lunedì 29 aprile 2013

"ciò che verrà" di Juan Gelman

colui che non andò nel suo passato/
non lo scavò/non lo mangiò/non sa
il mistero che verrà/
non offrì la sua vita/per
il misteroche verrà/la pena
scomparirà/un gran fumo
si alzerà dalla sete/dalla fame/
dall'ingiustizia/la solitudine/arderanno
come legna/le stelle
si placheranno/
e tutto sarà verde/
come il mistero del dolore/
come i tuoi seni bianchi
sotto il melo/

giovedì 25 aprile 2013

Considerazioni libere (359): a proposito di un ricordo...

Pioveva a dirotto quel pomeriggio del 25 aprile 1994 a Milano: sembrava un segno. Eravamo in tanti alla manifestazione dell'Anpi. Da Granarolo avevamo fatto un pullman, dopo aver celebrato, come ogni anno, la memoria dei nostri partigiani. Da pochi giorni era nato il primo governo Berlusconi, il primo con ministri del Movimento sociale. Eravamo molto arrabbiati, speravamo - sbagliando - che quella fosse una parentesi, che volevamo chiudere in fretta. Sono passati quasi vent'anni: sta per nascere l'ennesino governo con ministri del Msi, ma ormai non è più uno scandalo, ci siamo abituati. Infatti - nonostante sia una bella giornata - alla manifestazione di Milano andranno solo i milanesi. Io sto per andare alla celebrazione di Salsomaggiore, la mia nuova città, per ricordare i 64 partigiani morti qui. Mi pare ci sia più rassegnazione che rabbia, anche perché vent'anni non sono pochi e da allora la situazione è nettamente peggiorata. Sappiate però che il 25 aprile non ce lo toglierete.

"Il superstite" di Primo Levi

Since then, at an uncertain hour,
dopo di allora, ad ora incerta,
quella pena ritorna,
e se non trova chi lo ascolti
gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
lividi nella prima luce,
grigi di polvere di cemento,
indistinti per nebbia,
tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
sotto la mora greve dei sogni
masticando una rapa che non c’è.
“Indietro, via di qui, gente sommersa,
andate. Non ho soppiantato nessuno,
non ho usurpato il pane di nessuno,
nessuno è morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non è mia colpa se vivo e respiro
e mangio e bevo e dormo e vesto panni".

mercoledì 24 aprile 2013

Considerazioni libere (358): a proposito di quello che possiamo e vogliamo fare...

Con la nascita del governo del "cardinal nepote" siamo arrivati alla fine di questa lunga e faticosa fase politica e istituzionale; in queste settimane io ho cercato di raccontarla, attraverso queste mie "considerazioni", naturalmente senza alcuna pretesa di oggettività, anzi con tutta la faziosità di cui sono stato capace. Approfitto per ringraziare quelli che hanno avuto la pazienza di sopportare le mie incursioni e i miei "tag", diventati un po' più frequenti. Proprio perché sono radicalmente di parte potete immaginare come mi senta e potete anche immaginare quello che penso. Marzullianamente mi sono fatto alcune domande, dandomi le risposte.
Come è andata?
In fondo la sintesi è piuttosto semplice: loro hanno vinto e noi abbiamo perso, anzi abbiamo perso male, e facendoci male. A essere sinceri loro sono oggettivamente più forti di noi: è come se il Bologna affrontasse il Barcellona; per quanto sia acceso il nostro tifo, dobbiamo riconoscere che siamo più "tristi" di loro, arrendendoci al loro stile e alla loro tecnica. Però - vale nel calcio come nella politica - la forza degli avversari non può mai essere utilizzata come un alibi per giocare male. Loro sono più forti essenzialmente per due ragioni: hanno un obiettivo preciso e su questo obiettivo riescono a raccogliersi tutti, anche quelli che potenzialmente potrebbero avere scopi diversi. Ad esempio in questa fase convulsa è stato chiarissimo nel rapporto tra loro e la parte più eversiva del centrodestra. Nel novembre del 2011 decisero che B. non era più in grado di rappresentare i loro interessi e quindi lo sfrattarono, senza tanti complimenti, da palazzo Chigi, per insediarvi il più affidabile Monti; ora, visto che B. continua ad avere - forse anche contro le loro previsioni - un ragguardevole consenso elettorale, hanno deciso di continuare a utilizzarlo, ricevendone in cambio appoggio e voti. Noi abbiamo partecipato alla gara - come di consueto - in ordine sparso. Prendiamo anche l'ultimo episodio: la mancata intesa tra Pd e Movimento Cinque stelle sul nome di Stefano Rodotà. Era naturale che una parte del Pd - quella che segue la logica loro e quindi che sta pienamente dalla parte dei nostri avversari - non accettasse di votare per un candidato con quella storia e soprattutto con quelle idee. A me questo non ha fatto neppure arrabbiare; io sapevo già - anche quando ho votato quel partito - che una parte di loro aveva idee completamente diverse dalle mie e ho accettato il rischio. Quello che mi ha fatto arrabbiare è che una parte dei nostri - nostri veri, non le quinte colonne, alla Letta e alla Renzi, tanto per non fare nomi - abbiano cominciato a fare gli schizzinosi su una possibile alleanza con il partito di Grillo, solo perché manca a loro un certificato di "purezza". E' un fenomeno ricorrente nella storia della sinistra mondiale e non credo che sia neppure necessario tornarci troppo sopra.
Abbiamo avuto durante la partita la possibilità di fare almeno un gol? 
Io credo di sì, due volte. Naturalmente so bene che la storia non si fa con i se, ma credo che se Bersani avesse avuto alcune settimane fa la possibilità di presentarsi alle Camere con un "bel" governo e con alcune proposte programmatiche forti, il muro dei parlamentari grillini si sarebbe in parte crepato e ci sarebbe stata una possibilità per quello che abbiamo cominciato a chiamare il "governo del cambiamento". Non credo di essere poi il solo a pensarlo, dal momento che Napolitano ha fatto di tutto per impedire questa possibilità, indebolendo Bersani, dando a Grillo il tempo di compattare i suoi e offrendo un'alternativa possibile a tutti gli altri, con il miraggio della "larghe intese". La seconda possibilità è stata quando è nata, in maniera imprevista e oggettivamente casuale, la candidatura di Rodotà; sono convinto che lì loro abbiano avuto davvero paura, tanto da costringerli a utilizzare "l'arma fine di mondo", ossia Napolitano, che vedeva ormai per sé un ruolo meno esposto. A quel punto non hanno più avuto pietà e hanno cominciato a far gol a raffica. Credo che abbiano perfino esagerato, succede a volte a chi vuol strafare. Nell'ansia di distruggere noi, hanno ammazzato anche il Pd, che in fondo era un loro alleato piuttosto fedele, anche al netto di quelli di noi che ci erano rimasti dentro e di quelli, come me, ancora disposti a votarlo; diciamo che il Pd è una vittima del fuoco amico. Personalmente credo che in questa fase che si sta aprendo a loro facesse gioco un Pd più forte, capace comunque di assorbire una parte delle proteste dei cittadini; è il modo in cui lo hanno usato durante i mesi del governo Monti. Ora si dovranno inventare un nuovo partito di centrosinistra, e naturalmente è già a disposizione l'"utile idiota" di turno, momentaneamente parcheggiato in riva all'Arno. Certo una parte di noi "sinistri" non sarà più disponibile ad abboccare, ma credo che loro se ne facciano una ragione. Anche perché credo che ormai il "grillismo" sia un fenomeno in fase calante. Su questo punto provo a spiegarmi. Una parte di persone che hanno votato per i Cinque stelle venendo da destra e dalla Lega non lo faranno più, dopo che quel movimento ha sventolato la bandiera-Rodotà, e una parte di persone che lo hanno votato venendo da sinistra non lo rifaranno perché gli imputeranno, sbagliando, le colpe di questa disfatta. Quindi loro potranno serenamente continuare a governare, magari approfittando della paura del rafforzarsi di un movimento neofascista, che - come hanno fatto in Grecia - faranno sicuramente crescere anche qui. Anche questo è un triste ritorno per la storia recente del nostro paese.
E adesso cosa faranno loro?
Intanto si sono assicurati un bel vantaggio. Sono finalmente riusciti a trasformare il nostro paese in una repubblica presidenziale, un loro pallino fin dagli anni Settanta, come ben testimoniano le carte di Gelli, e riducendo drasticamente il ruolo del parlamento, che sarà chiamato a ratificare, a colpi di voti di fiducia, le ineluttabili scelte che il governo, in nome della responsabilità, sarà chiamato a prendere, seguendo le indicazioni di chi veramente tiene ormai le fila della politica italiana. Devo dire che a questa riforma un po' abbiamo contribuito anche noi, con l'enfasi che abbiamo dato al nome di Rodotà, quasi prefigurando una sorta di elezione diretta del presidente della Repubblica. A me quel pomeriggio non ha spaventato tanto la "marcia su Roma" di Grillo - peraltro enfatizzata e utilizzata dai mezzi di informazione come uno spauracchio per spaventare l'Italia timorata e benpensante - quanto questa deriva "presidenziale" che c'era nella nostra proposta. Adesso per loro sarà anche più semplice proporre la riforma della Costituzione, introducendo la figura di un presidente "forte"; ci accontenteranno, sapendo che tanto il presidente lo sceglieranno alla fine sempre loro, facendolo eleggere a noi tra i candidati dei due centrodestra - Alfano e Renzi, per capirsi, o quelli che saranno chiamati a rappresentare i due schieramenti del nostro amorfo bipolarismo. Tanto a loro interessa la sostanza, ossia le liberalizzazioni, le privatizzazioni, la riduzione dei diritti dei lavoratori, la dissoluzione del welfare, ossia i punti su cui otterrà la fiducia dalla "nuova" maggioranza parlamentare il "nuovo" governo Letta, auspice il "nuovo" presidente Napolitano.
E noi? 
Noi stiamo qui a prenderla nel culo, come il personaggio di Altan.
Sono demoralizzato? 
Sicuramente. Poi io non ho ragioni per lamentarmi, sono una persona fortunata: io e mia moglie lavoriamo, guadagniamo non molto, ma è quello che ci basta e ce lo facciamo bastare, non abbiamo figli e quindi non abbiamo preoccupazioni per il nostro futuro immediato; sono perfino nella condizione psicologica per mandare tutti a quel paese. Poi so che non ci riesco, perché ho questo carattere qui e soprattutto perché ci sono ancora cose in cui credo.
Sono pentito di aver votato per il Pd?
Pentito no, ho creduto in quello che ho fatto e detto, certo sono arrabbiato perché adesso i "miei" parlamentari fanno con il mio voto quello che non avrei voluto che facessero; ma francamente anche se non li avessi votati non sarebbe cambiato nulla. Naturalmente a questo punto non ci casco più, non chiedetemi più di votare il meno peggio, non sono più disponibile a votare per un partito in cui ci sia anche una parte di loro. Agli amici che rimangono là, mando i miei saluti, sapendo che le nostre strade si dividono e che non li ritroverò per un bel pezzo. Dalle prossime elezioni o voto per un partito in cui mi ritrovo davvero, per quanto minoritario sia, o non voto; non voterò certo più l'ex-Pd, pur continuando a guardare cosa succederà da quelle parti. Per inciso non credo che a questo punto l'avventura di Barca sia destinata ad avere molto successo. 
E allora cosa possiamo fare? 
Prima di tutto io credo sia importante tenere accesa una luce. C'è stato un passaggio significativo nel discorso di Napolitano di oggi, dopo che ha dato l'incarico a Letta: ha chiesto ai mezzi di informazione di uniformarsi alla versione di regime e quindi di favorire le "larghe intese". A essere onesti non serve neppure questo richiamo presidenziale, ci pensano già loro a essere servi, non bisogna neppure chiederglielo; vedrete che nei prossimi giorni la crisi sparirà da giornali e televisioni, la gente non si suiciderà più e tutto andrà bene. Siccome non sarà così, abbiamo bisogno di raccontarlo e di aiutare le voci che proveranno in questi anni a resistere, raccontando una versione diversa. Io è quello che ho fatto finora con questo blog e con i miei interventi in rete e quindi continuerò a farlo. Immagino che molti non saranno d'accordo con me e non considerino quello attuale un regime. Io sì e quindi considero questa una forma - assolutamente non eroica, non particolarmente coraggiosa, ma comunque utile nel suo piccolo - di resistenza. Anche in vista del giorno di domani, in cui invece torneremo a celebrare la Resistenza, quella vera.   

