno dei ventuno ristoranti della Festa - di tenere aperto il ristorante fino alla fine dello spettacolo, sicuramente parecchio dopo la mezzanotte. Stavolta si arrabbiano davvero, tanto più quando spiego che dobbiamo portare a cena Moretti, che quei compagni considerano un avversario, perché è uno che invece di unire, divide. Per fortuna c’è la moglie di Vanes che intercede e organizza un gruppo minimo di compagni per tenere in piedi il ristorante così tardi.

e tutti i figli insieme a purificare
e i nostri destini ad incontrare
perfino il padreterno da così lontano
guardando quell’inferno dovrà benedire


Durante la cena Nanni mangia e parla poco, c’è un palpabile imbarazzo. Per fortuna tra le compagne scelte per rimanere c’è la figlia di Gino Agostini, un passato da partigiano, fondatore del Cidif, il Consorzio italiano distributori indipendenti, uno dei pochissimi che ha creduto nel regista ai tempi di Io sono un autarchico. Il ricordo di Gino serve ad allentare la tensione. E non si parla di politica. La cena è comunque piuttosto veloce, per la soddisfazione dei compagni di Pianoro, che finalmente possono pulire e mettere via tegami e stoviglie, che dovranno essere pronti per una prossima Festa.
Per i giovani e per quelli che hanno perso memoria, occorre ricordare che il movimento dei girotondi è destinato a svanire, rapidamente come è nato. All’inizio dell’anno successivo sembra che Sergio Cofferati - che il 23 marzo 2002 ha portato al Circo Massimo tre milioni di persone con la Cgil - possa diventare il leader di questa eterogenea compagnia. Ma, come sappiamo, dopo essere tornato per qualche giorno a lavorare alla Pirelli, si candida a sindaco di Bologna e quel sogno movimentista sfuma. Nel 2003 sarà proprio Sergio la “star” della Festa al Parco Nord - ancora una volta nazionale, la mia seconda - e proprio da lì inizierà la lunga campagna elettorale della “reconquista”.
Io forse non sono il più adatto a parlarne, visto che ero dall’altra parte, facevo il funzionario di partito, ero considerato da quelli del movimento la quintessenza di quello che non volevano essere, di quello che era da buttare. Eppure senza i vituperati partiti, senza le compagne e i compagni delle Feste, non avrebbero potuto fare nulla. Ed effettivamente non hanno fatto nulla. Erano un movimento fatto di generali che pensavano inutile la fureria. E io ero un furiere, e lo facevo anche abbastanza bene. Sembrava non si rendessero conto che per fare politica servono anche risorse, il “vil denaro” (e le feste servivano anche a questo). Proprio non riuscivo a farmeli stare simpatici. E oggi, anche se sono convinto che noi allora abbiamo completamente sbagliato, lo sono altrettanto che non avevano ragione nemmeno loro. Se avessero vinto, saremmo morti comunque.
L’unica soluzione possibile sarebbe stata affidarsi alla saggezza e alla determinazione della moglie di Vanes, ma ovviamente non lo abbiamo fatto.

quel che non ha governo né mai ce l’avrà
quel che non ha vergogna né mai ce l’avrà
quel che non ha giudizio

Adesso che sono certo che io non cambierò il mondo e che sono abbastanza sicuro che non possa affatto cambiare, credo di aver capito che O que serà è, con il suo ritmo di bossa nova, una canzone d’amore. Dell’amore per i nostri ideali perduti.

quel che non ha governo né mai ce l’avrà
quel che non ha vergogna né mai ce l’avrà
quel che non ha giudizio

martedì 4 luglio 2023

Verba volant (840): sbuffo...

Sbuffo
, sost. m.

