sabato 28 novembre 2009

Considerazioni libere (34): a proposito del valore della terra...

Questa è una storia che potrebbe sembrare antica, chi ha letto "Fontamara" o ha visto di recente al cinema "Baarìa" troverà delle illuminanti analogie con le vicende delle nostre campagne prima e dopo la seconda guerra mondiale; invece questa è una storia del nostro tempo, succede adesso in America del sud, alla faccia di tutti quei teorici che continuano a dire che il Novecento è finito e con esso le lotte per una diversa distribuzione delle ricchezze. E' una storia che si commenta da sola.
Il Paraguay, che ha conosciuto per trentacinque anni, dal '54 all'89 la dittatura del presidente Stroessner, è il paese sudamericano dove è più iniqua la distribuzione della terra: l'83% dei campesinos occupa solo il 6% delle terre, mentre 351 latifondisti sono proprietari del 40% di tutti i terreni del paese. Particolarmente drammatica è la situazione dei campesinos che vivono la parte sudorientale del paese, lungo il corso del Paranà: qui circa l'85% del territorio era ricoperto dalla foresta atlantica, ricca di specie vegetali e animali. I contadini hanno vissuto in queste terre per secoli, coltivando la terra e allevando animali nel rispetto della vegetazione, rispettando i ritmi della natura. Oggi questa foresta è quasi del tutto distrutta: ne rimane tra il 5 e l'8%. Al posto delle foreste ci sono le monocolture di soia che i latifondisti brasiliani hanno impiantato, dopo aver acquistato pezzo dopo pezzo le terre dall'Istituto nazionale di sviluppo rurale e della terra, creato da Stroesser con l'obiettivo dichiarato di avviare la riforma agraria, ma diventato con il tempo lo strumento per svendere la terra ai latifondisti.
La soia geneticamente modificata è il grande affare di questi anni, perché usata per i mangimi e per i biocarburanti: oggi il Paraguay è il quarto esportatore al mondo di semi di soia; nel 2003 gli ettari coltivati a soia erano circa 2 milioni, mentre oggi sono quasi 12. La soia ha letteralmente cambiato il volto di questa regione. Si calcola che almeno centomila piccoli coltivatori siano stati sfrattati dalle loro terre, affollando le baraccopoli alla periferia delle città. Chi è voluto restare ha dovuto fare i conti con le squadre assoldate dai latifondisti brasiliani: sono più di cento i capi dei campesinos uccisi, con la connivenza delle stesse autorità paraguaiensi. Sono stati intentati processi a oltre duemila contadini che reclamavano di poter rimanere nelle terre dove erano sempre vissuti.
La coltivazione intensiva della soia non solo ha distrutto un patrimonio naturale unico, ma sta letteralmente devastando la terra. Per produrre la soia vengono utilizzati ogni anno in Paraguay più di 24 milioni di litri di sostanze inquinanti, tra cui alcuni prodotti che l'Organizzazione mondiale della sanità classifica come altamente dannosi: il Paraquat, l'acido 2,4-diclorofenossiacetico, il Gramoxone, il Metamidofos, l'Endosulfan. Le leggi che regolano l'uso di queste sostanze e impongono delle distanze di sicurezza dalle case, non vengono mai rispettate, così una recente indagine condotta dal Ministero della sanità ha riscontrato che in alcune comunità il 78% delle famiglie ha avuto problemi di salute a causa dei pesticidi. Molte realtà sono isolate, non esiste una reale assistenza medica per molti campesinos e quindi questi dati sono certamente sottostimati. In molte realtà sono ormai irrimediabilmente inquinate le acque con danni enormi sia per gli uomini che per gli animali.
Esistono alcune "oasi" dove i campesinos continuano a resistere alla forza della speculazione. Nella regione dell'Alto Paranà esiste la comunità chiamata El Triunfo. Qui i campesinos hanno occupato le terre, resistendo sia alle minacce delle squadre assoldate dai latifondisti sia alla polizia; la terra è di tutti e viene gestita da un colletivo democratico, sono vietati i pesticidi e viene assicurata la varietà delle coltivazioni. I campesinos sono anche riusciti a costruire un centro medico, una scuola e un campo da calcio. Una speranza è sempre possibile.

p.s. devo queste considerazioni alla giornalista April Howard, autrice di un articolo su Montly Review, tradotto e pubblicato nel nr. 823 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

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