lunedì 30 novembre 2009

"Ascoltate" di Vladimir Majakovskij

Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?

E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d'essere in ritardo,
piange,
gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella,
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
"Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Si?!".
Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?

"Una notte" di Umberto Saba


Verrebbe il sonno come l'altre notti,
s'insinua già tra i miei pensieri.
Allora,
come una lavandaia, un panno, torce
la nuova angoscia del mio cuore. Vorrei
gridare, ma non posso. La tortura,
che si soffre una volta, soffro muto.

Ahi, quello che ho perduto so io solo.

sabato 28 novembre 2009

Considerazioni libere (34): a proposito del valore della terra...

Questa è una storia che potrebbe sembrare antica, chi ha letto "Fontamara" o ha visto di recente al cinema "Baarìa" troverà delle illuminanti analogie con le vicende delle nostre campagne prima e dopo la seconda guerra mondiale; invece questa è una storia del nostro tempo, succede adesso in America del sud, alla faccia di tutti quei teorici che continuano a dire che il Novecento è finito e con esso le lotte per una diversa distribuzione delle ricchezze. E' una storia che si commenta da sola.
Il Paraguay, che ha conosciuto per trentacinque anni, dal '54 all'89 la dittatura del presidente Stroessner, è il paese sudamericano dove è più iniqua la distribuzione della terra: l'83% dei campesinos occupa solo il 6% delle terre, mentre 351 latifondisti sono proprietari del 40% di tutti i terreni del paese. Particolarmente drammatica è la situazione dei campesinos che vivono la parte sudorientale del paese, lungo il corso del Paranà: qui circa l'85% del territorio era ricoperto dalla foresta atlantica, ricca di specie vegetali e animali. I contadini hanno vissuto in queste terre per secoli, coltivando la terra e allevando animali nel rispetto della vegetazione, rispettando i ritmi della natura. Oggi questa foresta è quasi del tutto distrutta: ne rimane tra il 5 e l'8%. Al posto delle foreste ci sono le monocolture di soia che i latifondisti brasiliani hanno impiantato, dopo aver acquistato pezzo dopo pezzo le terre dall'Istituto nazionale di sviluppo rurale e della terra, creato da Stroesser con l'obiettivo dichiarato di avviare la riforma agraria, ma diventato con il tempo lo strumento per svendere la terra ai latifondisti.
La soia geneticamente modificata è il grande affare di questi anni, perché usata per i mangimi e per i biocarburanti: oggi il Paraguay è il quarto esportatore al mondo di semi di soia; nel 2003 gli ettari coltivati a soia erano circa 2 milioni, mentre oggi sono quasi 12. La soia ha letteralmente cambiato il volto di questa regione. Si calcola che almeno centomila piccoli coltivatori siano stati sfrattati dalle loro terre, affollando le baraccopoli alla periferia delle città. Chi è voluto restare ha dovuto fare i conti con le squadre assoldate dai latifondisti brasiliani: sono più di cento i capi dei campesinos uccisi, con la connivenza delle stesse autorità paraguaiensi. Sono stati intentati processi a oltre duemila contadini che reclamavano di poter rimanere nelle terre dove erano sempre vissuti.
La coltivazione intensiva della soia non solo ha distrutto un patrimonio naturale unico, ma sta letteralmente devastando la terra. Per produrre la soia vengono utilizzati ogni anno in Paraguay più di 24 milioni di litri di sostanze inquinanti, tra cui alcuni prodotti che l'Organizzazione mondiale della sanità classifica come altamente dannosi: il Paraquat, l'acido 2,4-diclorofenossiacetico, il Gramoxone, il Metamidofos, l'Endosulfan. Le leggi che regolano l'uso di queste sostanze e impongono delle distanze di sicurezza dalle case, non vengono mai rispettate, così una recente indagine condotta dal Ministero della sanità ha riscontrato che in alcune comunità il 78% delle famiglie ha avuto problemi di salute a causa dei pesticidi. Molte realtà sono isolate, non esiste una reale assistenza medica per molti campesinos e quindi questi dati sono certamente sottostimati. In molte realtà sono ormai irrimediabilmente inquinate le acque con danni enormi sia per gli uomini che per gli animali.
Esistono alcune "oasi" dove i campesinos continuano a resistere alla forza della speculazione. Nella regione dell'Alto Paranà esiste la comunità chiamata El Triunfo. Qui i campesinos hanno occupato le terre, resistendo sia alle minacce delle squadre assoldate dai latifondisti sia alla polizia; la terra è di tutti e viene gestita da un colletivo democratico, sono vietati i pesticidi e viene assicurata la varietà delle coltivazioni. I campesinos sono anche riusciti a costruire un centro medico, una scuola e un campo da calcio. Una speranza è sempre possibile.

p.s. devo queste considerazioni alla giornalista April Howard, autrice di un articolo su Montly Review, tradotto e pubblicato nel nr. 823 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

"Il violinista pazzo" di Fernando Pessoa

Non fluì dalla strada del nord
né dalla via del sud
la sua musica selvaggia per la prima volta
nel villaggio quel giorno.

Egli apparve all'improvviso nel sentiero,
tutti uscirono ad ascoltarlo,
all'improvviso se ne andò, e invano
sperarono di rivederlo.

La sua strana musica infuse
in ogni cuore un desiderio di libertà.
Non era una melodia,
e neppure una non melodia.

In un luogo molto lontano,
in un luogo assai remoto,
costretti a vivere, essi
sentirono una risposta a questo suono.

Risposta a quel desiderio
che ognuno ha nel proprio seno,
il senso perduto che appartiene
alla ricerca dimenticata.

La sposa felice capì
d'essere malmaritata,
L'appassionato e contento amante
si stancò di amare ancora,

la fanciulla e il ragazzo furono felici
d'aver solo sognato,
i cuori solitari che erano tristi
si sentirono meno soli in qualche luogo.

In ogni anima sbocciava il fiore
che al tatto lascia polvere senza terra,
la prima ora dell'anima gemella,
quella parte che ci completa,

l'ombra che viene a benedire
dalle inespresse profondità lambite
la luminosa inquietudine
migliore del riposo.

Così come venne andò via.
Lo sentirono come un mezzo-essere.
Poi, dolcemente, si confuse
con il silenzio e il ricordo.

Il sonno lasciò di nuovo il loro riso,
morì la loro estatica speranza,
e poco dopo dimenticarono
che era passato.

Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poiché la vita non è voluta,
ritorna nell'ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,

improvvisamente ciascuno ricorda –
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere –
la melodia del violinista pazzo.

venerdì 27 novembre 2009

Considerazioni libere (33): a proposito di rischi ambientali...

