mercoledì 30 ottobre 2013

Verba volant (2): lealtà...

Lealtà, sost. f.

Lealtà è una parola che ho utilizzato poco nella mia vita, anche se spero di non essere stato troppo sleale; chi mi conosce immagino possa confermarlo o smentirlo. Al di là del valore – ovviamente lodevole e commendevole – è proprio questa parola che ho poco frequentato; visto che adesso mi sono messo di impegno a scrivere un dizionario, credo sia una lacuna da colmare.
Come parola preferisco fedeltà: e infatti sono fedele a mia moglie e sono fedele alle mie idee; in quest’ultimo caso so che più d’uno preferisce dire che sono testardo, cocciuto, visto che alle mie idee sono particolarmente affezionato e non sono disposto a cambiarle, benché godano attualmente di pochissima fortuna. Non sono neppure disposto a cambiare mia moglie, nonostante questa pratica di cambiare il coniuge sia ampiamente praticata e ben vista in società; come noto ci sono dei difensori così accesi della famiglia che hanno deciso di averne due.
Forse la mia difficoltà a utilizzare la parola lealtà ha un qualche riflesso nell’etimologia. L’aggettivo leale arriva nell’italiano dal provenzale leialz ed è affine al francese loyal, entrambi derivati dal latino legalem; evidentemente il mio inconscio fatica ad associare il concetto di lealtà con il mondo della giustizia e degli avvocati. Un mio limite, naturalmente.
Se devo associare l’aggettivo leale a qualcuno mi viene in mente un gangster, che nonostante sia un notorio criminale, è leale alla sua banda; o insomma qualcosa del genere.
Queste ultime riflessioni mi portano dritte dritte al motivo per cui ho scelto questa parola. In Italia infatti è nato da pochissimi giorni un nuovo partito: i lealisti. Per inciso in questo nuovo partito sono numerosi i legali, e anche i gangster; quindi vedete che l’etimologia è una scienza meno inutile di quello che può sembrare a qualcuno che non la pratica costantemente.
Il programma dei lealisti è invero piuttosto semplice, e proprio questa semplicità, questa estrema sintesi degli obiettivi, ha fatto sì che nel neonato partito, insieme alle due categorie di cui ho parlato prima, trovassero immediatamente posto persone che faticano a elaborare un più complesso disegno politico, persone che possono tenere a mente un solo concetto alla volta. Infatti il programma dei lealisti è formato da un solo, unico, punto: essere leali. Da qui tutto discende. La lealtà ad esempio ti permette di discernere anche le esatte generalità anagrafiche di una persona: pensate che c’era qualche povero di spirito che non riusciva a capire il legame di parentela tra una giovane professionista dell’Africa settentrionale e il presidente dell’Egitto; i lealisti, proprio in virtù e in forza della loro lealtà, hanno subito capito che si trattava di zio e nipote.
La lealtà evidentemente fa miracoli.

martedì 29 ottobre 2013

Verba volant (1): pietà...

particolare_pieta_di_michelangelo___in_progress_4__by_designermf-d63gmhdPietà, sost. f.