lunedì 22 aprile 2013

"Cose nascoste" di Costantino Kavafis


Dalle cose che feci o dissi
non cerchino d'indovinare chi fui.
C'era un impedimento a trasformare
il mio modo di vivere e di agire.
C'era un impedimento che m'interrompeva
molte volte che stavo per parlare.
Dalle mie azioni meno appariscenti
e dai miei scritti più velati -
da questo solo mi conosceranno.
Anche se forse non varrà la pena
che faccian tanti sforzi per capirmi.
Più avanti - in una società perfetta -
apparirà di certo qualcun altro
che mi somigli e come me sia libero.

sabato 20 aprile 2013

Considerazioni libere (357): a proposito di una prospettiva possibile...

Questa crisi, in queste forme e con questi tempi, oggettivamente non era né inevitabile né prevedibile; chi dice il contrario è in malafede ed è comunque ostile alla sinistra. Non era neppure auspicabile, se non ancora da chi da sempre e per sempre osteggia questa parte dello schieramento politico, la nostra parte. Però i segnali c'erano ed è stato un nostro errore non coglierli. Uso volutamente il noi, non per malriposta immodestia, ma perché mi sento in qualche modo parte dei responsabili e sarebbe facile adesso dire che "loro" hanno sbagliato tutto, "loro" se ne devono andare. Come sapete io non mi sono mai iscritto al Pd, l'ho spesso criticato, in alcune occasioni non l'ho votato, ma l'ho votato alle ultime elezioni, perché mi ero convinto - e nulla mi ha fatto cambiare idea - che anche il mio voto fosse utile, in questa particolare circostanza, in questo definito passaggio storico. Io sono un uomo di sinistra, rimango tale e per questo non posso essere contento se nel maggior partito del mio schieramento, quello per cui ho votato, succede quello che vediamo in questi giorni e in queste ore. Per questo ho scritto a caldo su Twitter, immediatamente dopo l'annuncio delle dimissioni di Bersani, che non voglio unirmi al coro dei detrattori. Mi piacerebbe dare una mano, tra i ricostruttori.
Fatta questa necessaria premessa, credo che il nostro primo errore sia stato quello di non aver capito - o di non aver capito fino in fondo - perché il Pd e i suoi alleati, nonostante le condizioni fossero favorevoli, anzi favorevolissime, hanno perso le elezioni. Secondo me i motivi sono sostanzialmente due e su questo davvero mi piacerebbe confrontarmi con voi. Il primo è essenzialmente politico: l'errore fondamentale del Pd è stato quello di permettere, nel novembre del 2011, la nascita del governo di Mario Monti, un governo profondamente di destra, che ha duramente acuito la crisi sociale ed economica di questo paese. Su questa questione sono intervenuto molte volte - fin troppe - e non voglio rimarcare un mio giudizio noto. Poi siccome il Pd è - nonostante le ironie di questi giorni - un partito serio, Bersani ha sostenuto con rigore, con disciplina e con responsabilità il governo, anche quando il centrodestra si è sfilato, riuscendo ad attribuire al Pd tutte le colpe di questo esecutivo, che - per inciso - in questo vuoto di potere continua a far danni e quindi sarebbe ora di mandare a casa. Il secondo motivo per cui abbiamo perso le elezioni è stata l'incapacità - e in questo caso sì c'è stata anche un po' di ostinazione - a lanciare messaggi verso quei cittadini che hanno votato per il Movimento Cinque stelle sull'onda dell'antipolitica. Io per più di cinque anni della mia vita ho fatto di lavoro il funzionario di partito, ho avuto la fortuna di conoscere centinaia di compagne e di compagni che hanno dedicato energia, intelligenza, tempo e denaro al partito, per cui quando sento certi discorsi di Grillo e dei suoi emuli o leggo certi commenti qualunquisti nelle rete mi prudono le mani, li vorrei mandare a quel paese, eppure capisco che il loro malessere è anche figlio di una nostra incapacità a far prevalere il bello della politica. Io so che Bersani ha ragione quando difende il finanziamento pubblico ai partiti, ma questa linea adesso è indifendibile, perché troppi abusi sono stati commessi, dagli altri soprattutto, lo so; ma adesso paghiamo anche le loro colpe. Non c'è nulla da fare. Capisco che affrontare questi due nodi sarebbe stato molto difficile per il Pd, probabilmente lacerante, perché il Pd è nato da un lato con l'ambizione di superare le forme tradizionali del riformismo italiano, quello socialista e quello cattolico, per creare un riformismo di tipo nuovo, e dall'altro lato con la prospettiva di fare un nuovo partito. Temo che nessuno dei due risultati sia stato raggiunto; a me pareva impossibile già allora e mi sono fatto da parte, altri che ne erano convinti ci hanno provato con passione, ma mi pare che alla fine il risultato di oggi ci dica che anche questo generoso cammino si è interrotto. Tanto che qualcuno, come Barca, ha già provato a immaginare qualche altra strada e penso che anche altri lo stiano facendo, in una direzione o nell'altra. Per me, nel mio piccolissimo, sapete che andrò dove si ricostruirà, se si ricostruirà, un partito di ispirazione socialista.
In questa "considerazione" non vorrei calcare troppo la mano su quello che è successo, sinceramente non ci aiuta. Ha fatto bene Bersani ad annunciare le sue dimissioni, credo dovrebbero farlo anche altri; in molti, in troppi, si sono mossi in maniera autonoma, o perché sinceramente non condividevano la linea o perché hanno approfittato delle condizioni del momento. Si potrebbe parlare della sospetta duttilità di Renzi e della sua velocità a cambiare posizione a seconda di dove tira il vento, come del silenzio pesante di D'Alema, che pure ha un suo disegno o alcuni immaginano abbia e forse non ce l'ha. Questa però è una discussione che non ci fa fare un passo avanti, perché non affronta il nodo, ossia chi siamo e cosa vogliamo fare. Non è una questione da poco, è più semplice dire che questo è str... e quello pure, ma è di questo che bisogna parlare oggi, già oggi.
In genere, quando arrivi davanti al sindaco o al prete e questo ti chiede se vuoi sposare proprio quella persona lì, dici di sì, non ci stai a pensare. Ho l'impressione che ai nostri parlamentari stia succedendo qualcosa di simile. Il momento è solenne, tutti ti stanno osservando, anche se pensano al pranzo o guardano l'orologio, perché hanno altro da fare, e tu non sai esattamente cosa rispondere: ti vuoi proprio sposare? e proprio con questa persona? Fuor di metafora, dopo quello che è successo in questi giorni, a questo punto scegliere Rodotà vuol dire fare una scelta che ci impegna - e impegna il Pd o quel che ne rimane - in una direzione abbastanza precisa. Vista la crisi politica e visto che in questi anni c'è stata una riforma costituzionale non scritta che ha spostato pesi e contrappesi istituzionali a favore della presidenza della Repubblica, la scelta di questi giorni non può essere neutra. Non lo era Marini, non lo era Prodi, non lo sarà Rodotà. Personalmente è la direzione che imboccherei, provando a far fare un po' di strada a questa legislatura, con un accordo tra un pezzo di Pd e il Movimento Cinque stelle. Se ci fossero i numeri, sarebbe un tentativo da fare. Un parte dell'Italia ce lo chiede. Se però sarà così, allora in tanti dovremo impegnarci a fare in modo che questa possibilità abbia le gambe per andare avanti, non basterà scrivere un messaggio su Facebook o andare in piazza con un megafono: ci sarà da lavorare, ventre a terra.