Ecco una notizia che riguarda l'Italia e che non si trova sui giornali italiani: nel maggio del 2008 l'Eni ha annunciato un progetto per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose del Congo. Si tratta di un tipo di lavorazione iniziata alcuni anni fa in Canada, che per la prima volta viene sperimentata fuori dai confini di quel paese. Si tratta di un grande affare per l'azienda italiana: l'Eni ha ricevuto le autorizzazioni per esplorare due zone del paese africano, un'area di 1.790 chilometri quadrati, da cui prevede di poter estrarre diversi miliardi di barili di petrolio.
Questo tipo di sfruttamento del suolo ha però altissimi costi ambientali. Alcuni studi calcolano che per estrarre un barile di bitume viene generata una quantità di anidride carbonica tre volte superiore a quella prodotta quando si estrae un barile di petrolio usando i metodi tradizionali; per separare il petrolio dalla sabbia serve una grandissima quantità d'acqua, che diviene altamente tossica e viene raccolta in bacini di decantazione così grandi da poter essere visti dallo spazio; per far posto agli impianti occorre poi abbattere una gran quantità di foresta. Secondo un documento che sarebbe circolato tra i dirigenti della stessa Eni "la foresta tropicale e altri sensibilissimi settori della biosfera (per esempio, le aree paludose) coprono dal 50 al 70% circa dell'area dove dovrebbero avvenire le esplorazioni". Si sa che queste grandi foreste sono fondamentali per assorbire l'anidride carbonica presente nell'atmosfera.
A pochi giorni dall'inizio della conferenza di Copenhagen sarebbe utile riflettere anche su questi fatti. In Danimarca andrà un rappresentante del nostro governo, ma francamente chi sta decidendo le linee della nostra politica energetica? Il governo o l'Eni? E un ragionamento analogo vale per tutti gli altri paesi industrializzati. Non ho una convinzione netta in merito, forse questo sistema di estrarre il petrolio potrebbe essere più economico di quello tradizionale e meno esposto ai rischi di conflitto dell'area medio-orientale, ma credo sarebbe utile parlarne. Di questo progetto di è occupata la fondazione Heinrich Böll, collegata ai Verdi tedeschi; la notizia è stata rilanciata dal Wall street journal. Forse qualche ambientalista italiano avrebbe potuto occuparsene...

p.s. devo queste considerazioni al giornalista americano Gay Chazan, autore di un articolo su The Wall street journal, tradotto e pubblicato nel nr. 823 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

mercoledì 25 novembre 2009

Considerazioni libere (32): a proposito di politica e di internet...

Alla fine di agosto dell'anno scorso mi sono iscritto alla mailing list dell'allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti Barack Obama. Per tutta la durata della campagna elettorale ho ricevuto una mail al giorno, in cui mi si chiedeva di votare e di far votare; sono stato costantemente aggiornato sui movimenti del candidato, di sua moglie, di Joe Biden e sulle proposte del programma elettorale e naturalmente ogni mail si chiudeva con la richiesta di un contributo economico per finanziare la campagna. Ammetto che non sempre capivo quello che c'era scritto, ma comunque cercavo di tenere in esercizio il mio pessimo inglese.
Dopo che abbiamo vinto le elezioni - effettivamente a quel punto mi sentivo pienamente coinvolto nella campagna di Obama e quindi posso dire di averle vinto anch'io, almeno quelle - le mail sono regolarmente continuate. Mi hanno proposto di acquistare i gadget della vittoria - alcuni erano davvero di pessimo gusto - e anche il biglietto per assistere alla cerimonia del giuramento. Non ho acquistato i gadget e la cerimonia l'ho vista, come tutti voi, in televisione. Praticamente con la stessa regolarità - sono rari i giorni in cui non ricevo una mail - vengo informato di quello che fa il Presidente, ricevo i video dei suoi interventi più significativi, mi vengono spiegate le proposte di legge. Mi è stato chiesto di telefonare o scrivere ai deputati più ostili alla riforma sanitaria e di continuare a tenermi in contatto con i volontari della campagna. Continuano a chiedermi, alla fine di ogni mail, un contributo economico, non ho capito se per pagare i conti della campagna passata o in vista della prossima.
Non voglio entrare qui nel merito dei risultati del primo anno della presidenza di Obama, su quegli obiettivi che ritengo raggiunti e sulle inevitabili delusioni, che seguono in genere a grandi illusioni. Nel corso degli anni mi sono iscritto a diverse mailing list di candidati e in genere le comunicazioni si sono interrotte dopo i primi generici appelli al voto. Anche dove si è fatto meglio, penso alla comunicazione attraverso internet del candidato sindaco Sergio Cofferati - parlo in questo caso con qualche cognizione di causa, pur essendomi occupato di aspetti più legati all'hardware di quella bella campagna elettorale - la comunicazione si è bruscamente interrotta il giorno dopo le elezioni. E questo è stato, a mio avviso, una delle cause delle difficoltà che sono seguite - ma questa è, ancora una volta, un'altra storia. In genere in Italia i siti dei candidati rimangono penosamente fermi al giorno precedente le elezioni. Anche la comunicazione istituzionale - penso ad esempio alla newsletter settimanale della presidenza del consiglio - è spesso noiosa e comunque mai richiede un'azione attiva da parte del cittadino elettore.
Si è molto discusso sulla novità della campagna elettorale di Obama, sulla sua capacità di usare la rete. Poche settimane dopo le elezioni americane, ho letto un articolo di "Time" - e meglio me lo sono fatto leggere da Zaira - in cui si spiegava che la campagna elettorale di Obama non era stata fatta principalmente attraverso internet, come si favoleggiava qui in Italia, ma si era basata proprio sugli strumenti più tradizionali, i volantinaggi casa per casa, gli incontri, la rete dei volontari. Forse qualche nostro politico, anche della mia parte, dovrebbe capire che certo è importante il contenitore, ma è sempre più importante il contenuto.