A dire il vero, a me interessa un tipo di pietà non ancora codificata, che non ha un nome specifico, anche se credo che presto i lessicografi e gli estensori di vocabolari dovranno porre rimedio a questo lacuna; si tratta di quella che per ora mi limito a definire pietà 2.0.
Nelle settimane scorse, per alcuni giorni, ne abbiamo avuto notevolissimi esempi, a seguito della tragedia di Lampedusa: profili Facebook listati a lutto, immagini di candele quasi numerose quanto quelle dei gattini, generiche - per quanto sincere - espressioni di dolore. Chi vi parla ha naturalmente partecipato, nella maniera più sobria possibile, a questo cordoglio mediatico: era umanamente impossibile non condividere un’emozione di tristezza - e anche di rabbia - davanti a quelle immagini, alla litania dei corpi dentro i sacchi.
Non dico non sia sincera questa forma di pietà, che si traduce molto spesso, nel piccolo gesto di cliccare su “mi piace” o di spingere il tasto “condividi” sotto una foto particolarmente evocativa. Penso ci sia qualcuno che probabilmente si è lasciato trascinare dall’onda emotiva, senza troppo rifletterci, ma è qualcosa di assolutamente naturale e normale, e non è per forza di cose segno di ipocrisia: noi uomini siamo fatti così.
Ci sono stati ovviamente dei cordogli insinceri, dettati dall’opportunismo, ma, anche in questo caso sfido a trovare un funerale un po’ partecipato in cui non ci sia almeno uno dei convenuti che pensa tutto il male possibile del defunto; anche questo è – ahimè – un atteggiamento umano, troppo umano.
C’è infine – sono una minoranza, ma vale la pena citarli – quelli che si sentono in obbligo di dire una cosa diversa da quello che dicono tutti; anche se sinceramente dispiaciuti per quello che è successo, hanno preferito astenersi o perfino trovare una parola critica, giusto per segnare il loro superiore distacco, la loro differenza dalla massa.
Al di là di questi casi residuali, la normale pietà 2.0 per quanto sincera, è effimera; anzi tanto più è sentita, generalizzata fino all’unanimismo, tanto più è destinata a volatilizzarsi rapidamente. E su questo giocano quelli che di queste emozioni si nutrono e si approfittano.
Il caso dei morti di Lampedusa è stato emblematico. Perfino Alfano – che non è certo un campione di empatia – è riuscito a mettersi in sintonia con una parte rilevante di questo paese, per non dire di quell’abatino del presidente del consiglio o della ministra dell’integrazione, che hanno qualche titolo in più per non sembrare falsi quando esprimono questi sentimenti. Tanto che ci siamo cascati quando hanno detto che avrebbero organizzato per quei poveri cristi dei funerali di stato e qualcuno si è perfino illuso che sarebbe stata cambiata la Bossi-Fini. Come noto, niente di tutto questo è avvenuto: i funerali di stato non ci sono stati e sono stati barattati con una pantomima di sapore elettorale nella città del ministro dell’interno e naturalmente non si parla di modificare la legge che rende delinquenti ipso facto coloro che arrivano in Italia.
E non riusciamo neppure a rendere costante la rabbia, che pure in più di un commento in quei giorni si è fatta avanti; non chiediamo più di abrogare quella brutta legge, come non chiediamo più di trovare i colpevoli delle grandi stragi italiane. Ci siamo stancati; ci hanno stancato. Di Lampedusa non si parla più, anche perché c’è pronta un’altra tragedia in qualche altra parte del mondo, c’è un altro lutto, su cui sfogare un sentimento di legittimo cordoglio, la nostra pietà, il nostro cum patire. Quasi quanto le tragedie dove sono coinvolti i bambini, funzionano come catalizzatori di questa pietà 2.0 le morti improvvise di giovani eroi dello sport – è dai tempi di Omero, dopo tutto, che questo genere di cordoglio popolare riesce a raccogliere un’eco così vasta – e quelle dei cantanti, ossia di chi ci ha regalato emozioni in vita. Scrivo questa voce del mio personalissimo dizionario all’indomani della morte di Lou Reed e già oggi il cordoglio comincia a sfumare, ci sono meno sue canzoni che fanno capolino dalle bacheche dei social.
Siamo incostanti nel dolore, ma non è durezza d’animo, almeno a me non pare sia questo. E’ la reiterazione che ci rende un po’ meno sensibili o almeno meno costanti: in fondo i giovani eroi dei motori morti sulle piste sono già un numero superiore dei guerrieri morti sotto le mura di Troia.

venerdì 25 ottobre 2013

"Robinson" di Bartolo Cattafi


Su un'isola deserta
di sabbie finissime
sempre pronte a franare nel nulla
fu duro tirare fuori
tutto dal proprio sacco
la terra l'acqua
per farne fango
col fango fare la compagna la capanna
e tirare la barca i remi che spesso
si mettevano di traverso
l'amo l'arma l'aratro
cavare fuori caino con abele
ricci rose conchiglie
ombre d'estate
focolari con angeli d'inverno.
La fatica fu quella d'inventare
i nomi i colori le funzioni
e le tre dimensioni da tagliare
nell'amorfa miniera misteriosa.
Fu pesante finanche posare
le mani stanche inesistenti
sui fianchi d'aria.da PensieriParole

mercoledì 23 ottobre 2013

Considerazioni libere (381): a proposito di 218+1 persone in malafede...