venerdì 19 aprile 2013

Considerazioni libere (356): a proposito di una cosa incomprensibile...

Quando Bersani ha annunciato - con enfasi malaugurante - che Franco Marini sarebbe stato il candidato di Pd, Pdl e Scelta civica per la presidenza della Repubblica la mia prima reazione è stata di sgomento; a dire la verità, ci è voluto un po' di tempo per riprendermi. Poi ho cercato di spiegare quello che in apparenza era per me incomprensibile.
C'è una spiegazione semplice e, in genere, le spiegazioni più semplici sono anche quelle giuste. Bersani, di fronte all'alternativa se tentare l'ignoto, accettando di votare il candidato - peraltro ottimo - proposto in maniera unilaterale, e non senza arroganza e malizia, dal Movimento Cinque stelle, oppure battere la strada già conosciuta, per quanto accidentata, dell'accordo con i partiti "tradizionali", ha preferito questa seconda soluzione, perché - come per lo scorpione del celebre apologo - questa è la sua natura. Questa soluzione sta tutta dentro un'ottica culturale che vede solo nei partiti i detentori della capacità di proposta politica; è la stessa idea di fondo che ha spinto Napolitano a fare un parallelo - che a molti è parso anacronistico - con quanto avvenuto in questo paese nel '76, quando però c'erano la Dc e il Pci. Certamente Marini - più di Rodotà - era l'uomo adatto, per storia e per formazione, per difendere questa impostazione politica e culturale. Questa è la spiegazione più semplice e probabilmente - ripeto - quella corretta. Ma non è la più convincente, almeno per me.
Sappiamo benissimo quello che è successo dopo che c'è stato l'annuncio della candidatura di Marini, ma proviamo per un momento a pensare cosa sarebbe successo se mercoledì sera al Capranica Bersani avesse annunciato che l'indomani il Pd avrebbe votato per Rodotà. B. avrebbe immediatamente scatenato i suoi uomini e i suoi giornali avrebbero cominciato una campagna di stampa terribile contro Rodotà; a questo probabilmente Bersani e il Pd avrebbero resistito, ma ci sarebbero state forti tensioni nel paese. Ma per Bersani sarebbe stato più difficile resistere alla campagna organizzata dai sostenitori delle "larghe intese", che sarebbe cominciata con altrettanta rapidità; l'editoriale del Corriere di giovedì, a firma di uno dei cerchiobottisti storici di via Solferino, avrebbe deplorato questa scelta del Pd, chiedendo di non escludere il terzo del paese rappresentato dal centrodestra. Questo eterogeneo partito, che abbiamo visto all'opera in questi mesi, guidato da Napolitano e da Monti, è debolissimo sul piano elettorale, ma molto forte su quello politico e avrebbe preso con rapidità le sue contromisure; Draghi avrebbe cominciato a svendere titoli di stato italiani, le agenzie di rating avrebbero ulteriormente declassato il paese e così via. All'annuncio di Bersani un pezzo del Pd avrebbe scatenato la rivolta, Fioroni avrebbe minacciato per l'ennesima volta di dimettersi e Renzi si sarebbe messo a capo di questa fronda, numericamente consistente, nel nome della responsabilità nazionale e della necessità di trovare un presidente di garanzia per il paese. Bersani sarebbe stato accusato di aver fatto l'accordo con Grillo soltanto per avere l'incarico di formare il governo, anteponendo il suo interesse a quello del paese. Se convenite con me su questa possibile evoluzione, proviamo allora a fare un'ulteriore ipotesi. Bersani, consapevole di questo possibile scenario, ha fatto quello che nessuno si aspettava da lui, anche perché fino al giorno prima aveva dichiarato la propria indisponibilità a fare un qualsiasi accordo di governo con B. e con i suoi; ha candidato Franco Marini, insieme a B., sapendo di mettere in gioco non solo la propria possibilità di diventare presidente del consiglio, ma la propria stessa reputazione, accettando perfino l'onta di essere chiamato traditore. Capisco che questa ipotesi può sembrare a qualcuno esageratamente letteraria - e infatti ha qualche richiamo borgesiano - ma delle due l'una: o Bersani è così stupido da non capire che il solo annuncio di un accordo tra Pd e Pdl avrebbe scatenato la rabbia degli elettori e degli eletti o ha fatto un calcolo, una scommessa molto rischiosa, che infatti ha perso, ma non solo per sua responsabilità. Bersani ci ha usati, ha usato la nostra ira, la nostra ferma volontà di non fare alcun accordo con il centrodestra; ha voluto dimostrare, drammatizzando la situazione, che la soluzione della "larghe intese" non era praticabile. E' andata davvero così? Non lo so, forse la spiegazione giusta è davvero la prima e questa seconda ipotesi è soltanto il frutto di una mia fantasia. Magari un giorno, quando gli sarà passata l'incazzatura, ce lo spiegherà lui cosa è successo in questi giorni convulsi.
Credo che neppure lui - e neppure un detrattore del Pd come me - si sarebbe immaginato quello che è successo in queste ultime ore, ossia l'implosione di quel partito. Lo ripeto, a scanso di equivoci: io, che pure ho scritto più volte che speravo - e spero - nella nascita di due nuovi partiti dalla fine dell'esperienza del Pd, non sono contento di questa situazione. Penso che inevitabilmente c'erano questioni che dovevano emergere, nodi da risolvere, problemi troppo a lungo rimandati; ma questo è stato il modo peggiore di farlo. A parte l'amicizia con tante persone che hanno fatto la scelta di stare in quel partito, io credo che senza una parte delle tantissime energie che ci sono nel Pd sia impossibile ricostruire in Italia una grande forza socialista; penso ai tanti volontari che ci sono ancora, ai moltissimi bravi amministratori locali, ai nuovi parlamentari, giovani e donne, che sono stati eletti a fine febbraio e che si sono ritrovati - immagino - a disagio in questa faccenda. Adesso il Pd ha paradossalmente qualche chance in più. Si è liberato - spero - di una generazione di "padri nobili". Deve però evitare di cadere nella trappola tesa da Renzi, che si è mosso in tutta questa partita davvero in maniera spregiudicata: dopo aver criticato Bersani per il suo immobilismo, per aver guardato con eccessivo slancio al Movimento Cinque stelle, si è buttato nella critica - con toni anche ingenerosi - verso Franco Marini, quando ha capito che da quella critica poteva trarne dei vantaggi personali. Questo è il modo peggiore di fare politica. Personalmente penso che i parlamentari del Pd che lo vorranno adesso abbiano la possibilità di rimettersi in connessione con una parte consistente del loro elettorato votando per Stefano Rodotà alla presidenza della Repubblica. Poi si comincerà a lavorare, lentamente, un passo dopo l'altro.

