Quella Festa del ’51 rimase per molti anni nella memoria delle compagne e dei compagni bolognesi. Il Prefetto, dopo una lunga serie di trattative e nonostante la protesta di tante associazioni democratiche e anche di tanti cittadini, negò il permesso per i Giardini Margherita: soltanto ventitre giorni prima della prevista inaugurazione del 18 settembre fu concessa la Montagnola. Lo slancio dei compagni fu incredibile, ingigantito, se possibile, proprio dal maldestro tentativo della Prefettura di vietare la manifestazione. Ma se la Festa de l’Unità non poteva essere fermata dal Prefetto, la pioggia non poteva essere “controllata” dalla tenacia dei compagni: cominciò a piovere la sera del 17 e andò avanti per tutto l’indomani. L’inaugurazione fu spostata al 19.
Di quella edizione fu memorabile la manifestazione conclusiva. Merita citare alcuni passi de l’Unità: “La Sezione Chiarini apre la sua parata con grandi cartelloni con le parole d’ordine in difesa della pace. Gli operai della Casaralta portano il plastico della loro fabbrica […] Gli operai della Calzoni portano un grosso scarpone che spezza le armi della guerra, anche gli operai della Sabiem-Parenti hanno costruito un carro allegorico significativo: un colossale martello che schiaccia i carri armati e le fabbriche di armi”. Alla parata seguono raffigurazioni ginniche e rappresentazioni in piazza VIII Agosto: “I ragazzi della Sezione Irma Bandiera hanno eseguito esercizi alla sbarra con agilità ed esperienza da ginnasti consumati. Medicina ha trasformato l’arena in una risaia: le betulle ai lati, un immenso cappello di paglia al centro, un coro di braccianti in sottofondo. Dal cappello sbocciano un bracciante e una mondina con una rossa bandiera. […] il grande complesso delle Sezioni Galanti e Busi ha formato successivamente e con movimenti ritmici e perfettamente eseguiti, i distintivi della Cgil, del Pci e del Psi”. Finalmente seguì il comizio di Palmiro Togliatti. Erano venuti compagni da tutta Italia. Le persone erano assiepate nella piazza e tutto intorno: da Porta Zamboni fino a piazza dei Martiri e su per via Marconi fino a piazza Malpigli; tutta via Indipendenza dal Nettuno alla stazione era piena. Togliatti parlò per due ore.
Festa di partito, anzi Festa del partito, ma anche festa popolare, una grande “fiera”. Sono ancora le parole di Edoardo Sanguineti a descrivere questo spirito popolare della Festa de l’Unità.
Il modello della “scampagnata” si è potuto risolvere nella Festa dell’Unità perché tale modello si è incrociato e saldato con quello della “fiera”, […] nel riplasmarsi di fenomeni che rimescolarono, lungamente, etimi religiosi e sviluppi mercantili, tra scadenze calendariali e libero proliferare di innumerevoli forme frante e nomadi, più o meno carnevalizzabili e carnevalizzate in un secolare rimescolarsi di professionalità municipali e di abilità marginali e stravaganti, tra microcommercio ambulante e artigiano vagabondo, tra parco dei divertimenti e spettacolo viaggiante.La Montagnola
La Festa de l’Unità rimase in Montagnola anche nel ’52, poi la Federazione decise di tornare ai Giardini. Il ’53 si festeggiò il buon esito delle elezioni politiche: fu l’anno della “legge-truffa” e la grande cancellata dei Giardini davanti a Porta Santo Stefano fu coperta da una struttura su cui campeggiava la parola d’ordine: “L’Italia ha vinto, i truffatori respinti!”. Nunzio Filogamo presentò lo spettacolo intitolato “Mezzo secolo di canzoni”. Nel ’55 infine la scelta cadde definitivamente sulla Montagnola. Le Feste de l’Unità intanto dilagavano su tutto il territorio della nostra provincia; l’Unità riporta entusiasticamente alcuni dati riferiti al ’58: “276 Feste Sezionali, 1500 serate di Cellula, 28 milioni di sottoscrizione e un Festival Provinciale senza precedenti”. Naturalmente ogni anno il Festival era “senza precedenti”.