È l’una di notte del 15 settembre 1954. All’angolo tra Lexington Avenue e la 52esima Strada c’è molta confusione, insolita anche per la città che non dorme mai.
Adesso in quell’isolato, che arriva fino a Park Avenue, c’è un grattacielo di quarantaquattro piani - per lo più uffici di prestigiose società finanziarie e ricchi studi legali - costruito alla fine degli anni Sessanta, dopo che è stato demolito lo storico Hotel Ambassador. In particolare su quell’angolo - dove adesso c’è la steak-house Le Relais de Venice, la sede di New York di un famoso ristorante di Parigi - c’erano il Trans-Lux Theater, un negozio di liquori e una gioielleria.
Quella sera in quel cinema è in programma Il mostro della laguna nera, uno dei grandi successi cinematografici dell’anno, con la splendida Julie Adams - di questo però vi parlerò in un’altra delle mie noterelle. Ma non è per questo motivo che si è accalcata tutta quella folla. Stanno girando la scena del nuovo film di Billy Wilder con Marilyn Monroe. L’idea è venuta al fotografo Sam Shaw.

Sam è nato a New York nel 1912, ma si è trasferito presto a Hollywood. È un fotografo di grande talento, l’autore di celebri ritratti delle star del cinema della Golden Age, capace di cogliere la spontaneità anche in quelle pose così studiate. Ha conosciuto Marilyn sul set di Viva Zapata! che lei frequenta perché il regista è Elia Kazan e sono diventati subito amici. Lei, nei giorni in cui non lavora su qualche set, accetta di portare Sam in giro in auto, visto che il fotografo non guida. Quel lavoretto le serve per pagare l’affitto e in più diventa uno dei soggetti preferiti del geniale fotografo, capace di renderla ancora più bella di quanto già sia. Sam segue Marilyn in tutta la sua carriera, anche quando diventa una star e non ha certo il problema di trovare i soldi per l’affitto. È lui a convincere Arthur Miller a trasformare in una sceneggiatura il suo racconto Gli spostati.
Per Quando la moglie è in vacanza Sam suggerisce a Billy Wilder di girare una scena in cui, per trovare sollievo dal caldo di quell’estate in città, la Ragazza - come si chiama il personaggio interpretato da Marilyn - si ferma sulla grata di aereazione della metropolitana e quello sbuffo d’aria fresca le alza la gonna. Probabilmente si è ricordato di quando lavorava a Coney Island: in una delle grandi giostre c’erano dei buchi da cui i clown, quando salivano delle belle ragazze, azionavano un congegno che buttava fuori un getto di aria compressa, per fare alzare le gonne e mostrare le gambe di quelle giovani bellezze newyorchesi, che Sam prontamente fotografava.
A Billy Wilder l’idea piace molto. Da appassionato di cinema si è probabilmente ricordato di un curioso cortometraggio del 1901 intitolato What Happened on Twenty-third Street, New York City, in cui lo sbuffo d’aria della metropolitana solleva la pesante gonna di una donna che passeggia per la città, facendola molto divertire. Nella commedia di George Axelrod ovviamente quella scena non c’è, ma Billy capisce che funziona e così viene inserita nella sceneggiatura. Siamo nella seconda parte del film: Richard ha trovato il coraggio di invitare la Ragazza al cinema, anche perché lì c’è l’aria condizionata. Usciti dalla sala, la Ragazza cerca di rinfrescarsi su quella grata, aspettando che passi la metropolitana - naturalmente là sotto c’è un tecnico che, agli ordini di Wilder, aziona un grande ventilatore, uno dei tecnici più invidiati nella storia del cinema. Ogni sbuffo d’aria suscita l’ammirazione del povero Richard, lasciato dalla moglie in città, in balia di tante tentazioni. Ci scappano anche due baci: per testare la bontà del dentifricio Brillident che la Ragazza pubblicizza. Passeranno la notte insieme - nell’appartamento dell’uomo c’è l’aria condizionata - ma tra loro non succederà nulla. Solo il Codice Hays poteva costringere un americano medio a resistere a Marilyn Monroe. Nella commedia sappiamo che invece non resiste e quel tradimento estivo viene effettivamente consumato.

