L'intervista a Francesco
Rutelli che oggi è pubblicata sul "Corriere della sera" segna un passaggio importante per il futuro della sinistra nel nostro paese. Dobbiamo
ringraziarlo per la franchezza con cui ha espresso le sue idee, eliminando i troppi elementi di ambiguità che hanno aleggiato fino a ora sul Partito democratico. Mi auguro che anche
Pierluigi Bersani ora intervenga con la stessa sincerità e con la stessa chiarezza, doti che non gli sono mancate nella sua attività di
amministratore e di ministro.
Devo fare una premessa, che sarà scontata per chi ha avuto la pazienza di leggere altre mie "
considerazioni": non condivido nulla dell'analisi politica che fa
Rutelli. Secondo lui la
socialdemocrazia "è un’esperienza storica che non ha alcuna possibilità di parlare ai
contemporanei. Non ci sono più le fabbriche, i sindacati, le strutture sociali del Novecento". Secondo me invece in Italia - come in tutto il mondo - è necessaria una forza socialista. Come ha detto una volta Bersani, "la sinistra esiste in natura". I socialisti hanno l'ambizione e la speranza di eliminare le ingiustizie che ci sono nella società, e
continueranno a esserci, purtroppo.
Rutelli,
coerentemente con questa sua posizione ideologica - non temiamo di usare questa parola, credendola
anch'essa residuo del secolo scorso - spiega che il
Pd è un "partito mai nato", perché gli amici della Margherita avevano posto alcune condizioni per lo
scioglimento del loro partito all'interno del
Pd: "niente
approdo nel socialismo europeo; ma siamo finiti lì. Basta
collateralismo, basta vecchie cinghie di
trasmissione tra politica, corpi sociali, interessi economici; ma le file organizzate di pensionati
Cgil alle primarie, dimostrano che non ne siamo fuori. Pluralismo politico; ma anziché creare un pensiero originale, si oscilla tra babele culturale e voglia di mettere all’angolo chi
dissente".
Come ho detto, io apprezzo la sincerità di
Rutelli, non polemizzo con lui, che sostiene
legittimamente le proprie idee, per quanto distanti dalle mie; non riesco neppure ad arrabbiarmi davvero con la
Binetti. In fondo ha ragione lei: sapevano tutti qual erano le sue idee quando hanno deciso di candidarla. Io sono arrabbiato con quei dirigenti del mio ex partito - la maggioranza, visto il risultato di questo lungo percorso
congressuale - che hanno accettato, in maniera più o meno ipocrita, l'idea di costruire un partito nuovo e poi hanno lavorato, più o meno
sottotraccia, per uno sbocco diverso. Tra questi c'è
naturalmente anche Bersani. E sono anche arrabbiato con quei dirigenti che, provenendo dalla tradizione e dalla storia del
cattolicesimo sociale, hanno usato il
Pd semplicemente come un modo per riciclarsi e mantenere le proprie posizioni di potere. Io non ho partecipato né al congresso del mio circolo, non essendo iscritto al
Pd, né ho votato alle primarie: da un punto di vista politico e
valoriale mi ritrovo nelle
considerazioni fatte da Bersani in questi mesi e se fossi andato al seggio avrei certamente dato a lui il mio voto, per quello che vale. Ma dal momento che le idee devono
necessariamente camminare sulle gambe degli uomini (e magari anche su quelle delle donne, ma qui il discorso si complica
ulteriormente), non sono riuscito a votare per un gruppo dirigente nazionale e locale che ha aderito
strumentalmente al
Pd per poi costruire un soggetto politico diverso.
Delle due l'una: tutti questi dirigenti o credevano al progetto sostenuto da
Veltroni oppure dovevano
coerentemente dire che non era quello il traguardo a cui tendere. Purtroppo abbiamo impiegato più di due anni per raggiungere un risultato positivo, lasciandoci però dietro un cumulo di macerie; e temo che non sia ancora finita, perché a sinistra le
recriminazioni reciproche tendono a continuare per anni, come sanno bene i compagni socialisti. In questa battaglia troppo lunga e giocata in maniera troppo ambigua, abbiamo lasciato sul campo due dirigenti importanti come
Veltroni e
Fassino. Perché in tanti non hanno detto subito che non era quel partito, quell'idea di
Pd, la soluzione? Abbiamo lasciato un vantaggio enorme al
centrodestra e loro se ne sono ampiamente
approfittati.
Credo sia evidente a questo punto quanto fosse
determinante il tema della
collocazione degli
europarlamentari del
Pd; il tema è stato rinviato,
ridimensionato, eppure quello era il nodo di fondo, come giustamente ha sempre ricordato
Rutelli. E' stato generoso il lavoro fatto da
Fassino per ottenere una diversa
denominazione per il gruppo europeo del
Pse, ma, come è evidente anche in questi giorni, la sinistra in Europa è
rappresentata, nel bene e nel male, dai socialisti. Il
Pd ha deciso di fare parte di questa famiglia, e questa decisione è
ulteriormente rafforzata dall'esito del congresso e delle primarie. Il
Pd deve essere il partito che in Italia rappresenta il
Pse e
naturalmente deve dare il proprio contributo a sviluppare quelle scelte politiche che i cittadini europei chiedono alla sinistra in questo momento così difficile. Il voto per il rinnovo del parlamento europeo con la
generalizzata sconfitta delle forze socialiste, l'esito delle elezioni tedesche disastroso per la
Spd, la più che probabile sconfitta dei laburisti alle prossime elezioni in Gran
Bretagna stanno lì come macigni, ma non dicono che la
socialdemocrazia è finita, come
Rutelli e tanti altri continuano a dire, ma che occorre riflettere a fondo su cosa significa essere socialisti nel nuovo millennio.
Qui in Italia la sinistra si trova di fronte a un cammino, se possibile, ancora più in salita.