domenica 14 aprile 2013

Considerazioni libere (355): a proposito del prossimo Presidente...

Ero incerto se scrivere anche oggi la mia "considerazione" domenicale, visto che giovedì scorso ho già pubblicato un post particolarmente "scorretto" contro tutti quelli che in questi giorni di attesa chiedono le larghe intese; e poi, in fondo, in questi sette giorni non è successo nulla di particolarmente rilevante. Almeno non è successo niente di rilevante per quel che riguarda il domani, ossia l'elezione del presidente della Repubblica, anche se è successo qualcosa di molto interessante per quello che succederà dopodomani. Ma visto che ci avviciniamo alla scadenza del 18 aprile, qualcosa la voglio dire comunque, il più brevemente possibile.
Partiamo da domani, è sempre meglio andare per ordine. L'unica vera novità di questi giorni - almeno per quanto ne sappiamo noi, al netto di legittimi e comprensibili incontri riservati - sono le "quirinarie" del Movimento Cinque stelle. Ora, al di là del nome infelice - propongo una moratoria di almeno un anno sui neologismi che finiscono in -ria - e del pasticcio informatico - vero o presunto, poco mi interessa - l'esito di queste consultazioni è stato significativo. I militanti di quel partito, quando possono esprimere la loro opinione, almeno in parte, rifiutano il primo dogma del grillo-casaleggismo, ossia che destra e sinistra non esistono più e che, a parte loro, tutti gli altri sono uguali. Saranno anche tutti uguali - sembrano dire gli elettori grillini - ma B. fa un po' più schifo degli altri; è già un buon punto di partenza. Tutte le dieci persone che hanno avuto più voti sono invisi a B., ai suoi giornali e ai suoi elettori; perfino Bonino, che pure culturalmente è più di destra che di sinistra, ha il difetto ai loro occhi di essere laica e difficilmente incasellabile nella loro ideologia veteroclericale. Di Prodi poi tutto si può dire tranne che sia un esponente della "nuova" politica, qualunque cosa questo voglia dire. Ho l'impressione che una parte significativa di quel mondo variegato e composito abbia voluto lanciare un segnale al Pd e all'Italia che si definisce di sinistra. Adesso sta al Pd - e anche a noi "sinistri" sparsi - raccogliere questo segnale, magari sospendendo l'irrisione quotidiana verso il Movimento Cinque stelle, i suoi eletti e i suoi elettori. E anche Bersani adesso si trova davati a un bivio: non credo possa non votare Rodotà solo perché lo hanno proposto quelli del Movimento Cinque stelle o perché non è gradito a B. e a Napolitano.  Personalmente dei dieci nomi fatti dagli elettori Cinque stelle, sarei molto felice se venisse eletto Presidente Stefano Rodotà; sarei soddisfatto se lo fossero Imposimato, Prodi o Zagebrelsky; avrei rispetto se fosse scelta Bonino, che considero una candidata accettabile dell'altra parte. A parte Grillo, gli altri quattro sono bei nomi, rappresentanti di un'Italia migliore di quella con cui in genere abbiamo a che fare quotidianamente. Vedremo cosa succederà il 18 aprile. Il Pd ha l'onere della proposta, dal momento che ha una maggioranza tale da poter eleggere quasi da solo il prossimo presidente della Repubblica. Molti, a partire da Napolitano, spingono perché a B. sia assegnato una sorta di potere di veto. Come ovvio, spero che il Pd resista a queste sirene e decida invece di guardare all'altro pezzo d'Italia, quello che ha chiesto un cambiamento radicale. Finora Bersani ha detto di aver capito il messaggio delle elezioni, lo ha ripetuto anche nell'importante manifestazione di ieri; adesso è il momento di essere coerente con quello che ha detto. Con la consapevolezza che questo treno non passerà più.
Il cambiamento radicale sarà già evidente nella scelta del prossimo presidente della Repubblica, anche prima che nella formazione del governo. Al di là di chi sarà il prossimo Presidente, io vorrei non fosse come quello che l'ha preceduto, ossia che non sfrutti il proprio ruolo per imporre la propria visione politica. Cito Corradino Mineo che stamattina ho trovato illuminante: "ci vuole un presidente che tra forza del consenso e forza della legge, scelga la legge". In questi mesi purtroppo questo non è avvenuto. Se poi l'elezione di un presidente della Repubblica "diverso", espressione del Pd e non inviso al Movimento Cinque stelle, permetterà la nascita di un governo Bersani che abbia la possibilità di fare qualche vera riforma in campo economico e sociale, bene. Altrimenti questo Presidente si farà garante di un governo per cambiare la legge elettorale e ci farà tornare il prima possibile a votare, visto che anche ieri, in maniera molto autorevole, ci è stato ricordato che l'attuale legge elettorale è contraria allo spirito e alla lettera della nostra Costituzione. E, a quel punto, chi ha più filo tesserà.
Un accenno anche al dopodomani. Il Pd non uscirà da questa crisi come ci è entrato. Per me che non ho mai amato questo partito è naturalmente un bene, ma credo - senza polemica - lo sia anche per quelli che nel progetto del Pd ci hanno creduto. Barca ha fatto una scelta coraggiosa, decidendo di iscriversi adesso al Pd, anche ambiziosa, perché se avesse fondato il suo partitino, avrebbe riscosso le solite percentuali da prefisso telefonico. A questo punto anche a noi "sinistri" sparsi si pone un problema, se continuare a star fuori dal Pd o combattere dall'interno contro la deriva veltroniana e renziana, che Bersani ha solo rallentato, senza avere la forza di invertirne la direzione. Su questo è troppo presto, almeno per me, per prendere una decisione. Ho letto - anche se un po' troppo velocemente, ma la curiosità era molta - il documento presentato da Fabrizio Barca e nelle prossime settimane spero di riuscire a commentarlo in maniera un po' più articolata; in fondo è quello che chiede lo stesso Barca, ponendo una serie di interrogativi e soprattutto dicendo esplicitamente che si tratta di un testo aperto a contributi. Questi sono quindi appunti o titoli per la futura riflessione. Comunque vada a finire questa storia, è un contributo significativo, che mette il dito nella piaga su cos'è, o meglio su cosa non è, il Pd; per chi, come me, ha sempre criticato l'impostazione veltroniana del partito "leggero", si tratta di un passo avanti importante. Non mi aspetto un giudizio di plauso unanime dai dirigenti del Pd, se questo plauso ci fosse, sarebbe ipocrita e falso, perché questo testo è in molte parti un'accusa a come hanno costruito il Pd; la cosa peggiore che può succedere a Barca e alla sua riflessione è quella di essere utilizzati nello scontro tra Bersani e Renzi, sarebbe un ulteriore occasione sprecata. La parte sulla "forma-partito", che è la più rilevante, è molto interessante, ci abbiamo girato spesso intorno, fin dalla nascita del Pds, ma probabilmente non con questo approfondimento, negli ultimi anni poi il dibattito è stato accantonato perché si è preferita la forma "peggiore" di partito. L'Addendum mi ha deluso un po', mi sembra un po' troppo generico - certo meno generico dei supposti valori del Pd in cui ci possono stare un po' tutti, perfino Follini - ma forse qui c'è un limite nella cultura politica di Barca, che socialista non è e forse non lo vuole essere. Come sapete, io credo si debba ripartire da lì, ossia da come ci definiamo socialisti in questo inizio di secolo.