23 ottobre
Nell'interessato disinteresse dei mezzi di informazione, oggi è successa una cosa molto grave per la nostra democrazia: il Senato ha approvato in terza lettura, a maggioranza assoluta, con 218 voti, il disegno di legge costituzionale che istituisce il comitato parlamentare per le riforme costituzionali, abrogando di fatto l'art. 138 e quindi rendendo possibile alla maggioranza delle "larghe complicità", al caudillo del Quirinale e a tutti gli spiriti piduisti che si agitano nel nostro paese, di modificare la Costituzione a loro piacimento, con un iter legislativo più semplice e veloce. Purtroppo per soli 4 voti è stata superata la soglia dei due terzi e quindi questa riforma costituzionale non potrà essere abrogata con un referendum.
Ringraziamo - nonostante le differenze politiche profonde, che rimangono intatte - chi ha votato contro, ossia i 58 senatori del Movimento Cinque stelle, della Lega nord e di Sel. Non sono bastati, almeno per non arrivare alla soglia dei 214, le astensioni dei "falchi" tra i servi di B. e soprattutto delle residue "anime belle" dell'ex-Pd, come Corradino Mineo. Stendiamo un velo sull'ipocrisia di quei senatori dell'ex-Pd, tra cui il bolognese Sergio Lo Giudice, che hanno votato sì, dichiarando che vigileranno sul lavoro della commissione; non potevamo aspettarci niente di meglio da questo partito di ignavi, che svende la propria storia e i propri residui valori nel nome della responsabilità. Denunciamo ancora una volta che chi dovrebbe, per ruolo istituzionale, essere il massimo garante della Costituzione, invece ne è diventato il massimo eversore.
Non è stato comunque inutile andare in piazza lo scorso 12 ottobre, almeno per testimoniare la nostra ferma contrarietà a questo colpo di stato strisciante che Napolitano e i suoi uomini stanno attuando contro le istituzioni democratiche; credo che adesso sia ancora più necessario vigilare e provare a costruire un soggetto politico che, prescindendo dall'ex-Pd - chiunque vinca il congresso - abbia come proprio riferimento i valori della democrazia e del lavoro.
24 ottobre
Continuano purtroppo le intemperanze verbali e le minacce rancorose dell'anziano caudillo del Quirinale. Ieri, in un contesto dove queste cose non c'entravano nulla, ha detto: "la vita pubblica e l'opinione dei cittadini sono condizionate e deviate da un'onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di invenzioni calunniose che inquinano il dibattito politico e mirano, non solo a destabilizzare un equilibrio di governo, ma a gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale". A ben vedere le calunnie e le faziosità arrivano prevalentemente da una parte, proprio quella del presidente della Repubblica, il cui pensiero è amplificato da tutti, sottolineo tutti, i mezzi di informazione radiotelevisiva, e da praticamente tutti i grandi giornali italiani.
Non c'è spazio, nel dibattito pubblico italiano, per le voci dissonanti, di critica, basti vedere come i mezzi di informazione, tra ieri e oggi, hanno derubricato la votazione sulla riforma costituzionale, fatta diventare una notizia poco rilevante, fatta passare in sordina, proprio per non disturbare il manovratore. Si è preferito dare risalto all'ennesimo processo a B., mentre è ben più pericoloso quello che è successo in Senato, perché è destinato a incidere nel vivo della democrazia italiana. Allo stesso modo, un anno fa, la stessa maggioranza delle "larghe complicità", con l'avallo del caudillo e la muta accondiscendenza dei mezzi di informazione, ha approvato la riforma - anticostituzionale - che ha introdotto in Costituzione l'obbligo del pareggio di bilancio, anche in quel caso con una maggioranza superiore ai due terzi, per mettersi in salvo dalla possibilità del referendum.
Non si arrabbi anche con me, presidente Napolitano, ma lei è in grave errore, dal momento che ha fatto diventare l'attuale equilibrio di governo un elemento costituzionale, identificando la sua persona con il governo, quindi chi critica il governo, finisce per criticare lei e l'assetto istituzionale del nostro paese. Capisco che le può essere difficile da accettare, ma deve capire che in questo paese ci sono alcune persone, come me, che pur rispettando le istituzioni, non accettano questo governo. Lei, proprio per il suo ruolo, dovrebbe rappresentare anche me, mentre lei, perdoni la franchezza, se ne frega altamente di quello che penso io, dal momento che non sono d'accordo con la sua maggioranza: per questo io non posso più considerarla il mio presidente, mentre continuo a rispettare l'istituto della presidenza della Repubblica, che lei disonora con il suo comportamento, e le altre istituzioni. So che voi avete la maggioranza - una grande maggioranza - ma questo non vi autorizza, dato che siamo ancora una democrazia, a sostenere che solo voi avete ragione e soprattutto che solo voi rappresentate le istituzioni, mentre noi che osiamo criticarvi siamo pericolosi sfascisti, anarchici senza dio; questo suo modo di pensare porta diritto a sistemi totalitari, prima ancora che autoritari, che purtroppo questo paese ha conosciuto nella sua storia recente. I padri costituenti hanno cercato di impedire che questo sistema rinascesse: anche per questo pochi di noi si ostinano a voler difendere questa Costituzione, che invece voi state modificando nei suoi principi ed elementi essenziali. Questo equilibrio di governo non mi piace e ho il diritto di dirlo, come ho il diritto di sperare che questo governo cada il prima possibile, perché - so che anche questo lei ormai non può più capirlo - anche se cade il governo, non finisce la Repubblica, finisce solo la "sua" repubblica.