martedì 24 novembre 2009

"Ce l'hai un'idea?" di Stefano Benni

Ma tu ce l'hai un'idea?
un'idea, dai...
quelle che c'erano una volta,
che uno si svegliava una mattina
e si accendeva la lampadina.
non ce l'hai un'idea?
Ma sì che ce l'hai,
dammela, dai,
la vendiamo alla Rai!
la facciamo fruttare!
un'idea anche elementare...
dai, un'idea originale,
non di quelle che trovi sul giornale!
o te le dà il partito...
non perché la ascolti
da uno in televisione,
non perché la senti in una canzone.
un'idea tua,
pensata da te, artigianale
come non si fa più.
sei uno che pensa anche al cesso,
tirala fuori adesso!
è il momento, ci son tante occasioni;
ho un amico che scrive canzoni:
facciamo un quarantacinque un trentatré qualcosa
dai un'idea, anche schifosa...
ci facciamo un film!
lo so che ce l'hai un'idea.
anche due: se ne hai due insieme
ci facciamo un pastone,
venti puntate in televisione.
Dai che lo so che ce l'hai,
dai che la vendiamo, dai!
è il momento: non le ha nessuno,
fan tutti finta, son disperati,
tiran fuori bauli usati
con le idee degli anni venti
e dicon che son nuove e intelligenti.
e dai che ce l'hai...
io ne avevo una mia sai,
c'ho fatto sei libri,
è un po' logora ormai.
basta un'idea, una sola!
anche fatta di una sola parola...
ci facciamo una pubblicità:
"frizzevolissimevolmente"! eh? ti va?
Dai, se mi dai un'idea
poi diventi intellettuale
e dopo, anche senza idee,
basta che scrivi su un giornale
che non sei d'accordo
con le idee di qualcuno,
lui scrive che non è d'accordo con le tue,
e così sembra che abbiate delle idee tutti e due.
Dai, che ce l'hai un'idea...
e non quelle solite idee
che è tutto sbagliato, tutto da cambiare,
un'idea normale,
che si possa dire anche al telegiornale,
un'ideuzza, un'ideuncia, un'ideina,
un'idea piccina, anche cretina.
se domani me la vieni portare,
ti faccio trovare il contratto da firmare.
non ce l'hai un'idea anche usata?
preconfezionata? surgelata?
facciamo un revival, facciamo un remake.
ti faccio un'offerta, ti va?
Tu mi dai una mezza idea
e le facciam pubblicità
stampa, tivù e manifesti,
in tutta la città,
vedrai che nessuno si accorge
che ne manca metà.

Considerazioni libere (31): a proposito della libertà di internet...

Vi racconto una piccola storia. Immaginate un tipo normale, che chiameremo Winston Smith: un tipo davvero nella media, proprio come me e voi - spero che non vi offenderete, cari lettori, se vi considero nella media. Comunque il nostro Winston ama la lettura e ha appena acquistato il lettore elettronico Kindle, il nuovo apparecchio che contiene libri, sca­ricabili via internet e leggibili tra­mite uno schermo delle dimensioni di un comune tascabile. Per arricchire la propria biblioteca elettronica Winston ha deciso di acquistare due opere, tra le più celebri, di George Orwell: "La fattoria degli animali" e "1984". Qualche giorno dopo però, dalla sede centrale di Amazon, la libreria on line più grande del mondo, si sono accorti di un errore: quei due libri non potevano essere venduti, perché Amazon non possiede i regolari diritti per la loro pubblicazione e la loro commercializzazione. A questo punto un funzionario zelante è "entrato" nel Kindle di Winston, ha cancellato i due libri e ha restituito i soldi sulla carta di credito dell'ignaro acquirente. Quando Winston ha riacceso il suo Kindle, proprio con il desiderio di rileggere Orwell, ma non ha ritrovato i suoi libri.
Questa storia, per quanto possa sembrare paradossale, è successa alcuni mesi fa a parecchi lettori statunitensi. Potete leggerla in diversi siti, anche italiani. Si è trattato certamente dell'errore di un funzionario della grande libreria, che ha fatto confusione nella selva di leggi che regolano il diritto d'autore nei diversi paesi in cui opera Amazon; a questo primo errore è seguita la mancanza di un altro funzionario, che si è dimenticato di avvisare preventivamente i clienti dell'operazione di "ripulitura". Tutti erano sicuramente in buona fede, ma eppure penso sia abbastanza preoccupante il fatto che qualcuno possa, con un semplice clic del proprio mouse, distruggere migliaia di libri.

Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.
George Orwell, 1984

domenica 22 novembre 2009

da "Edipo re" (vv. 1186-1222) di Sofocle

Ahi progenie di mortali, come simile al nulla è vostra vita!
Di felicità non più che un'apparenza ha ciascuno,
e anche questa, appena avuta, subito declina e cade.
Solo che a te come ad esempio io guardi
e alla tua vita, Edipo miserando,
cosa nessuna io reputo dei mortali felice.

Mirabilmente colpisti col tuo arco nel segno
e fosti in tutto signore della Fortuna:
facesti morire la vergine dagli adunchi artigli, la cantatrice di enigmi,
e nella mia terra sorgesti baluardo contro la morìa;
e da quel giorno anche di re ti demmo il nome
e di sommi onori ti onorammo e regnasti nella grande Tebe.

Ma chi oggi si può sentir dire che sia più sventurato di te?
Chi più di te fra sciagure atroci e angosce ebbe travolta la vita?
Ahimé, insigne capo di Edipo! Te accolse, figlio e marito,
il medesimo porto nuziale che accolse il padre tuo.
Come fu, come fu, che gli stessi solchi seminati dal padre poterono,
te disgraziato, anche la seminagione tua ricevere, e per tanti anni,
senza che nessuno sapesse e dicesse?

Te scoprì, tuo malgrado, il tempo che tutto vede; e te, in sua giustizia,
delle nozze non-nozze punisce, te che fosti, e da anni, generato e generatore.
Ahimé, ahimé figlio di Laio, non mai ti avessi veduto!
Gemiti e grida prorompono dalle mie labbra.
Eppure, a dire il vero e il giusto, anche un respiro di pace avemmo un giorno da te
e potemmo abbandonare gli occhi al riposo del sonno.

sabato 21 novembre 2009

"Ti amo come se..." di Nazim Hikmet

per Zaira...

Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so cosa contenga e da chi
pieno di gioia pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
Ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il crepuscolo scende su Istanbul a poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.

venerdì 20 novembre 2009

Considerazioni libere (30): a proposito di prostitute...