giovedì 11 aprile 2013

Considerazioni libere (354): a proposito di soluzioni condivise...

Come noto, ogni giorno ha la sua pena e infatti quotidianamente dobbiamo sorbirci una qualche predica, condita di accenti più o meno apocalittici, sul tempo che l'Italia sta perdendo, perché Bersani - in ostaggio di noi facinorosi "sinistri" della rete - si ostina a non voler fare le larghe intese con quel mite e lungimirante statista di B. e con i suoi accoliti, quelli che - giusto per fare un esempio recente - votarono in massa per affermare che Ruby allora era proprio la nipote maggiorenne di Mubarak (solo in seguito è diventata una prostituta minorenne di nazionalità marocchina, per uno strano ghiribizzo anagrafico). Comunque, per tornare alle geremiadi di questi giorni, c'è chi preferisce richiamarsi a lontani precedenti storici, come il quasi ex presidente, uno che davvero non rimpiangeremo e che la storia giudicherà come uno dei più perniciosi presidenti della nostra storia repubblicana. D'altra parte è comprensibile, a una certa età è più facile ricordare quello che è successo trent'anni fa piuttosto che quello è che successo il giorno prima: e Napolitano evidentemente si è convinto che Moro sia ancora vivo, mentre ha dimenticato che non è ancora morto il suo amico B., purtroppo. Altri invece, come il pragmatico presidente di Confindustria, la mettono sul piano economico e infatti Squinzi ci spiega che stare senza un governo equivale a perdere circa un punto di pil. Devo dire che il presidente di Confindustria, nonostante la bonomia del suo aspetto, ha davvero una faccia di bronzo difficilmente superabile: non passa giorno che non chieda che si faccia il governo, specificando "un qualsiasi governo", e contemporaneamente spiega che il futuro governo deve fare esclusivamente quello che dice lui, ossia scardinare quel poco che è rimasto di tutela dei lavoratori, dopo la cura Monti-Fornero. E' curioso poi che gli alfieri del liberismo più sfrenato, quelli per cui il governo dovrebbe essere leggero - al limite dell'evanescenza - si preoccupino così accanitamente della mancanza di un governo, tanto da chiederne uno "qualsiasi". Evidentemente Squinzi e gli industriali vogliono il "loro" governo "qualsiasi".
Di certi faziosi figuri, come quelli appena citati, sarebbe forse meglio non parlare - fanno semplicemente il loro "sporco" lavoro - se non fosse che il loro giudizio è diventato in questi anni non un legittimo, seppur discutibile, punto di vista di parte - ossia quello della destra conservatrice internazionale - ma "il" comune sentire, l'unica opinione che abbia diritto di cittadinanza e che possa essere diffusa e discussa. Per questi tristi personaggi, così come per la stragrande maggioranza della nostra sedicente classe dirigente - politici, imprenditori, giornalisti, professori universitari, grandi burocrati - per gli attuali problemi dell'economia esiste un'unica soluzione, quella autorevolmente sostenuta da Draghi, da Lagarde e dalla compagnia di giro del turbocapitalismo internazionale: riduzione drastica della spesa pubblica, tagli draconiani al welfare, privatizzazioni e liberalizzazioni, abolizione delle garanzie per i lavoratori. L'unico dibattito ammesso è sulle forme con cui fare queste riforme, se più o meno duramente, se più o meno velocemente, in sintesi con che grado di crudeltà; secondo il mainstreaming la differenza tra destra e sinistra sarebbe unicamente in questa graduazione del modo con cui fare le inevitabili riforme. E infatti l'anziano che occupa le stanze del Quirinale cosa ha fatto in questo momento di stasi? Ha nominato i "saggi". Al di là della giusta ironia che abbiamo fatto su queste mezze figure, questa decisione quirinalizia è indicativa del clima culturale, prima che politico, che c'è in Italia e in Europa. C'è un'unica soluzione alla crisi e se la politica, per suo disdoro, non riesce a trovarla, chiamiamo chi può farlo: tanto la soluzione è già lì, condivisa da tutti. Eh no, cari signori, non è condivisa da tutti, a noi la "vostra" soluzione non va bene. Le soluzioni condivise non esistono, sono solo uno specchietto per le allodole, un espediente retorico, una bugia che, a forza di essere raccontata, è diventata una verità.
In sé poi non si tratta nemmeno di una ricetta originale, sono esattamente le cose che diceva trent'anni fa Margaret Thatcher, come ci ricordano in questi giorni i suoi agiografi più ferventi, i sacerdoti di questa nuova religione iperliberista. C'è però una bella differenza con quegli anni. Thatcher non pretendeva che il suo fosse l'unico punto di vista, sapeva benissimo che c'era una visione politica ed economica opposta alla sua e naturalmente fece tutto quello che era in suo potere per schiacciare quelli che non la pensavano come lei, anche con la forza quando era necessario, e soprattutto con le armi della politica e della cultura politica. Come sappiamo c'è riuscita benissimo, dal momento che tutti i successivi capi di governo della Gran Bretagna - compresi i laburisti purtroppo - le hanno tributato onori non di circostanza e non hanno modificato in maniera sostanziale la sua politica; la sua vittoria più grande è comunque il fatto che trent'anni dopo non c'è altra ideologia se non quella capitalista.
In questi giorni, quasi come una curiosità archeologica, alcuni commentatori hanno ricordato le non poche canzoni di quegli anni in cui diversi artisti inglesi si auguravano la morte di Margaret Thatcher. Per capire le differenze con quel periodo, credo che adesso nessun gruppo rock scriverebbe una canzone augurandosi la morte di Draghi; so che naturalmente molti di voi non la penseranno come me, ma non credo che questo sia un bene. Io credo che ci serva più radicalità, e anche più cattiveria. Loro contro di noi sono cattivi e radicali e noi non lo siamo abbastanza contro di loro. Come disse giustamente qualche anno fa il poeta Edoardo Sanguineti, la lotta di classe c'è ancora, ma ormai si svolge a senso unico: sono loro che fanno la guerra a noi e noi ci siamo arresi.
Siamo ormai sprofondati nella notte in cui tutti i gatti sono bigi. Se davvero c'è un'unica soluzione alla crisi, è comprensibile che per la maggioranza degli italiani, se non si fa il governo, l'introduzione delle inevitabili misure destinate a risolvere la crisi saranno ritardate. Ora abbiamo già visto quale sarà l'esito della loro "cura": il cavallo è destinato a morirne. Disoccupazione, cassa integrazione e precariato continuano a crescere, mentre i redditi da lavoro e i consumi continuano a contrarsi; le aziende, anche quelle più vitali, chiudono, i grandi gruppi industriali, già in crisi, finiscono di sfaldarsi, mentre i mercati si dileguano e chi sa e chi sa fare preferisce andare all'estero; il welfare diventa residuale, la scuola avvizzisce, mentre la miseria dilaga. Purtroppo per loro, questa non è l'unica soluzione. Bisogna solo avere il coraggio di dirlo, e per farlo occorrono radicalità e conflitto. Non dobbiamo avere paura del conflitto. Per questo alcuni di noi sono così risoluti, al limite della testardaggine e della cattiva educazione, a non volere un accordo con quel pezzo di paese, che la pensa diversamente da noi. Questa ostinazione non significa non riconoscere che quel paese c'è. Lo sappiamo purtroppo che c'è, ma noi lo vogliamo combattere. Non vogliamo che continuino a vincere loro. Io non ci credo a soluzioni condivise, tanto più di fronte alla crisi, perché non ci sono eguali responsabilità e non ci può essere una soluzione a somma zero. Se loro vincono, noi perdiamo; e viceversa.
Allora proviamo a dire che un'altra soluzione è possibile. Questa soluzione passa attraverso il rifiuto non dell'euro o dell'Europa - che è una sciocchezza, non a caso agitata dai settori più beceri di questa destra e purtroppo anche da un movimento che si dice "diverso", come il Cinque stelle - ma il rifiuto dei vincoli finanziari imposti dalla Bce, attraverso la lotta vera all'evasione e alla criminalità, ma soprattutto attraverso un nuovo modello produttivo, interamente centrato nella conversione ecologica, perché questa è l'unica capace di progettare il futuro, di creare lavoro vero, e quindi redditi e condizioni di vita meno diseguali. Questa soluzione non può andare bene a tutti. A "loro" non andrà bene: ebbene, ce ne faremo una ragione.