Cresceva e cambiava l’Italia; la Festa de l’Unità cresceva di anno in anno, aumentavano i ristoranti, la Cinquecento sostituì la moto Morini come premio finale della pesca. Nell’aprile del ’61 l’Urss lanciò in orbita Jury Gagarin, il primo cosmonauta. I compagni che organizzavano il Festival di Bologna non vollero far dimenticare l’evento che segnava una tappa importante per il “primo paese socialista del mondo” e si misero d’ingegno. Fu costruita una torre alta trenta metri con sopra una sfera luminosa di sei metri di diametro che rappresentava la terra e attorno, tenuto su da un’asta di metallo, lo Sputnik, “simbolo imperituro della tecnologia bolscevica”. Lo Sputnik di Bologna, come l’originale, emetteva a intervalli regolari il suo caratteristico “bi-bip”.
L’edizione del ’64 fu molto triste: il 21 agosto morì Palmiro Togliatti. La Direzione nazionale del partito decise che, in quelle condizioni, il Nazionale poteva svolgersi soltanto a Bologna. Più di duecentomila compagni si ritrovarono a Bologna da tutta Italia il 13 settembre per il comizio del nuovo segretario Luigi Longo, in ricordo del grande leader scomparso.
Nel ’68 ci fu l’ultimo Nazionale alla Montagnola. “Per un socialismo giovane, aperto alle idee nuove, con l’Unità, per la sinistra unita” fu la parola d’ordine che nell’anno della contestazione campeggiava lungo tutta la scalinata davanti a piazza VIII Agosto. Carmen Villani, Jimmi Fontana, Caterina Caselli e Johnny Dorelli furono gli ospiti musicali. L’ultima domenica furono serviti 60.000 pasti. Per costruire la Festa erano serviti 55 chilometri di tubi Innocenti e 47 quintali di fili elettrici. Fu l’ultimo anno in Montagnola. Il Comune doveva avviare una serie di lavori di risistemazione del parco, che ormai era troppo piccolo per contenere la Festa; serviva un’area più grande.
Il Parco Nord
Dopo il Sessantotto la Festa de l’Unità si spostò fuori dalle mura, prima in Fiera, poi all’Arcoveggio, quindi di nuovo in Fiera. Erano gli anni del Vietnam. Il 5 settembre del ’69 la Festa si fermò per manifestare il suo dolore per la morte di Ho Chi Min. Il lungo corteo si svolse sotto una fitta pioggia, come gran parte di quella Festa sfortunata, almeno dal punto di vista meteorologico. Nel ’71 la Federazione di Bologna si “gemellò” con la provincia vietnamita di Quang Tri: la Festa de l’Unità di quell’anno divenne l’occasione per organizzare una serie di sottoscrizioni straordinarie in favore del popolo vietnamita; tra le altre iniziative, si montò all’interno della Festa una emoteca per donare il sangue da mandare in Vietnam.
Nel ’73 finalmente la Festa de l’Unità trovò la propria “casa” al Parco Nord. La Festa di quell’anno ospitò il concerto dell’orchestra del Teatro comunale di Bologna diretta da Zubin Metha, una grande “prima”, che non mancò di far nascere qualche polemica tra i “puristi” della musica classica: si portava per la prima volta la grande musica fuori dalle mura cittadine, davvero tra il popolo. Il ’73 fu un anno di rodaggio, in attesa del Nazionale del ’74, la Festa del Cinquantesimo de l’Unità e del Cinquantesimo della morte di Lenin.
Fu una grande Festa, a partire dall’inaugurazione: in piazza Maggiore il Balletto del Teatro dell’Accademia musicale di Mosca presentò “Il lago dei cigni”. Fu imponente anche la manifestazione di chiusura per il comizio di Enrico Berlinguer. Il corteo partì alla mattina per il Parco Nord, ma non furono pochi quelli che non arrivarono in fondo. In molti ricordano ancora che diverse famiglie della Bolognina fecero scendere dalle loro finestre dei tubi di gomma attaccati ai rubinetti, perché quella domenica a Bologna faceva un gran caldo. E in via Ferrarese, quando ormai si capiva che il corteo non sarebbe più andato avanti e tutte quelle persone, arrivate da ogni parte d’Italia, non sarebbero arrivate al Parco Nord, non furono poche le case in cui si preparò uno “spuntino” per quelli del corteo. Si portarono fuori tavole e sedie e anche lì in fondo era la Festa de l’Unità.