In questo blog ho deciso - più o meno consapevolmente - di non intervenire e non fare commenti su fatti accaduti a Bologna, un po' perché mi è capitato, per lavoro, di farlo per molti anni e quindi mi è passata la voglia, ma soprattutto perché non voglio cadere nella tentazione, molto petroniana, di leggere la realtà alla luce di quello che succede o non succede nella nostra città. Questa volta però voglio fare un'eccezione, perché mi pare che questa storia possa interessare anche fuori di porta Saragozza.
All'alba di domenica scorsa una giovane prostituta romena è stata uccisa nella periferia della città. E' stata colpita più volte con un coltello e abbandonata lungo la strada; nonostante sia riuscita a dare l'allarme, chiamando per telefono un suo conoscente, è morta mentre veniva condotta all'ospedale. Le forze dell'ordine hanno agito con grande tempestività e già il giorno successivo è stato arrestato l'omicida, un giovane italiano che non era riuscito a "completare" quello per cui aveva pagato 40 euro. Di fronte alla richiesta della donna di essere riportata dove era stata caricata, al rifiuto di rendergli i 40 euro e forse anche al fatto di essere stato deriso da lei, lui l'ha colpita più volte con un coltello, causandone la morte. Del fatto di cronaca si sono occupati per due giorni gli organi di informazione, poi silenzio. Solo oggi una professoressa universitaria attenta alle questioni di genere - una femminista storica, ma non sono sicuro che lei vorrebbe essere definita così - ha ripreso l'argomento in un commento sulle pagine bolognesi del "Corriere della sera", denunciando che in una città solitamente e giustamente pronta a mobilitarsi per ogni aggressione contro le donne questo fatto grave sia stato affrontato con imbarazzo e reticenza: nessuna mobilitazione, nessun corteo. Eppure una nostra concittadina è stata uccisa. Ma dopo tutto la vittima era una prostituta - per di più romena, l'etnia che dà maggior "fastidio" qui a Bologna. Non so se a questo articolo seguirà una riflessione collettiva, ma ho qualche dubbio.
Abbiamo passato molte settimane a parlare di prostitute, fossero le escort destinate ad allietare le notti di palazzo Grazioli o le transessuali di cui pare si "serva" tutta la Roma che conta (e mentre scrivo leggo la preoccupante notizia che Brenda, una delle persone coinvolte nel caso Marrazzo, è stata trovata cadavere in casa sua, probabilmente uccisa), eppure nessuno parla dell'esercito di giovani e giovanissime che vediamo di notte e spesso anche di giorno sulle nostre strade. Non ci indignamo più, dopotutto è il mestiere più antico del mondo. Eppure dovremmo considerare una sconfitta civile ogni ragazza o ogni ragazzo che vediamo battere lungo le strade, vittime di un sistema dove coloro che tirano le fila sono certamente dei deliquenti, ma gli "utilizzatori finali", quelli che pagano, siamo noi.
Quando i cittadini protestano contro la prostituzione lo fanno perché il fenomeno porta degrado nelle loro belle strade residenziali, davanti ai loro eleganti condomini. Gli enti locali, anche qui nella civilissima Bologna, tendono a ridurre le risorse destinate ad aiutare le donne vittime di questa violenza, magari limitandosi a emettere ordinanze contro chi intralcia il traffico per accostare e trattare. Iniziativa comunque meritoria, perché colpisce gli italianissimi clienti in ciò che hanno di più caro, il portafoglio, ma comunque destinata soltanto a spostare un po' più in là il problema, magari entro i confini di un altro Comune. I volontari che si occupano di prostitute sono lasciati regolarmente soli. Non esistono, a livello dei governi europei, vere azioni repressive contro il fenomeno delle tratte, che si calcola abbia portato in Europa tra i 2,5 e i 4 milioni di persone, donne e bambini, destinate al mercato del sesso.
Intanto le pubblicità continuano a mostrarci un'idea distorta del sesso, modelli e stereotipi per cui si può prendere qualunque cosa si desideri, come avviene in un qualunque centro commerciale. L'uomo è di successo quando ha molte donne e quindi il nostro povero cretino bolognese, che ha fatto "cilecca" - succede anche ai migliori - si è sentito un fallito e ha compensato con un coltello, che raramente manca l'erezione.

giovedì 19 novembre 2009

"Il sogno" di Jorge Luis Borges

Se il sonno fosse (c'è chi dice) una
tregua, un puro riposo della mente,
perché, se ti si desta bruscamente,
senti che t'han rubato una fortuna?
Perché è triste levarsi presto? L'ora
ci deruba d'un dono inconcepibile,
intimo al punto da esser traducibile
solo in sopore, che la veglia dora
di sogni, forse pallidi riflessi
interrotti dei tesori dell'ombra,
d'un mondo intemporale, senza nome,
che il giorno deforma nei suoi specchi.
Chi sarai questa notte nell'oscuro
sonno, dall'altra parte del tuo muro?

mercoledì 18 novembre 2009

da "Antigone" (vv. 332-375) di Sofocle

L'esistere del mondo è uno stupore
infinito, ma nulla è più dell'uomo
stupendo. Anche di là dal grigio mare,
tra i venti tempestosi, quando s'apre
a lui sul capo l'onda alta di strepiti,
l'uomo passa; e la Terra, santa madre,
con l'aratro affatica d'anno in anno
e con la stirpe equina la rovescia.
La tenue prole degli uccelli o quella
selvaggia delle fiere o la progenie
abitatrice dei marini abissi
con intrico di reti a sé trascina
insidioso l'uomo; e doma scaltro
i liberi animali: piega al giogo
il crinito cavallo e placa l'impeto
del toro irresistibile sui monti.
La parola, il pensiero come il vento
veloce, l'indole civile apprese
da solo e a ripararsi dalla pioggia
e dai freddi sereni della notte;
fatto esperto di tutto, audace corre
al rischio del futuro: ma riparo
non avrà dalla morte, pur vincendo
l'assalto d'ogni morbo inaspettato.
Fornito oltre misura di sapere,
d'ingegno e d'arte, ora si volge al male
ora al bene; e se accorda la giustizia
divina con le leggi della terra,
farà grande la patria. Ma se il male
abita in lui superbo, senza patria
e misero vivrà: ignoto allora
sia costui alla mia casa e al mio pensiero.

"Ho pena delle stelle" di Fernando Pessoa

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso...

Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?

martedì 17 novembre 2009

"I've got you under my skin" di Cole Porter

I've got you under my skin
I've got you deep in the heart of me
So deep in my heart, that you're really a part of me
I've got you under my skin

I've tried so not to give in
I've said to myself this affair never gonna swing so well
So why should I try to resist, when baby will I know damn well
That I've got you under my skin

I'd sacrifice anything come what might
For the sake of having you near
In spite of a warning voice that comes in the night
And repeats, repeats in my ear

Don't you know little fool, you'll never win
Why not use your mentality, come on step up to reality
But each time I do, just the thought of you
Makes me stop before I begin
'Cause I've got you under my skin

potete ascoltare la canzone, cliccando sul titolo del post

Considerazioni libere (29): a proposito di guerra al terrorismo...