lunedì 21 ottobre 2013

"Un uomo in cielo" di Gianni Rodari


In rotta per Aldèbaran
la vedetta gridò:
- Capitano, un uomo in cielo! -
L’astronave si fermò.
Fu ripescato il naufrago:
era un giovane idraulico
di Paderno Dugnano,
caduto all’insù
dal balcone del terzo piano
in una notte di luna
per il peso della testa
troppo gonfia di sogni.
Gli facemmo gran festa,
rispose a ogni domanda.
Dopo cena il nostromo
gli cedette la sua branda.

domenica 20 ottobre 2013

"In verità" di Ingeborg Bachmann


A chi mai una parola ha tolto,
e lo dico a voi,
mi raccomando - chi sa aiutarsi
con le parole
non è da aiutare.
Non su brevi cammini
non sui lunghi.
Un'unica resistente frase è da fare,
da sopportare nel bimbam delle parole.
Nessuno la scrive questa frase,
che non sottoscrive.

mercoledì 16 ottobre 2013

"Senza bussola" di Luciano Erba


Secondo Darwin avrei dovuto essere eliminato
secondo Malthus neppure essere nato
secondo Lombroso finirò comunque male
e non sto a dire di Marx, io, petit bourgeois
scappare, dunque, scappare
in avanti in dietro di fianco
(così nel quaranta quando tutti) ma
permangono personali perplessità
sono a est della mia ferita
o a sud della mia morte?

lunedì 14 ottobre 2013

"Ricetta" di Raymond Quenau


Prendete una parola
prendetene due
fatele cuocere come se fossero uova,
scaldatele a fuoco lento,
versate la salsa enigmatica,
spolverate con qualche stella,
mettete pepe
e fatele andare libere
con le vele gonfie di vento.

