Pietà, sost. f.
A dire il vero, a me interessa un tipo di pietà non ancora codificata, che non ha un nome specifico, anche se credo che presto i lessicografi e gli estensori di vocabolari dovranno porre rimedio a questo lacuna; si tratta di quella che per ora mi limito a definire pietà 2.0.
Nelle settimane scorse, per alcuni giorni, ne abbiamo avuto notevolissimi esempi, a seguito della tragedia di Lampedusa: profili Facebook listati a lutto, immagini di candele quasi numerose quanto quelle dei gattini, generiche - per quanto sincere - espressioni di dolore. Chi vi parla ha naturalmente partecipato, nella maniera più sobria possibile, a questo cordoglio mediatico: era umanamente impossibile non condividere un’emozione di tristezza - e anche di rabbia - davanti a quelle immagini, alla litania dei corpi dentro i sacchi.
Non dico non sia sincera questa forma di pietà, che si traduce molto spesso, nel piccolo gesto di cliccare su “mi piace” o di spingere il tasto “condividi” sotto una foto particolarmente evocativa. Penso ci sia qualcuno che probabilmente si è lasciato trascinare dall’onda emotiva, senza troppo rifletterci, ma è qualcosa di assolutamente naturale e normale, e non è per forza di cose segno di ipocrisia: noi uomini siamo fatti così.
Ci sono stati ovviamente dei cordogli insinceri, dettati dall’opportunismo, ma, anche in questo caso sfido a trovare un funerale un po’ partecipato in cui non ci sia almeno uno dei convenuti che pensa tutto il male possibile del defunto; anche questo è – ahimè – un atteggiamento umano, troppo umano.
C’è infine – sono una minoranza, ma vale la pena citarli – quelli che si sentono in obbligo di dire una cosa diversa da quello che dicono tutti; anche se sinceramente dispiaciuti per quello che è successo, hanno preferito astenersi o perfino trovare una parola critica, giusto per segnare il loro superiore distacco, la loro differenza dalla massa.
Al di là di questi casi residuali, la normale pietà 2.0 per quanto sincera, è effimera; anzi tanto più è sentita, generalizzata fino all’unanimismo, tanto più è destinata a volatilizzarsi rapidamente. E su questo giocano quelli che di queste emozioni si nutrono e si approfittano.
Il caso dei morti di Lampedusa è stato emblematico. Perfino Alfano – che non è certo un campione di empatia – è riuscito a mettersi in sintonia con una parte rilevante di questo paese, per non dire di quell’abatino del presidente del consiglio o della ministra dell’integrazione, che hanno qualche titolo in più per non sembrare falsi quando esprimono questi sentimenti. Tanto che ci siamo cascati quando hanno detto che avrebbero organizzato per quei poveri cristi dei funerali di stato e qualcuno si è perfino illuso che sarebbe stata cambiata la Bossi-Fini. Come noto, niente di tutto questo è avvenuto: i funerali di stato non ci sono stati e sono stati barattati con una pantomima di sapore elettorale nella città del ministro dell’interno e naturalmente non si parla di modificare la legge che rende delinquenti ipso facto coloro che arrivano in Italia.
E non riusciamo neppure a rendere costante la rabbia, che pure in più di un commento in quei giorni si è fatta avanti; non chiediamo più di abrogare quella brutta legge, come non chiediamo più di trovare i colpevoli delle grandi stragi italiane. Ci siamo stancati; ci hanno stancato. Di Lampedusa non si parla più, anche perché c’è pronta un’altra tragedia in qualche altra parte del mondo, c’è un altro lutto, su cui sfogare un sentimento di legittimo cordoglio, la nostra pietà, il nostro cum patire. Quasi quanto le tragedie dove sono coinvolti i bambini, funzionano come catalizzatori di questa pietà 2.0 le morti improvvise di giovani eroi dello sport – è dai tempi di Omero, dopo tutto, che questo genere di cordoglio popolare riesce a raccogliere un’eco così vasta – e quelle dei cantanti, ossia di chi ci ha regalato emozioni in vita. Scrivo questa voce del mio personalissimo dizionario all’indomani della morte di Lou Reed e già oggi il cordoglio comincia a sfumare, ci sono meno sue canzoni che fanno capolino dalle bacheche dei social.
Siamo incostanti nel dolore, ma non è durezza d’animo, almeno a me non pare sia questo. E’ la reiterazione che ci rende un po’ meno sensibili o almeno meno costanti: in fondo i giovani eroi dei motori morti sulle piste sono già un numero superiore dei guerrieri morti sotto le mura di Troia.
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