La lotta contro il terrorismo islamico ha richiesto (e richiede ancora) una grande massa di informazioni, considerate indispensabili non solo per scoprire e perseguire i responsabili degli attentati già avvenuti, ma soprattutto per prevenire altri futuri, probabili attacchi. Questa tenace volontà politica ha fatto sì che si sviluppasse un fiorente mercato di queste informazioni: da un lato c'è chi le vuole comprare e ha moltissime risorse per farlo (segnatamente i servizi di sicurezza degli Stati Uniti) e naturalmente dall'altro lato ci sono coloro che sono disposti a offrire questa "merce" preziosa, senza farsi troppi scupoli sul modo di ottenerla. E' la vecchia legge della domanda e dell'offerta. Troppo spesso questa "merce" sono donne e uomini sospettate di far parte della rete terroristica e quindi interrogate, anche con la tortura, per ottenere informazioni sulle trame e i progetti dei terroristi.
Il Pakistan si è distinto in questo mercato. Joanne Mariner, direttrice di Human rights watch, precisa che in questo paese già prima del 2001 erano stati segnalati casi di sparizioni forzate, ma questo fenomeno è drammaticamente aumentato tra il 2002 e il 2004, ossia nel periodo in cui si sono intensificate le operazioni antiterrorismo degli Stati Uniti. Negli stessi anni gli "aiuti" degli Usa al Pakistan hanno raggiunto i 4,7 miliardi di dollari, contro i 9,1 milioni dei tre anni precedenti l'invasione dell'Afghanistan. Nella sua autobiografia, lo stesso ex-presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, ha ammesso che il suo paese ha consegnato agli Stati Uniti 369 persone sospettate di avere legami, a vario titolo, con Al Qaeda, ricevendo in cambio milioni di dollari; è da credere che l'ex dittatore pachistano, impegnato a ricostruirsi una legittimità politica a posteriori, tenda a sottostimare questo dato.
Queste persone sono state "prelevate" da agenti dei servizi segreti pachistani, spesso in borghese e con auto senza targa, e quando i parenti hanno cercato informazioni e ne hanno denunciato la scomparsa, la polizia locale non ha accettato le loro denunce e nessuna autorità ha ammesso di averli in custodia. A questo punto gli arrestati sono stati "passati" direttamente ai servizi segreti statunitensi e sono riapparsi a Guantanamo o nella base americana di Bagram in Afghanistan. Spesso i servizi segreti del Pakistan hanno lavorato in proprio, come è avvenuto nella regione separatista del Belucistan, dove, secondo le stime dell'ong Human rights commission of Pakistan, almeno 600 persone risultano scomparse.
Una di queste persone è Aafia Siddaqui, una donna nata a Karachi da una famiglia della ricca borghesia della città, che si è laureata in medicina al Mit di Boston e ha vissuto undici anni negli Stati Uniti, lavorando in diversi ospedali. Aafia è sparita nel 2003 a Karachi ed è riapparsa, per essere arrestata, il 17 luglio 2008 a Ghazni in Afghanistan, mentre era in possesso, secondo le autorità afgane, di istruzioni per fabbricare armi con materiale biologico, di varie sostanze chimiche e di descrizioni di dispositivi militari americani. L'arresto in Afghanistan desta in particolare i sospetti degli osservatori internazionali: coloro che si sono dichiarati testimoni oculari dell'arresto hanno raccontato versioni molto divergenti dell'accaduto, gli agenti afgani che hanno eseguito l'arresto hanno portato quello che la donna aveva con sé, quindi le prove della sua presunta affiliazione al terrorismo, alla base americana della città, in barba a ogni procedura giuridica. Il giorno successivo Aafia nel carcere di Ghazni avrebbe minacciato, con un arma dimenticata sul pavimento, alcuni soldati americani e da questi è stata gravemente ferita. Anche su questo episodio, per cui Aafia è tutt'ora sotto processo in un tribunale di New York, le versioni sono divergenti. Aafia ha trascorso quasi cinque anni della sua vita in una prigione "fantasma" degli Stati Uniti, probabilmente la base di Bagram, ma non ci sono prove di tutto questo. I servizi statunitensi hanno sostenuto che Aafia, oltre a essere coinvolta nelle attività di Al Qaeda, nel 2001 fosse in Liberia per conto di una banda di trafficanti di armi, ma nel periodo indicato lavorava in un ospedale statunitense.
Contro Aafia sono state costruite - in maniera maldestra, a dire la verità - una serie di false prove, per presentarla come un pericolo per il popolo americano. Soprattutto Aafia si è vista negare per cinque anni la libertà, senza avere la possibilità di essere difesa secondo le normali procedure di legge. Aafia e tutte le altre persone "vendute" dal Pakistan agli Stati Uniti erano terroristi? Non lo so, forse qualcuno di loro lo era, forse qualcuno aveva un qualche collegamento con Al Qaeda, ma questo solo fatto giustifica una tale sospensione dei diritti civili?

p.s. devo queste considerazioni alla giornalista americana Petra Bartosiewicz, autrice di un articolo sulla rivista Harper's Magazine, tradotto e pubblicato nel nr. 820 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

domenica 15 novembre 2009

"La felicità" di Jorge Luis Borges


Chi abbraccia una donna è Adamo. La donna è Eva.
Tutto accade per la prima volta.
Ho visto una cosa bianca in cielo. Mi dicono che è la luna, ma
che posso fare con una parola e con una mitologia?
Gli alberi mi fanno un poco paura. Sono così belli.
I tranquilli animali si avvicinano perché io gli dica il loro nome.
I libri della biblioteca sono senza lettere. Se li apro appaiono.
Sfogliando l'Atlante progetto la forma di Sumatra.
Chi accende un fiammifero al buio sta inventando il fuoco.
Nello specchio c'è un altro che spia.
Chi guarda il mare vede l'Inghilterra.
Chi pronuncia un verso di Liliencron partecipa alla battaglia.
Ho sognato Cartagine e le legioni che desolarono Cartagine.
Ho sognato la spada e la bilancia.
Sia lodato l'amore in cui non ci sono né possessore né posseduta,
ma entrambi si donano.
Sia lodato l'incubo che ci rivela che possiamo creare l'Inferno.
Chi si bagna in un fiume si bagna nel Gange.
Chi guarda una clessidra vede la dissoluzione di un impero.
Chi maneggia un pugnale prevede la morte di Cesare.
Chi dorme è tutti gli uomini.
Ho visto nel deserto la giovane Sfinge appena scolpita.
Non c'è nulla di antico sotto il sole.
Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno.
Chi legge le mie parole sta inventandole.

sabato 14 novembre 2009

Considerazioni libere (28): a proposito di Iraq...