venerdì 11 ottobre 2013

"Segreteria telefonica" di Mario Benedetti

Risponde il numero 5179617. In questo momento non possiamo rispondere. Se volete lasciare un messaggio parlate dopo il segnale acustico.
Questo messaggio è per Abilio e chi parla è Juan Alberto. Ti stupisci, Abilio? Immagino di sì. Da cinque anni non avevi mie notizie. E da cinque anni io non ho più volto né corpo e nemmeno ombra. Ma, stranamente, ho una voce. E con la mia voce posso ancora farti visita, ricordarti cose, accompagnarti tuo malgrado.
Il ricordo più nitido che conservo di te è l'odio nei tuoi occhi azzurri quando sovrintendevi alle torture che altri ci infliggevano. Questo tuo livore, così esagerato, è sempre stato un mistero per me. Non ho mai avuto scontri diretti con te, non ho violentato tua moglie né tua figlia, non ti ho tradito, e non ti ho neanche mai sputato in faccia, anche se molte volte ho desiderato farlo. Tu, invece, ti sei infiltrato tra di noi, e hai cominciato a venderci, uno dopo l'altro tutti quanti. Hai distrutto con pazienza le nostre vite familiari, hai fatto tutto il possibile perché su di noi incombesse sempre la minaccia di morte, come pane quotidiano.
Risponde il numero 5179617. In questo momento non possiamo rispondere. Se volete lasciare un messaggio parlate dopo il segnale acustico.
A quanto pare, la tua segreteria non è molto capiente. Allora continuerò finché non si esaurisce lo spazio. Hai rovinato l'esistenza delle nostre donne e dei nostri figli. Facevi ascoltare loro le registrazioni con le nostre voci e le urla che cacciavamo mentre ci torturavano. Non si può dire che tu sia un boia pentito, come alcuni che stanno venendo fuori adesso. Tu per vocazione eri uno zelante esecutore di ordini. Ti divertivi. Eppure non ti serbo rancore. Nella dimensione in cui galleggio adesso, non c'è posto per il rancore, ti dirò di più, è inconcepibile. Non voglio anticiparti come è questo spazio, dovrai verificarlo da solo, quando verrà il tuo giorno, o la tua notte, come è successo a me.
Un avvertimento. Non credere che incontrerai Dio. Né il tuo né quello degli altri. Fino ad ora hanno brillato per la loro assenza. In tutta tranquillità, puoi smettere di andare a messa. Non succede niente.
Ti confesso che in fondo mi fai pena. So che non puoi dormire. So anche che è troppo tardi per pentirsi. Trasporti troppi morti nel container della tua memoria.
Non so se qualcun altro dei tuoi cadaveri comparirà, come adesso, sulla tua segreteria telefonica. E non lo so perché qui non comunichiamo tra noi. Siamo una confraternita di solitari. Sapevi che la morte è un'infinita prateria grigia? Ti prometto che non ti darò più fastidio. Sì, la morte è un'infinita prateria grigia. Una prateria grigia, Senza alleluia. Grigia.

domenica 6 ottobre 2013

Considerazioni libere (380): a proposito della manifestazione del 12 ottobre...