p.s.
Questa retorica delle "soluzioni condivise" è purtroppo così diffusa da diventare pervasiva, è come un virus che si insinua e che contagia ogni livello politico. Nel Comune dove vivo e lavoro, Salsomaggiore Terme, voteremo a fine maggio perché il precedente Sindaco, leghista, è stato sfiduciato in Consiglio dalla sua maggioranza di centrodestra. Da diversi mesi siamo quindi in campagna elettorale - mentre il Comune è retto dal Commissario prefettizio - e questo richiamarsi alle soluzioni condivise risuona come un mantra nei discorsi elettorali di praticamente tutti i candidati. E devo dire che, almeno per me, sta cominciando a diventare parecchio fastidioso; comincio a grattarmi tutte le volte che sento queste parole.
Una persona che tiene un blog molto seguito sulla politica cittadina, un uomo di area centrodestra - e significativamente si è speso per Renzi nella campagna per le primarie e ha votato Grillo alle ultime politiche - ha addirittura detto che occorre un comitato di "saggi", uno per ogni partito o movimento civico che ha un ruolo in città, sostenendo che solo loro sarebbero in grado di trovare queste benedette soluzioni condivise, dettate dalla diligenza del buon padre di famiglia. Naturalmente alcuni dei candidati sostenitori delle soluzioni condivise sono in malafede, perché sono i responsabili consapevoli della crisi della nostra città, ma molti sono in assoluta buona fede e credono sinceramente che sia possibile trovare soluzioni universalmente accettate per risolvere i problemi di Salsomaggiore. E' imperante questa retorica "buonista", che ad esempio è stata il leitmotiv delle primarie del Pd cittdino, a cui io pure ho partecipato da elettore. E su questo sforzo comune per Salsomaggiore si trovano tante energie positive, naturalmente più numerose nei movimenti civici e apolitici, che anzi di questo si fanno forti. Capisco anche l'esigenza tattica di non radicalizzare lo scontro, in una realtà in cui l'elettorato di destra è forte, per quanto manchi di rappresentanza. Io non voglio criticare queste buone intenzioni e alla fine sosterrò qualcuno di queste "brave" persone, ma credo che anche qui sia necessaria una maggiore radicalità, dicendo le cose come stanno. Non ci possono essere soluzioni condivise con quei proprietari che affittano in nero i loro appartamenti agli extracomunitari (salvo poi lamentarsi perché in città ci sono troppi stranieri), con quelli che preferiscono tenere i negozi sfitti piuttosto che abbassare gli affitti stellari di quando a Salsomaggiore c'era tutt'altro turismo, con quelli che si lamentano perché non vengono i turisti e che in questi anni non hanno investito un soldo per migliorare la loro offerta. E non possono esserci soluzioni condivise neppure con quel pezzo di burocrazia - c'è a Salsomaggiore come in tutta Italia - che ha meno voglia di mettersi in gioco, perché tanto si è sempre fatto così. Le soluzioni condivise non sono soluzioni, sono solo un modo per rinviare il problema e per favorire chi adesso, nonostante si lamenti, sta bene e gode di piccoli e grandi privilegi. In questo sì, spero che i candidati a Salsomaggiore, come anche a livello nazionale, siano più radicali.