Dall'inizio della guerra - 19 marzo 2003 - a oggi sono morti in Iraq 4.680 soldati stranieri, di cui 4.362 statunitensi (dati verificabili nel sito icasualties.org). Dalla stessa data fino al 16 settembre 2009 sono morti 94.049 iracheni, secondo i dati verificati ed elaborati dal progetto Iraq Body Count; se si considerano anche i morti per cui esiste una sola fonte, il numero delle vittime sale a 102.624.

Finora il governo iracheno ha assegnato le concessioni per lo sfruttamento di tre grandi giacimenti petroliferi del paese: Rumaila, Zubair e West Qurna 1; queste concessioni se le sono aggiudicate rispettivamente la compagnia petrolifera britannica Bp, con i cinesi di Cnpc come partner, l'italiana Eni, insieme a statunitensi e sudcoreani, infine il consorzio statunitense formato da Exxon Mobil e Shell. Queste concessioni hanno la durata di vent'anni e possono essere prorogate per altri cinque. Secondo il ministro iracheno del petrolio l’aumento della produzione dei tre giacimenti finora assegnati porterà l’Iraq a superare i 6 milioni di barili al giorno nel giro di 6-7 anni, con un investimento totale di circa 100 miliardi di dollari da parte delle compagnie internazionali. Queste notizie, che sembrano non interessare l'opinione pubblica italiana, si possono confrontare sul sito del progetto Osservatorio Iraq.

Timothy Williams, sul New York Times del 7 novembre di quest'anno, (l'articolo, che vi prego di leggere, si trova tradotto in italiano sempre sul sito Osservatorio Iraq) racconta la condizione degli iracheni che vivono nella città di Bassora, la seconda città del paese, il suo porto più importante e soprattutto al centro dell'area che garantisce l'80% delle riserve petrolifere. Bassora è una città sporchissima, dai rubinetti delle case esce acqua salata, i terreni non possono essere coltivati a causa delle esalazioni di petrolio, il tasso di bambini affetti da tumore è il più alto del paese. Quell'enorme ricchezza non sfiora neppure i quasi tre milioni di donne e uomini che vivono in quella città.

Chi ha perso la guerra?

venerdì 13 novembre 2009

"Non chiederci la parola" di Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

martedì 10 novembre 2009

Considerazioni libere (27): a proposito di vent'anni fa...

Questa "considerazione", pur prendendo spunto da due anniversari che si celebrano in questi giorni, è una riflessione strettamente personale e autobiografica; ho un qualche pudore a pubblicarla, ma confido sulla benevolenza e sull'affetto dei miei pochi lettori.
I due fatti che voglio ricordare risalgono al mese di novembre di vent'anni fa. Il 9 crollò all'improvviso il muro di Berlino; in quelle settimane si sentiva che qualcosa stava rapidamente cambiando, che stavano per cedere, uno dopo l'altro, i regimi comunisti dell'Europa orientale, eppure nessuno avrebbe immaginato che quel muro, così fisicamente e simbolicamente invalicabile, sarebbe caduto come un castello di carte, con un'apparente semplicità. Il 12 alla Bolognina, davanti a un'assemblea di partigiani, Achille Occhetto, quello che ancora per un po' sarebbe stato l'ultimo Segretario generale del Partito comunista italiano, disse che ormai era maturo un cambiamento profondo del partito, a partire dal nome e del simbolo.
In quell'89 così denso di avvenimenti, io ho dato l'esame di maturità e sono andato per la prima volta a votare; a dire la verità prima ho votato poi ho sostenuto la maturità. Si votava allora per il Parlamento europeo e io votai per la lista del Pci. Naturalmente.
Su questo "naturalmente" mi vorrei soffermare un po'. Provo a risalire indietro nella memoria e francamente non ricordo un momento che segni la mia consapevolezza politica: in sostanza non credo ci sia un momento in cui ho espressamente deciso che sarei stato di sinistra piuttosto che di destra. I miei genitori erano iscritti al Pci, partecipavano alla vita del partito - erano attivisti, come si diceva una volta - lavoravano alle Feste de l'Unità. Ho un ricordo molto netto, uno dei più nitidi della mia infanzia: avevo sei o sette anni, i miei genitori andarono a lavorare alla Festa nazionale di Modena nell'ultimo giorno della festa, quello del comizio finale (allora era una prassi questa solidarietà tra federazioni). Ricordo la pioggia che batteva fortissima sul tettuccio del camioncino Ford che aveva mio padre in quegli anni, la gran confusione e il carrello da supermercato che mia madre usava per raccogliere tra i tavoloni i piatti sporchi e a cui io dovevo stare attaccato, per non prendere le sue sgridate, preoccupata che mi perdessi. Tutti i miei zii erano iscritti al Pci; anche il prete davanti a cui i miei si sono sposati votava per il Pci. Mio nonno materno era iscritto al Partito socialista, era uno di quelli che alcuni anni dopo si sarebbero definiti vecchi socialisti, per distinguerli dal Psi di Craxi e di tutto quello che sarebbe venuto dopo, purtroppo. Il Pci è stato per me, prima di tutto l'esempio della mia famiglia e di tante persone che mi avevano insegnato a stimare e rispettare. Poi fu l'emozione della morte di Enrico Berlinguer, la cui breve agonia fu seguita con dolore in casa mia, come se stesse per morire qualcuno di famiglia.
Non so se sono riuscito a spiegare cosa significa per me la "naturale" adesione al Pci. Un'adesione che non fu acritica. Era un problema per me definirmi comunista, perché in Unione sovietica, in Cina, a Cuba, esistevano regimi totalitari che negavano quelle libertà fondamentali per cui i comunisti che conoscevo io, che stimavo, avevano combattuto e lottato. Francamente era troppo forte la contraddizione tra la storia della Resistenza e le truppe sovietiche che avevano soffocato i tentativi di riforma in Ungheria e in Cecoslovacchia. E sempre in quell'incredibile '89 era naturale per me condannare il regime comunista cinese che aveva ucciso gli studenti di piazza Tiananmen. Per questo decisi che non mi sarei mai iscritto a un partito che si chiamasse comunista. Era probabilmente un atteggiamento un po' velleitario, da studente universitario di campagna. Certo c'era una contraddizione tra il comunismo in astratto e i comunisti in carne e ossa che conoscevo, con il tempo avrei sempre più imparato ad apprezzare i valori di queste persone. Il Pci, specialmente qui in Emilia-Romagna, ha rappresentato - lo avrei capito un po' più tardi, studiando meglio - uno degli esempi più alti di riformismo; la socialdemocrazia l'ho imparata qui, non era necessario andare in Svezia.
Per me fu davvero formidabile quell'89: il primo voto, la maturità, il primo anno di università. E poi la perestrojka, fino alla caduta del muro, simbolo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. E poi ci fu, con la Bolognina, la speranza che anche in Italia si aprisse una stagione nuova, con la nascita di un grande partito di sinistra; il Pds purtroppo non fu quel partito. Non ci riuscimmo (all'anno successivo risale la mia prima elezione in Consiglio comunale, un impegno diretto e in qualche misura, seppur modesta, un'assunzione di responsabilità), ma questa è già un'altra storia.

domenica 8 novembre 2009

Considerazioni libere (26): ancora a proposito di precarietà...