Sono passati diversi anni dall'ultima volta in cui ho partecipato a una grande manifestazione politica: almeno dal 2007, quando, con la nascita del Pd, ho smesso di "avere" un partito. Da allora, come sapete, mi sono progressivamente e definitivamente ritirato dalla politica attiva; mi è rimasto questo spazio nella rete, il cui effetto concreto è praticamente nullo, ma che mi permette almeno di continuare a esprimere la mia opinione. In questi anni sono sempre andato a votare, in alcune occasioni lasciando scheda bianca, in altre votando per candidati che conoscevo, ovviamente dell'area del centrosinistra. Alle ultime elezioni politiche, sbagliando, ho votato per il Pd di Bersani: una cosa di cui mi pento ancora amaramente. Allo stato dell'arte, se si votasse domani, lascerei ancora una volta la scheda bianca. Adesso sono uno dei tanti "esodati della sinistra", un senza terra. Il prossimo 12 ottobre andrò a Roma alla manifestazione promossa da Stefano Rodotà, da Maurizio Landini e da molti altri. Spero saremo in tanti. In questa "considerazione" provo a dire le ragioni della mia convinta e determinata adesione a questa manifestazione. E provo anche a esprimere un timore.
Parto da questo timore. Io spero che in questi pochi giorni che ci separano dalla manifestazione e soprattutto in quelli successivi, riusciremo a evitare il rischio di separare i temi democratici e costituzionali da quelli sociali. Non si tratta di un rischio teorico, ma di qualcosa che è avvenuto regolarmente in questi anni e che ha favorito la destra. In questi vent'anni la presenza eversiva e travolgente di B. ha scardinato tutte le consuete categorie politiche. Per troppo tempo c'è stata confusione tra antiberlusconismo e sinistra, tanto che per una parte rilevante, tendenzialmente maggioritaria, dell'opinione pubblica di sinistra era sufficiente che qualcuno si proclamasse contro B. per considerarlo un proprio alleato naturale. E infatti da sinistra c'è stata simpatia addirittura per Fini, l'ultimo segretario del Movimento sociale, nella speranza che potesse sostituire il Caimano alla guida del centrodestra. Sfruttando questa confusione, Napolitano nel novembre del 2011, è riuscito a imporre al paese il commissariamento da parte della troika, con molte meno tensioni sociali di quelle che sono successe in Grecia: eravamo talmente felici delle dimissioni imposte a B. da sopportare qualunque cosa. In questo paese abbiamo accettato ogni nefandezza, pur che fosse contro B. e i suoi scherani. Temo che qualcosa del genere possa succedere anche in questa nuova fase della vita politica: B. è stato stretto all'angolo da Letta e da Alfano e noi dovremmo perfino ringraziarli, anche di aver aumentato l'Iva. Anche a causa di questa contraddizione, mentre avevamo ben chiaro che a livello democratico e costituzionale i nostri nemici erano B. e i suoi servi, non avevamo la stessa consapevolezza che nel nostro paese - come nel resto del mondo occidentale - si stava giocando una lotta, senza esclusione di colpi, contro la sinistra e i suoi valori. Questa partita, per ora, l'abbiamo decisamente persa, dal momento che una parte rilevante della sinistra europea ha rinunciato a giocare un proprio ruolo autonomo rispetto al pensiero dominante ultraliberista. Al di là del caso italiano, dove questa resa è avvenuta in maniera ignominiosa - d'altra parte siamo pur sempre il paese dell'8 settembre - e l'ex-Pd sta per consegnarsi, armi e bagagli, a un leader neocentrista, ambizioso quanto spregiudicato, che non c'entra nulla con la storia della sinistra italiana, qualcosa di analogo è avvenuto in tutti i maggiori paesi europei, basti pensare alla parabola discendente del Spd, ridotto ormai a partito satellite della cancelliera Merkel o alle tribolazioni dei socialisti francesi e del Labour. 
Per tornare alle vicende italiane, in questi lunghi vent'anni, la lotta contro il berlusconismo ha sofferto della separazione o quantomeno di un incontro difficoltoso tra quelli che scendevano in piazza e lottavano per la legalità e i cosiddetti valori repubblicani e quelli che si ostinavano, per intima convinzione e per ruolo istituzionale - penso ovviamente al sindacato - a battersi sui temi della condizione dei lavoratori, contro l'aumento del numero dei disoccupati e dei giovani precari, contro il progressivo e inarrestabile arretramento dei sistemi di protezione sociale, a partire dalla previdenza. Analoga separazione hanno patito anche i movimenti e le associazioni che, con grande fatica e coraggio, hanno tenuto in vita la lotta contro le mafie, nonostante la sostanziale e complice indifferenza delle istituzioni pubbliche, che hanno ormai derubricato la lotta alla criminalità come un aspetto marginale dell'agenda politica. Di questa separazione e dell'incapacita della sinistra di affrontare i temi sociali si sono naturalmente approfittati B. e i suoi servi, a cui non fa certo difetto la mancanza di vergogna, sfruttando ogni tipo di demagogia populista, in particolare facendosi paladini della lotta contro le tasse che, per una parte di questo paese che non riceve in cambio alcun servizio, sono effettivamente una vera ruberia. Di queste contraddizioni si è giovato anche Grillo, basando tutta la sua propaganda su un seducente invito a mandare al diavolo tutta la "casta", ma senza offrire alcuna opzione programmatica alternativa, se non un generico superamento della dicotomia novecentesca tra destra e sinistra. Non so se vi succede di parlare con qualche esponente di quel partito, a me capita ogni tanto; quando riuscite ad andare oltre i tre o quattro slogan che ripetono come un mantra, vi accorgete che spesso non riescono a distinguere tra la sacrosanta lotta per la democrazia e la legalità e la critica a questo sistema economico. A me succede abbastanza spesso di litigare con qualcuno di loro e alla fine l'argomento che usano contro di me è sempre quello: io rappresento, in quanto continuo a dichiararmi ostinatamente di sinistra, un pezzo del vecchio, a cui loro si contrappongono. Pur non rinnegando il fatto di aver fatto politica per molti anni, credo che chi ha la pazienza di leggere quello che scrivo magari può non essere d'accordo, forse può essere infastidito dai miei toni, non sempre gentili, ma difficilmente mi può considerare parte del regime; eppure è così che mi considerano gli amici del Movimento Cinque stelle. Per loro sinistra è equivalente di vecchio e quindi di responsabile della crisi e non riescono ad accettare l'idea che potremmo fare un pezzo di strada insieme per cambiare un sistema che fa crescere le povertà. Per loro la sinistra è il problema, per me la soluzione. Questa è una contraddizione che dobbiamo in qualche modo riuscire a superare, se abbiamo l'ambizione di voler vincere le elezioni e provare a governare questo sfortunato paese.