lunedì 8 aprile 2013

da "Un giorno della mia vita" di Bobby Sands

Una volta mio nonno mi disse che imprigionare un'allodola è uno dei crimini più crudeli, perché l'allodola è tra i simboli più alti di libertà e felicità. Sovente parlava dello spirito dell'allodola, riferendosi alla storia di un uomo che aveva rinchiuso uno dei suoi tanto amati amici in una piccola gabbia. L'allodola, soffrendo per la perdita della sua libertà, non cantava più a squarciagola, né aveva più nulla di cui essere felice. L'uomo che aveva compiuto tale atrocità, così come la definiva mio nonno, esigeva che l'allodola facesse ciò che lui desiderava: cioè cantare più forte che poteva, obbedire alla sua volontà, cambiare la sua natura per soddisfare il suo piacere e vantaggio. L'allodola si rifiutò. L'uomo allora si arrabbiò e diventò violento. Cominciò a far pressioni sull'allodola affinché cantasse, ma inevitabilmente non ottenne alcun risultato. Così ricorse a mezzi più drastici. Coprì la gabbia con un telo nero, privando l'uccello della luce del sole. Le fece patire la fame e la lasciò marcire in una sporca gabbia, eppure lei si rifiutò ancora di obbedirgli. Alla fine l'uomo la uccise.
Come giustamente diceva mio nonno, l'allodola possedeva uno spirito: lo spirito di libertà e di resistenza. Desiderava ardentemente essere libera e morì prima di essere costretta ad adeguarsi alla volontà del tiranno che aveva cercato di cambiarla con la tortura e la segregazione. Io sento di avere qualcosa in comune con quell'uccello, con la sua tortura, la sua prigionia e la morte a cui alla fine andò incontro. Possedeva uno spirito che non si trova facilmente neppure tra di noi, i cosiddetti esseri superiori, gli uomini.
Prendete un comune prigioniero. Il suo obiettivo principale è quello di rendere il suo periodo di detenzione più facile e confortevole possibile. Un comune prigioniero non metterà mai a rischio un solo giorno di condono. Alcuni arriveranno persino a umiliarsi, a strisciare e a tradire altri detenuti, pur di salvaguardare se stessi o accelerare il proprio rilascio. Costoro obbediranno alla volontà di chi li ha catturati. Diversamente dall'allodola, canteranno ogni qualvolta verrà chiesto loro di farlo e salteranno ogni volta che sarà loro ordinato di muoversi.
Sebbene abbia perduto la sua libertà, un prigioniero comune non è disposto a giungere alle estreme conseguenze per riacquistarla, e neppure per difendere la propria dignità di uomo. Si adegua, in modo tale da garantirsi un rilascio a breve scadenza. Se invece rimane in carcere per un periodo abbastanza lungo, alla fine diviene un prodotto dell'istituzione, una sorta di macchina, non più in grado di pensare con la propria mente, sotto il pieno potere e controllo di chi lo ha incarcerato.
Nella storia che raccontava mio nonno questa era la fine che avrebbe dovuto fare l'allodola. Ma lei non aveva bisogno di cambiare, né intendeva farlo, e morì affermando proprio questo.
Tutto ciò mi riporta direttamente alla mia situazione: sento di avere qualcosa in comune con quel povero uccello. La mia posizione è in totale contrasto con quella di un prigioniero comune che abbia deciso di conformarsi alle regole: io sono un prigioniero politico, un combattente per la libertà. Allo stesso modo dell'allodola anch'io ho combattuto per la mia libertà, non solo in carcere, dove ora mi ritrovo a languire, ma anche fuori, dove il mio paese è tenuto prigioniero.
Sono stato catturato e incarcerato, ma, come l'allodola, anch'io ho visto cosa c'è al di là delle sbarre della mia gabbia.
Ora mi trovo nel Blocco H, dove mi rifiuto di cambiare per adeguarmi a coloro che mi opprimono, mi torturano, mi tengono prigioniero e vogliono disumanizzarmi.
Al pari dell'allodola non ho alcun bisogno di cambiare. E' la mia ideologia politica e i miei principi che i miei carcerieri vogliono mutare. Hanno distrutto il mio corpo e attentato alla mia dignità. Se fossi un prigioniero comune mi presterebbero pochissima, o addirittura nessuna attenzione, ben sapendo che mi conformerei ai loro capricci istituzionali. Ho perso oltre due anni di condono. Non me ne importa nulla. Sono stato privato dei miei vestiti e rinchiuso in una cella fetida e vuota, dove mi hanno fatto patire la fame, picchiato e torturato. Come l'allodola, anch'io ho paura che alla fine possano uccidermi. Ma, oso dirlo, allo stesso modo della mia piccola amica possiedo lo spirito di libertà, che non può essere soppresso neppure con il più orrendo dei maltrattamenti. Certamente posso essere ucciso, ma, fintantoché rimango vivo, resto quel che sono, un prigioniero politico di guerra, e nessuno può cambiare questo. Non abbiamo forse molte allodole in grado di dimostrarlo? La nostra storia ne è stata costellata in maniera straziante: i MacSweeney, i Gaughan, gli Stagg. Ce ne saranno altri nei Blocchi H?
Non posso concludere senza terminare la storia che raccontava mio nonno. Una volta gli chiesi che cosa era accaduto all'uomo malvagio che aveva imprigionato, torturato e ucciso l'allodola. "Figliolo," disse, "un giorno cadde lui stesso in una delle sue trappole, e nessuno gli prestò aiuto per liberarsi. La sua stessa gente lo derise e gli voltò le spalle. Egli divenne sempre più debole e alla fine stramazzò al suolo, per morire sulla terra che aveva fatto marcire con così tanto sangue. Arrivarono gli uccelli e si presero la loro vendetta cavandogli gli occhi, e le allodole cantarono come non avevano mai cantato prima." "Nonno," gli chiesi, "il nome di quell'uomo non era forse «John Bull?»"

sabato 6 aprile 2013

Considerazioni libere (353): a proposito di surplace...