A dire la verità potrebbero girare quella scena anche negli studi della 20th Century Fox su Pico Boulevard, ma i press-agent decidono di farne un veicolo pubblicitario del film. E così si organizza quella notte di riprese a Manhattan, comunicandolo alle agenzie di stampa. E naturalmente sono tanti i curiosi che vogliono vedere da vicino Marilyn, l’attrice che ha fatto impazzire il pubblico in Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario. Wilder chiede di girare la scena ben quattordici volte, un po’ per la confusione che fanno tutti quelli che stanno lì intorno - ogni volta che la gonna si alza un urlo sale dalla folla - ma soprattutto a beneficio dei tanti fotografi che non vogliono perdere il fugace momento in cui la gonna dell’abito bianco creato da William Travilla si alza, lasciando scoperte le bellissime gambe di Marilyn. Qualcuno maligna che il costumista si sia limitato a comprare quel vestito, trovandolo perfetto per la sua attrice. Ovviamente Travilla ha sempre negato, pur considerandolo un “vestitino”, una cosuccia disegnata in pochi minuti.
Solo Marilyn riesce a essere così sfacciatamente candida in quella scena di seduzione. È davvero irresistibile. Da questo momento la sua stella brillerà come nessun’altra nel cielo di Hollywood - grazie anche al grande Billy Wilder che la dirige quattro anni dopo in A qualcuno piace caldo - una stella però destinata a spegnersi così rapidamente come si è accesa.
La scena sarà girata nuovamente negli studi di Hollywood. Ovviamente la conoscete tutti, anche se nel film non si vede, o meglio non si vede quello che voi ricordate. C’è l’immagine delle gambe di Marilyn scoperte dall’aria e poi lo stacco sullo sguardo di Tom Ewell. E anche lui è perfetto: sembra davvero che siano le prime gambe che abbia mai visto. Questo è il materiale girato in studio. Invece voi ricordate la splendida Marilyn a figura intera con la gonna svolazzante, inutilmente trattenuta dalle mani della ragazza che ci sorride, innocente e maliziosa, consapevole di essere l’oggetto del desiderio di tutti quegli uomini, conscia che stanno mettendo in mostra la sua bellezza e il suo corpo per vendere un film, ci sembra a un tempo felice e spaventata. Quella che ricordate è la foto di Sam Shaw. Poi ce ne sono altre, tante altre, perché quella notte a fotografare Marilyn ci sono George Zimbel, Garry Winograd, Elliot Erwitt, Geoge Barris, artisti che hanno fatto la storia della fotografia e che hanno fatto o faranno splendidi ritratti di Marilyn. Ma solo al suo amico Sam lei regala quel sorriso che è entrato nella storia, perché quella foto è diventata una delle immagini simbolo del Novecento.
Non c’è Ed Feingersh, che però nel 1955 scatta alcune splendide foto di Marilyn all’interno della Grand Central Station e a bordo di un vagone della metropolitana durante un celebre servizio fotografico per Redbook, in cui deve raccontare una giornata dell’attrice.
Tra le persone che quella notte sono a quell’angolo di Lexington Avenue c’è anche Joe DiMaggio, da pochi mesi marito di Marilyn. Joe si infuria di fronte a quegli uomini che guardano Marilyn, che urlano quando vedono le sue gambe, trova quello spettacolo indecoroso o forse realizza per la prima volta che Marilyn non sarà mai “sua”. E certo soffre di non essere più la star. Furibondo lascia il set e quella notte i clienti del St. Regis sentono le urla del loro litigio. La mattina successiva i truccatori faranno fatica a nascondere i segni lasciati da Joe. Il matrimonio finirà pochi mesi dopo. Tanti altri vorranno possedere Marilyn, che però, anche grazie a quelle foto che fanno il giro del mondo, è ormai diventata una leggenda. E nessuno può imprigionare una leggenda.

Prima di quel fugace, seppur peccaminoso, sbuffo d’aria, la Ragazza commenta con Richard il film che hanno appena visto e, stupendo il suo accompagnatore, lei difende il mostro.
Faceva paura a guardarlo, però in fondo non era cattivo. Forse cercava solo un po’ d’affetto, di sentirsi amato, desiderato, coccolato.
Forse in una calda notte d’estate di dieci dopo, Norma Jean si è ricordata di questa battuta. Anche Marilyn era un monstrum, un prodigio, che chiedeva solo di essere amato.