Il fatto che tra i promotori della manifestazione del 12 ottobre ci sia la Fiom è un segnale importante, per sperare che questa dicotomia non continui a esserci. Così come sono significative le parole che in questi ultimi mesi Rodotà ha speso in più occasioni per sottolineare l'importanza dell'art. 1 della Costituzione, la non casualità della scelta dei Costituenti di mettere il lavoro come elemento fondante della nostra Repubblica e quindi la necessità di tenere insieme questi due valori inscindibili: democrazia e lavoro. Per misurare il successo della manifestazione del 12 ottobre e per capire soprattutto che spinta potrà dare alla ricostruzione di un movimento di sinistra in Italia, non sarà necessario soltanto vedere quanti saremo a Roma, ma prima di tutto chi ci sarà e con quali obiettivi, quali saranno le parole d'ordine di chi interverrà e soprattutto cosa riusciremo a fare dopo, perché naturalmente un percorso del genere non può ridursi a una manifestazione, per quanto ben riuscita, ma dovrà articolarsi in un percorso politico nei territori. Se passa l'idea che il nostro messaggio è solo quello della legalità e dell'osservanza costituzionale sarà insufficiente per mobilitare altre forze e soprattutto per parlare agli strati più deboli di questo paese, quelli che pagano più duramente il prezzo della crisi e che non hanno prospettive per il loro futuro. Se ci limiteremo a questo saremo un altro Movimento Cinque stelle, magari più educato, ma sostanzialmente inutile sul piano politico, così come lo sono loro. Capisco che questo tema della legalità sia importante, in un paese che è, come dire, reffrattario alle regole e alle leggi e dove i principi costituzionali e democratici sono calpestati quotidianamente, prima di tutto dalle persone che sono stati chiamati a tutelarli, a partire da chi siede al Quirinale. 
L'ha detto in questi giorni Landini e io spero che sia il tema dominate della manifestazione. La battagalia non è quella di difendere la Costituzione, ma quella di applicarla integralmente, dal momento che troppe parti di essa sono rimaste lettera morta e altre sono disapplicate di fatto, sotto il peso della organizzazione materiale della società. Come noto sono le parti che riguardano i temi sociali: a partire proprio dal lavoro; dalla rimozione degli ostacoli a trovarne uno dignitoso, sicuro e equamente retribuito; dalla salvaguardia degli istituti del welfare, ossia l'universalità e la gratuità; dal principio della progressività dell'imposizione fiscale, che adesso invece viene squilibrata a favore della tassazione indiretta; dalla difesa dell'ambiente e del paesaggio, che ad esempio contrasta con opere come il Tav. Come è evidente si tratta di elementi fondanti della nostra Carta costituzionale, che sono attaccati dalle politiche economiche decise dalle autorità finanziarie internazionali e applicate in maniera letterale dai governi italiani, come nel caso della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, o addirittura con uno zelo maggiore di quello richiesto, come nel caso della riforma Fornero. Questo è il programma della maggioranza delle larghe intese e del governo, indipendentemente dalle convulsioni di questi giorni o da chi viene di volta in volta chiamato a interpretare i dettami di Bruxelles e Francoforte.
Naturalmente mi rendo conto che sarebbe allo stesso modo un errore caricare un appuntamento come quello del 12 ottobre di troppe aspettative. Come ho detto, si tratta di un percorso che deve cominciare e vedremo dove ci porterà. Come mi è già capitato di dire, io sono uno di quelli che spera che alla fine di questo percorso nasca una nuova forza politica, perché non credo che quelle esistenti siano capaci di intercettare i valori e le energie che ci sono nel mondo disperso della sinistra italiana e di farsi promotrici di questo bisogno di radicalità. Su questo, come su altri punti, deve cominciare la discussione, a partire già dal 13 ottobre, perché è vero che bisogna evitare di avere troppa fretta - la fretta è cattiva consigliera, come ha ben dimostrato l'infelice esperienza della lista Ingroia,  nata male e morta peggio - ma non possiamo neppure stare qui a discutere per anni, mentre tutto va a rotoli. A giugno prossimo si voterà per il parlamento europeo, il voto in sé non ha alcun valore pratico, dal momento che quella istituzione è volutamente svuotata di qualsiasi potere reale, ma sarebbe interessante riuscire a costituire, a livello europeo, un soggetto politico di sinistra, capace di proporre una risposta diversa rispetto a quella sostanzialmente omologa del Ppe e del Pse, ossia delle larghe intese tedesca, italiana, greca e così via.
Nel 2006 riuscimmo a fermare con il referendum, proprio nel nome della Costituzione, il disegno del premierato - che non per caso i saggi nominati dal caudillo del Quirinale tentato di riproporre in queste settimane - ma non siamo riusciti ad attivare un percorso positivo, non siamo riusciti a mettere insieme sensibilità e bisogni differenti, ma potenzialmente convergenti. Tutte queste sensibilità e tutti questi bisogni possono concorrere a un appuntamento così ambizioso come quello del 12 ottobre e possono partecipare a quello che da lì si potrebbe costruire.
In questi giorni abbiamo vissuto uno strano paradosso. La crisi si fa ogni giorno più dura, per fasce sempre più larghe di famiglie, la disoccupazione giovanile tocca ogni mese un picco e crescono parallelamente anche i precari, una parte dei lavoratori è senza stipendio e senza pensione, manca una qualsiasi politica industriale, tanto che le nostre aziende vengono comprate, a prezzi ridicoli, da investitori stranieri; in questo quadro drammatico si è aperta una crisi politica e istituzionale, ma non per mancanza di vie d'uscita o per l'incapacità di offrire risposte a questa situazione. In un altro contesto avremmo pensato che l'insopportabilità della situazione economica e sociale avrebbe potuto causare una crisi, vista l'ottusa e ostinata perseveranza con cui la nostra sedicente classe dirigente applica le ricette della troika; invece la crisi è nata e si è risolta intorno alla sorte personale di un politico pregiudicato, che, nonostante tutto, vuole continuare a stare sulla scena. L'unica cosa sensata da fare sarebbe quella di cambiare la legge elettorale e di andare subito a votare, ma già si parla di superare il 2014 e probabilmente si arriverà alla scadenza naturale della legislatura; il governo è delegittimato, ma in fondo poco importa, tanto le decisioni vengono prese da altri, in altri posti. Il governo Letta non può cadere sulla legge di stabilità, come una volta i governi democristiani cadevano in occasione della finanziaria, perché il nostro bilancio è già stato scritto dalla troika. Per questo è tanto più necessario provare a riattivare un movimento popolare e sociale, un movimento democratico forte che scardini queste regole. Dobbiamo andare in piazza il prossimo 12 ottobre non solo per dire che B. non può rimanere in senato, ma anche per dire che questo stato di cose non è più accettabile e che se deve esserci una crisi politica e istituzionale non deve continuare a nascere dalle beghe di palazzo, ma a causa di una rinnovata forza democratica, da una decisa spinta dal basso.