Non so quanti miei lettori siano appassionati di ciclismo, e in particolare di ciclismo su pista. Anche se non lo siete, magari vi sarà capitato di vedere una gara e in particolare quel momento in cui i ciclisti stanno fermi in equilibrio, ciascuno sulla propria bicicletta, in attesa del momento migliore per attaccare e sorprendere l'avversario; adesso i regolamenti vietano che l'utilizzo di questa tecnica, chiamata surplace, duri più di trenta secondi, ma fino a qualche anno fa questa era una tattica molto usata, che poteva durare diversi minuti - leggo su Wikipedia che il record è di un'ora e tre minuti. Personalmente ho sempre trovato quei momenti molto emozionanti, pieni di tensione. Mi pare che la politica italiana sia adesso proprio in un momento di surplace e spero che il mio corridore preferito, Bersani, riesca a beffare gli altri, a lanciarsi in pista e a scattare in avanti. Un bel modo per prendere di sorpresa gli altri sarebbe proporre per il Quirinale un nome "fuori" da quelli detti fino ad ora; io ho fatto, in maniera sommessa, una proposta: Elisabetta Tripodi, una donna del nostro sud, il sindaco di Rosarno, un impegno netto contro la 'ndrangheta.
Comunque, in momenti del genere non c'è molto da fare, bisogna soltanto aspettare e infatti in questa settimana non è sostanzialmente successo nulla di nuovo, almeno nulla di rilevante. E anche queste mie consuete riflessioni del fine settimana sono spigolature, in attesa dello scatto decisivo, che sappiamo avverrà solo dopo il 18 aprile. E' curioso come tutti i commentatori, mentendo più o meno consapevolmente, imputino questi lunghi giorni di impasse all'ostinazione di Bersani: questo la dice lunga sulla mancanza di libertà degli organi di informazione italiani, che ripetono tutti le stesse cose; in parte perché così chiedono i loro editori, diretti od occulti, e in parte perché, da sempre, è più facile seguire l'onda che contrastarla. Come è evidente siamo fermi soltanto a causa della volontà di Napolitano - questa sì ostinata e comprensibile soltanto nel quadro di una ovvia degenerazione senile - di non voler affidare l'incarico a Bersani; ma siccome i commentatori ripetono come un mantra che occorre avere rispetto per il capo dello stato, nessuno ha il coraggio di dire la verità, anche quelli che la capiscono. Naturalmente ci sono quelli a cui questa ostinazione senile fa gioco e sono quelli che lavorano per il governo Pd-Pdl, che quindi approfittano di questa opinione generale sulla presunta saggezza quirinalizia e sulla pigrizia dei giornalisti che ripetono la solita litania. Questi addirittura si spingono a ipotizzare un secondo mandato per Napolitano, che sarebbe davvero la rovina di questo paese. Devo constatare purtroppo che questa falsa opinione su Napolitano è così radicata che ha contagiato anche la stampa estera; ormai negli articoli dei giornali stranieri - almeno quelli che io posso leggere attraverso Internazionale - non manca mai il riferimento alla saggezza di Napolitano. Sono come le maschere della commedia dell'arte: Pantalone è avaro, Brighella furbo, Napolitano saggio.
Il quasi ex-presidente è talmente saggio che ha riunito attorno a sé una congrega di saggi suoi pari. Su questa boutade ormai si è tanto ironizzato che mi pare perfino inutile infierire. Tra qualche giorno, come è giusto, calerà il silenzio sui saggi. Personalmente mi dispiace per Valerio Onida, che persona saggia lo è davvero, e che, per malriposto spirito istituzionale, ha accettato di prender parte a questa pagliacciata, poi pentendosene in forma privata.
La settimana poi si è conclusa con la riunione a porte chiuse dei gruppi parlamentari del Movimento Cinque stelle. Cito questo episodio, in sé non particolarmente rilevante, per sottolineare ancora una volta la vacuità della stampa italiana. Che i quadri di un partito si riuniscano in occasione di passaggi importanti della vita politica e istituzionale non mi pare una cosa molto strana, eppure nelle cronache di ieri e negli articoli di oggi colpisce il livore dei giornalisti verso non tanto quell'appuntamento, ma per il fatto di esserne stati esclusi. Certo ci sono stati aspetti un po' naif, come la trasferta in pullman, con ritrovo presso il baretto di piazza del Popolo e si suppone la "simpatica dimostrazione di prodotti" durante il viaggio, ma mi pare troppo per costruirci servizi e articoli. Devo dire che a me piacciono le facce giovani, anche se un po' spaesate, dei parlamentari Cinque stelle: raccontano un'Italia certamente migliore delle facce livide di quelli del Pdl. Ora, come è noto, io non sono un particolare estimatore di Grillo e dei suoi metodi, ma una cosa davvero mi piace: aver spezzato quella connivenza malata che c'è tra i politici e la stampa. Ai giornalisti politici italiani non serve andare davanti a una sede di partito per sapere le ultime notizie, sono i politici che li chiamano - naturalmente ciascuno chiama i "propri" - per spiegare le proprie ragioni e soprattutto per alimentare quegli articoli che compaiono in tutti i giornali sotto la categoria "retroscena", una delle cose più abiette della stampa italiana. In sostanza la rabbia dei giornalisti davanti ai cancelli dell'agriturismo ieri non era provocata dalla sacrosanta difesa del diritto di cronaca, ma dal malumore per non poter accedere al buffet. Come spesso ripeto e come credo sia sempre giusto ricordare, se l'Italia ha una classe politica mediamente mediocre è perché è un paese mediamente mediocre; i giornalisti italiani non sfuggono a questa regola, anzi.
L'ultima riflessione della settimana riguarda il rinnovato attivismo di Matteo Renzi. La mia antipatia personale per l'uomo e il mio disaccordo politico sono altrettanto noti e probabilmente immaginate già quello che sto per scrivere. Devo ammettere però che in questi giorni ho letto con qualche disappunto gli insulti continui di cui è stato fatto oggetto Renzi, per cose assolutamente marginali, come la sua partecipazione ad Amici o il suo giubbotto di pelle. Ci sono molte ragioni politiche per criticare Matteo Renzi, talmente tante che non sarebbe necessario ricorrere agli insulti. Prima o poi dovremo fermarci un attimo e ragionare sul motivo per cui in Italia la polemica politica finisce sempre per trascendere e cadere nell'insulto gratuito.
Torniamo a Renzi. Al di là delle sue aspirazioni personali, lui rappresenta un'opzione politica radicalmente alternativa a quella di Bersani: era evidente prima delle primarie, in quell'occasione è stato ufficialmente sancito e poi, in maniera piuttosto ipocrita da entrambe le parti, queste differenze sono state tenute nascoste in campagna elettorale. Questa è una forma di ipocrisia piuttosto frequente in politica, che mi è capitato di praticare. Ora, per come l'hanno insegnato a Bersani, a me e a molti altri - ma evidentemente non a Renzi - questa forma di ipocrisia avrebbe dovuto continuare anche in questa fase delicata. Oggettivamente le dichiarazioni di Renzi hanno indebolito Bersani. Ha fatto bene o male? A questo punto non lo so, faccio anche fatica a dirlo, dal momento che io non aderisco al partito di Bersani e di Renzi e anzi ho detto in più occasioni che spero si sciolga, per ricostruire finalmente in Italia un partito socialista, in cui le persone come Renzi non ci siano. Probabilmente questo attivismo del sindaco di Firenze rende più vicina questa scadenza e quindi da un lato mi soddisfa, dall'altro spero che il tentativo di Bersani vada in porto e quindi occorre tutta la forza del Pd, compresa l'irrequieta corrente renziana. Peraltro vedo che l'irrequietezza non è solo di Renzi, ma parecchi esponenti del Pd amano in questi giorni fare dichiarazioni, che forse farebbero meglio a rimanere nei cassetti. Noto ad esempio un certo sospetto attivismo di Franceschini che appare molto di più adesso di quando era capogruppo; evidentemente le due mancate elezioni, a presidente della Camera e a capogruppo, non hanno fatto bene al suo equilibrio. A proposito trovo giusto un rimprovero che Renzi ha fatto a Bersani: i gruppi parlamentari del Pd sono pieni di belle facce, di persone giovani, di molte donne - anche le loro facce mi piacciono molto, come quelle dei grillini; dice, anche polemicamente Renzi, sono quasi tutti bersaniani, li riunisca di più. E' giusto, li coinvolga: i nuovi gruppi parlamentari sono molto più in sintonia con il paese di quella direzione, piena di personaggi "antichi" e costruita con una logica strettamente correntizia, che Bersani riunisce regolarmente e che altrettanto regolarmente Renzi diserta. Io preferirei sentire le dichiarazioni di Roberto Speranza che quelle di Franceschini.
Però è Franceschini che parla e quindi dobbiamo leggere bene le sue parole di oggi, significativamente consegnate al "Corrierone dello zar", organo del "montismo" più rigoroso. Franceschini disegna un quadro preciso per il post-18 aprile, certamente un quadro benedetto da Draghi, Lagarde e compagnia cantante. Al Quirinale una persona "non-ostile" a B., ossia una persona disposta a fermare i processi in corso, se necessario, o magari a concedere la grazia, se accadesse l'irreparabile; Bersani a palazzo Chigi con un esecutivo più tecnico che politico; un esponente del Pdl a capo della convenzione delle riforme, sempre che non si renda disponibile la presidenza del Senato. E poi la nuova legge elettorale, di impronta fortemente maggioritaria, visto che Franceschini e quelli che la pensano come lui, immaginano - credo giustamente - che il Movimento Cinque stelle abbia già conosciuto il suo apice elettorale e quindi sia rapidamente destinato a sgonfiarsi. Poi Renzi vincerà le primarie e tutto si sistemerà. Una buona soluzione? Per l'Italia non credo. Godiamoci allora questo momento di surplace, sempre sperando che lo scatto non sia quello previsto dai "responsabili" di destra e di sinistra.

p.s. C'è un'altra cosa su cui sono d'accordo con Renzi, anche se lui lo dice per fare un po' di sana e gratuita demagogia: a una famiglia come quella di Civitanova Marche - e purtroppo ce ne sono molte così, dove speriamo la disperazione non abbia la meglio - di tutto questo non frega assolutamente nulla. E' questo purtroppo che gli amici del Movimento Cinque stelle non riescono a capire.

giovedì 4 aprile 2013

"A domani" di Mario Benedetti


Sto per chiudere gli occhi a bassa voce
sto per entrare a tentoni nel sonno.
In questo istante l'odio non lavora

per la morte sua povera padrona
la volontà sospende il suo battito
e io mi sento distante, così piccolo

che invoco Dio, ma non gli chiedo
niente, a patto di condividere appena
questo universo che abbiamo conseguito

con le cattive e a volte con le buone.
Perché il mondo sognato non è lo stesso
che questo mondo di morte a piene mani?

Il mio incubo è sempre l'ottimismo:
dormo debolmente, sogno che son forte,
ma il futuro attende.
È un abisso.

Non dirmelo quando mi sveglio.

martedì 2 aprile 2013

"Vincenzina e la fabbrica" di Enzo Jannacci


Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più...
una faccia davanti al cancello che si apre già...

Vincenzina hai guardato la fabbrica
come se non c'è altro che fabbrica.
E hai sentito anche odor di pulito
e la fatica è dentro là...

«Zero a zero anche ieri: 'sto Milan qui,
'sto Rivera che ormai non mi segna più,
che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua...»

Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
e non sa che la vita giù in fabbrica
non c'è,
se c'è
com'è?

cliccate qui per ascoltare questa canzone, nell'interpretazione di Enzo Jannacci