Continuo la storia che ho raccontato in due precedenti "considerazioni", per la precisione la nr. 18 e la nr. 22.
Grazie a questa vicenda ho fatto una scoperta interessante, che provo a condividere con voi: così come in natura esistono animali "specializzati" nel ripulire le carcasse dopo che i predatori si sono presi i migliori pezzi di carne, così nel sistema economico italiano può esistere una società di capitali specializzata nell'acquisire aziende in via di fallimento, o ridotte allo stremo da amministratori di scarsa capacità o peggio di dubbia moralità, con il solo compito di svolgere il lavoro "sporco", principalmente quello di mandare a casa i lavoratori.
Il meccanismo è di una semplicità diabolica: provo a riassumere, facendo anche qualche nome, per rendere il più possibile chiara una situazione che chiara, purtroppo, non è. L'imprenditore novarese Fabrizio Cazzago ha costituito alcuni anni fa un'importante società nel ramo contact center, Phonemedia, con 6.500 dipendenti e una quindicina di sedi operative in tutta Italia. Questa azienda ha sempre continuato a incassare le fatture da parte dei propri clienti, inoltre ha ricevuto finanziamenti europei da parte di alcune Regioni, specialmente del sud, destinati al sostegno dell'occupazione; a Catanzaro Phonemedia è una delle realtà produttive più grandi della città. Nonostante tutto questo, da gennaio del 2009 l'azienda ha cominciato a pagare in ritardo gli stipendi, fino a sospenderli nel mese di agosto, e non ha versato tutti gli oneri contributivi dovuti. Poco prima che la situazione degenerasse - anche perché i clienti, tra cui alcuni enti pubblici e grandi aziende nazionali, richiedevano la presentazione delle attestazioni del regolare pagamento degli stipendi e dei contributi - lo stesso Cazzago si è dimesso da ogni carica sociale e ha venduto la società, impegnando queste nuove risorse per aprire altre società nel ramo dei rifiuti.
A questo punto entra in esce una nuova società, Omega, che è proprio l'azienda "sciacallo", incaricata della liquidazione, più o meno volontaria, dei lavoratori. Per conoscere chi sono gli effettivi proprietari di questa società bisogna ricostruire una complicata rete di intrecci societari, che portano a due fratelli, Antonangelo e Salvatore Liori, e a Claudio Marcello Massa, già noti alle cronache giudiziarie per reati finanziari, tra gli altri il crac della cartiera Arbatax 2000. Una delle società di questa complicata ragnatela finanziaria ha sede a Londra ed è controllata da Daniele D'Apote, accusato di legami con l'ndrangheta calabrese.
Tra l'altro, Omega non si è limitata ad acquisire Phonemedia, ma nei mesi precedenti ha già comprato da Eutelia la società Agile, in cui gli stessi amministratori di Eutelia avevano precedentemente trasferito circa 1.800 lavoratori considerati evidentemente come un esubero. Tra le clausole del contratto di vendita è espressamente previsto che Omega non debba in nessun caso rivalersi su Eutelia, ad esempio per quel che riguarda le liquidazioni maturate dai lavoratori.
A questo punto Omega, pur avendo quasi diecimila lavoratori in più, non presenta alcun piano industriale, non partecipa ad alcun tavolo di crisi convocato dal Ministero per lo sviluppo economico, se non per dare generiche rassicurazioni sul pagamento degli stipendi, peraltro regolarmente disattese. Gli stipendi non vengono pagati, le commesse vengono man mano perdute, a causa delle inadempienze della proprietà, gli enti pubblici minacciano di richiedere indietro i finanziamenti. Intanto i lavoratori provano a sopravvivere, cercano altri lavori, usufruiscono di alcuni aiuti da parte degli enti locali. I contratti a progetto e i contratti a tempo determinato scivolano verso la scadenza. La società continua a non parlare. Per una strana coincidenza - nessun sospetto, una semplice coincidenza - alcuni giorni fa hanno parlato due persone estranee all'azienda, che non si sono identificate, e hanno minacciato un sindacalista Cgil di Catanzaro, invitandolo a non seguire più la vicenda Phonemedia.
Fin qui alcuni fatti; mi piacerebbe trarre una morale da questa storia, ma temo sia eccessivamente amara. Finora gli unici che stanno pagando sono i lavoratori, predatori e sciacalli prosperano.

"L'immensità dell'attimo" di Mario Luzi

Quando tra estreme ombre profonda
in aperti paesi l'estate
rapisce il canto agli armenti
e la memoria dei pastori e ovunque tace
la segreta alacrità delle specie,
i nascituri avallano
nella dolce volontà delle madri
e preme i rami dei colli e le pianure
aride il progressivo esser dei frutti.
Sulla terra accadono senza luogo
senza perché le indelebili
verità, in quel soffio ove affondan
leggere il peso le fronde
le navi inclinano il fianco
e l'ansia de' naviganti a strane coste,
il suono d'ogni voce
perde sé nel suo grembo, al mare al vento.

mercoledì 4 novembre 2009

Considerazioni libere (25): a proposito di crocifissi...