sabato 5 ottobre 2013

"La cattedrale" di Kofi Awoonor

Su questa terra sporca
un tempo cresceva un albero
spandendo incenso sul granturco novello:
i suoi rami si aprivano in un paradiso
ravvivato dagli ultimi fuochi d'una tribù.
Mandarono agrimensori e costruttori
che tagliarono l'albero
piantando al suo posto
un'immensa insensata cattedrale della sventura.

venerdì 4 ottobre 2013

Lampedusa, 3 ottobre 2013


"Non è spuntato ancora un Omero per cantare le imprese colossali e desolate dei migratori che traversano il mondo a piedi e salgono sulle onde ammucchiati in zattere. Non si è affacciato un poeta cieco e perciò visionario a raccontare il mare spalancato, la deriva e il naufragio. Non c’è un Omero e neanche lo straccio di un nocchiero, di un Miseno, nella ciurma di Ulissi senza governo, tra Eolo re dei venti e Posidone signore delle terre emerse.", Erri De Luca

giovedì 3 ottobre 2013

"Ho perso la parola, il suono" di Mohamed Akalay


Ho perso la parola il suo suono
La lacrima il suo sapore
Il sorriso il suo smalto
Mani di sassi seppellirono
L'ultima radice
Ai piedi dell'oblio
Rimane l'ombra errante
Sudore dei venti
Spezzato tra scirocco e maestrale
Su onde senza faro né porto