La storia delle Feste de l’Unità naturalmente non è finita con quell’appuntamento. Bologna nel frattempo cambiava velocemente e con lei cambiava la Festa de l’Unità. Il 2 agosto del 1980 una bomba squarciava la stazione e uccideva ottantadue persone: come per rispondere a quel lutto, Bologna ospitò ancora una volta il Nazionale. All’ingresso della Festa un enorme quadrante segnava le 10.25. “Festa Nazionale a Bologna – si legge su l’Unità – nella stessa città nella quale si continua a morire per la strage del 2 agosto. Bologna ha ripreso a vivere! In nessuno dei sedici giorni sarà possibile, visitando la Festa, guardando le fotografie, i manifesti, i disegni della stazione, delle vittime, della piazza «evadere» dal momento e dal luogo in cui stiamo vivendo”.
Il resto esce dalla storia per entrare nella cronaca dei giorni nostri fino alle Feste de l’Unità dell’“opposizione”, dopo la sconfitta elettorale amministrativa del ’99 e la Festa de l’Unità senza l’Unità. In questi sessant’anni sono cambiate molte cose, è cambiata la società, le abitudini, le forme e i modi del divertimento. È cambiato il partito, che si è trasformato attraverso un processo lungo e travagliato, che ha coinvolto profondamente i tanti militanti e i volontari delle Feste de l’Unità. È cambiato radicalmente il quadro politico e con esso è mutata la natura delle feste di partito che progressivamente sono sparite (non ci sono più né le Feste de l’Avanti né le Feste dell’amicizia) o si sono trasformate radicalmente in convegni, in congressi annuali, sul modello di quello che avviene in Gran Bretagna.
In qualche modo sopravvive il modello Festa de l’Unità, ritornano i piccoli appuntamenti; le Feste diventano sempre più occasioni di aggregazione e di socializzazione (questo spiega perché vi partecipano attivamente tanti non iscritti), torna ad essere evidente nella Festa de l’Unità quel carattere, che si era in parte perduto, di festa semplice, popolare, paesana, nel senso migliore che ha questo termine. Le Feste de l’Unità continuano a rappresentare una grande occasione per stare insieme, soprattutto per chi le fa. Costruire qualcosa insieme è una sensazione bella, importante, che si trasmette anche ai visitatori. Le Feste sono un bel modo di fare politica. Non si capisce cos’è una Festa de l’Unità se non si coglie la passione dei volontari che la fanno vivere giorno per giorno. Con queste parole Enrico Berlinguer ringraziò le compagne e i compagni che organizzarono la Festa nazionale di Reggio Emilia del 1983, l’ultima Festa a cui partecipò, quella dello storico “abbraccio” di Roberto Benigni.
Un nuovo motivo del successo delle nostre feste, e di questa nazionale, è che esse sono frutto di quell’immensa mano operosa che è costituita dal lavoro indefesso, certosino, entusiasta di migliaia e migliaia di compagni e di compagne che, senza alcun tornaconto personale, ma mossi solo da spirito di dedizione e da una grande carica ideale, si sono prodigati con intelligenza e passione in tutte le incombenze e in tutti i mestieri dei quali c’è bisogno di mettere in piedi e far funzionare questa realizzazione davvero formidabile. E’ forse questo il patrimonio inestimabile di cui più siamo ricchi. […] E la cosa più significativa, e vorrei dire meritoria, è che questo nostro patrimonio noi non lo spendiamo solo per le cose del nostro partito, ma lo mettiamo a disposizione del paese in ogni circostanza, specialmente in quelle più drammatiche e dolorose.
fine
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