Ero incerto se cominciare a scrivere questa "considerazione", soprattutto se cominciare a farlo sull'onda delle prime scomposte reazioni dei diversi fondamentalisti, laici e cattolici, che sono ormai maggioranza nel nostro sfortunato paese. Poi ho ritenuto giusto mettere in fila alcune idee, sperando di animare una discussione un po' più pacata su un argomento che considero comunque importante.
Doverosa premessa: come mi ha fatto notare stamattina Zaira mentre discutevamo di questo argomento (abbiamo sul tema specifico, come su alcuni altri, idee piuttosto diverse) anch'io, nonostante i miei buoni propositi, sono animato da una certa vis polemica contro la chiesa cattolica, o almeno contro chi la guida e la rappresenta. Quindi questa è la "considerazione" di un laico, schierato in maniera piuttosto netta. Intuisco, da ateo, che la chiesa è qualcosa di più - e di molto diverso - di un'organizzazione politica e ideologica, eppure è con questa, con la sua forza e la sua crescente influenza, qui nella civitas homini, che giornalmente dobbiamo fare i conti. Nella civitas Dei ognuno fa i conti con la sua coscienza.
Un'altra premessa - scusate, ma anche questa mi sembra necessaria: secondo me la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo avrebbe ben più validi motivi per biasimare l'Italia. Qui molti di questi diritti fondamentali vengono quotidianamente calpestati: penso ad esempio al nostro sistema carcerario o alla politica dei respingimenti, solo per citare alcune cose che in questi ultimi giorni sono state all'attenzione delle cronache. E naturalmente ce ne sarebbero anche per gli altri stati europei.
Dal momento però che di questo la Corte si è occupata, emettendo una sentenza di condanna per la violazione "del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni" e "alla libertà di religione degli alunni", di questo occorre parlare. Io penso che la sentenza sia giusta: in una scuola pubblica non dovrebbero esserci simboli di nessuna religione. Credo che la Francia rappresenti in questo un modello da seguire, anche se mi rendo conto che, per molte ragioni, questo sarà impossibile in un paese come il nostro, dove lo stato da ormai ottant'anni ha deciso di venire a patti - non sempre equi e non sempre limpidi - con la chiesa cattolica, con il beneplacito, in epoche diverse, dei fascisti, dei comunisti, dei socialisti, e la sola inascoltata opposizione di pochissimi liberali. Personalmente trovo molto più grave che il crocifisso sia esposto nei tribunali, a sottolineare che c'è un'autorità o una legge superiore a quella degli uomini; per alcuni sarà anche così, ma su questo non si può basare la convivenza umana.
Voglio anche precisare - come ho già avuto occasione di scrivere in questo blog - che io ho ritenuto sbagliata la decisione di eliminare il concetto di "radici cristiane" dalla premessa della carta costituzionale europea. Queste radici sono evidenti, per tutti, per chi crede e per chi non crede, e sarebbe stato giusto riconoscerle in maniera formale. La religione cattolica poi è una parte fondamentale della cultura della nostra nazione, con meriti enormi, anche se la chiesa, nella sua secolare azione politica, ha quasi sempre rappresentato un freno violento allo sviluppo dei diritti alla persona e della democrazia.
A questo punto però trovo ipocrita e francamente inaccettabile l'atteggiamento delle gerarchie cattoliche e dei tanti loro paladini del centrodestra - e del centrosinistra - quando chiedono di negare il permesso alle ragazze mussulmane di andare a scuola con il velo. Mi spiace, cari signori, se volete continuare a tenere il crocifisso nelle scuole dovrete accettare anche il velo delle ragazze delle mussulmane; non avete alcun titolo morale o culturale per continuare a considerare superiore la vostra religione. Allo stesso modo dovrete accettare che le famiglie di religione mussulmana o ebraica o protestante possano avere il diritto di trovare all'interno dell'orario scolastico l'insegnamento della loro religione e di concedere a queste chiese gli stessi privilegi concessi alla chiesa cattolica, come l'insindacabile diritto di nomina e di revoca degli insegnanti. E al collegio docenti dovranno partecipare, allo stesso titolo, tutti gli insegnanti di religione. E dovrete permettere di far nascere scuole paritarie mussulmane, finanziate, come le scuole private cattoliche, dagli enti locali e dallo stato. La democrazia in questo paese, nei prossimi anni, si misurerà anche da questo.

martedì 3 novembre 2009

"Alla vita" di Mario Luzi

Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.
Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.
Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.

Considerazioni libere (24): a proposito della storia recente d'Italia...

In questo strano paese, continuamente immerso in un presente confuso che sembra non conoscere il passato né sperare nel futuro, pare che l'esercizio della memoria sia delegato quasi unicamente alle figlie e ai figli delle persone uccise dal terrorismo. Ciascuno di loro ha già un carico pesante da sopportare, l'aver perso un padre quando erano bambini, a volte non essere neppure riusciti a conoscerlo, eppure è solo grazie a loro, ai loro sforzi, anche psicologici, che è possibile in qualche occasione tornare a parlare di quello che è avvenuto in questo paese a partire dalla fine degli anni sessanta, a cercare di capire, di intuire brandelli di verità. Dobbiamo essere loro grati, deve essere loro grata la democrazia; immagino sia difficile per qualsiasi ricercatore provare a trovare una qualche traccia di verità tra le tante omertà italiane, ma che sia tanto più difficoltoso per chi vi aggiunga la tristezza del proprio vissuto personale e familiare.
Penso a Sabina Rossa, a Mario Calabresi, a Umberto Ambrosoli, a Benedetta Tobagi; penso in particolare proprio a lei, perché è l'autrice di un libro - "Come mi batte forte il cuore" - di cui il "Corriere della sera" di ieri ha anticipato uno stralcio. Vi invito a leggere l'articolo, che trovate anche nella versione on line del quotidiano. Tra le altre cose Benedetta trova le tracce di un "interessamento" di Licio Gelli all'omicidio di Walter Tobagi, in un momento molto particolare per il quotidiano di via Solferino, allora di fatto controllato dalla loggia P2; di questa attenzione verso l'assassinio di Tobagi da parte di Gelli si era persa traccia sia tra gli inquirenti (si è proprio perso l'incartamento) sia tra i componenti della pur meritoria Commissione parlamentare di inchiesta.
Al di là di questo episodio specifico, c'è ancora tantissimo da raccontare, da scoprire. Tra poche settimane sarà il quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana, con tutto il suo carico di misteri, a partire dalla morte di Giuseppe Pinelli per finire a quella del commissario Calabresi. La giustizia italiana non ha saputo dare una risposta alle tante domande poste dalle famiglie e dall'intero paese, a partire dal perché di quell'attentato, in cui morirono 17 persone. La politica non ha voluto indagare sulle responsabilità, capire le ragioni di fondo, soprattutto non ha voluto risolvere i problemi che fecero da esca a quella stagione di violenza. Fa impressione rileggere ancora una volta l'articolo che Pier Paolo Pasolini scrisse per il "Corriere" il 14 novembre del '74.
Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969 [...] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

lunedì 2 novembre 2009

"Comizio" di Pier Paolo Pasolini


E in questo triste sguardo d'intesa,
per la prima volta, dall'inverno
in cui la sua ventura fu appresa,
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi è vicino. Ha dolorosa accesa,

nel sorriso, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere

con vera dignità, con furia indenne
d'odio, la nuova storia: e un'ombra,
in quei poveri occhi, umiliante e solenne...

Egli chiede pietà, con quel suo modesto,
tremendo sguardo, non per il suo destino,
ma per il nostro... Ed è lui, il troppo onesto,

il troppo puro, che deva andare a capo chino?
Mendicare un po' di luce per questo
mondo rinato in un oscuro mattino?