Come noto, ogni giorno ha la sua pena e infatti quotidianamente dobbiamo sorbirci una qualche predica, condita di accenti più o meno apocalittici, sul tempo che l'Italia sta perdendo, perché Bersani - in ostaggio di noi facinorosi "sinistri" della rete - si ostina a non voler fare le larghe intese con quel mite e lungimirante statista di B. e con i suoi accoliti, quelli che - giusto per fare un esempio recente - votarono in massa per affermare che Ruby allora era proprio la nipote maggiorenne di Mubarak (solo in seguito è diventata una prostituta minorenne di nazionalità marocchina, per uno strano ghiribizzo anagrafico). Comunque, per tornare alle geremiadi di questi giorni, c'è chi preferisce richiamarsi a lontani precedenti storici, come il quasi ex presidente, uno che davvero non rimpiangeremo e che la storia giudicherà come uno dei più perniciosi presidenti della nostra storia repubblicana. D'altra parte è comprensibile, a una certa età è più facile ricordare quello che è successo trent'anni fa piuttosto che quello è che successo il giorno prima: e Napolitano evidentemente si è convinto che Moro sia ancora vivo, mentre ha dimenticato che non è ancora morto il suo amico B., purtroppo. Altri invece, come il pragmatico presidente di Confindustria, la mettono sul piano economico e infatti Squinzi ci spiega che stare senza un governo equivale a perdere circa un punto di pil. Devo dire che il presidente di Confindustria, nonostante la bonomia del suo aspetto, ha davvero una faccia di bronzo difficilmente superabile: non passa giorno che non chieda che si faccia il governo, specificando "un qualsiasi governo", e contemporaneamente spiega che il futuro governo deve fare esclusivamente quello che dice lui, ossia scardinare quel poco che è rimasto di tutela dei lavoratori, dopo la cura Monti-Fornero. E' curioso poi che gli alfieri del liberismo più sfrenato, quelli per cui il governo dovrebbe essere leggero - al limite dell'evanescenza - si preoccupino così accanitamente della mancanza di un governo, tanto da chiederne uno "qualsiasi". Evidentemente Squinzi e gli industriali vogliono il "loro" governo "qualsiasi".
Di certi faziosi figuri, come quelli appena citati, sarebbe forse meglio non parlare - fanno semplicemente il loro "sporco" lavoro - se non fosse che il loro giudizio è diventato in questi anni non un legittimo, seppur discutibile, punto di vista di parte - ossia quello della destra conservatrice internazionale - ma "il" comune sentire, l'unica opinione che abbia diritto di cittadinanza e che possa essere diffusa e discussa. Per questi tristi personaggi, così come per la stragrande maggioranza della nostra sedicente classe dirigente - politici, imprenditori, giornalisti, professori universitari, grandi burocrati - per gli attuali problemi dell'economia esiste un'unica soluzione, quella autorevolmente sostenuta da Draghi, da Lagarde e dalla compagnia di giro del turbocapitalismo internazionale: riduzione drastica della spesa pubblica, tagli draconiani al welfare, privatizzazioni e liberalizzazioni, abolizione delle garanzie per i lavoratori. L'unico dibattito ammesso è sulle forme con cui fare queste riforme, se più o meno duramente, se più o meno velocemente, in sintesi con che grado di crudeltà; secondo il mainstreaming la differenza tra destra e sinistra sarebbe unicamente in questa graduazione del modo con cui fare le inevitabili riforme. E infatti l'anziano che occupa le stanze del Quirinale cosa ha fatto in questo momento di stasi? Ha nominato i "saggi". Al di là della giusta ironia che abbiamo fatto su queste mezze figure, questa decisione quirinalizia è indicativa del clima culturale, prima che politico, che c'è in Italia e in Europa. C'è un'unica soluzione alla crisi e se la politica, per suo disdoro, non riesce a trovarla, chiamiamo chi può farlo: tanto la soluzione è già lì, condivisa da tutti. Eh no, cari signori, non è condivisa da tutti, a noi la "vostra" soluzione non va bene. Le soluzioni condivise non esistono, sono solo uno specchietto per le allodole, un espediente retorico, una bugia che, a forza di essere raccontata, è diventata una verità.
In sé poi non si tratta nemmeno di una ricetta originale, sono esattamente le cose che diceva trent'anni fa Margaret Thatcher, come ci ricordano in questi giorni i suoi agiografi più ferventi, i sacerdoti di questa nuova religione iperliberista. C'è però una bella differenza con quegli anni. Thatcher non pretendeva che il suo fosse l'unico punto di vista, sapeva benissimo che c'era una visione politica ed economica opposta alla sua e naturalmente fece tutto quello che era in suo potere per schiacciare quelli che non la pensavano come lei, anche con la forza quando era necessario, e soprattutto con le armi della politica e della cultura politica. Come sappiamo c'è riuscita benissimo, dal momento che tutti i successivi capi di governo della Gran Bretagna - compresi i laburisti purtroppo - le hanno tributato onori non di circostanza e non hanno modificato in maniera sostanziale la sua politica; la sua vittoria più grande è comunque il fatto che trent'anni dopo non c'è altra ideologia se non quella capitalista.
In questi giorni, quasi come una curiosità archeologica, alcuni commentatori hanno ricordato le non poche canzoni di quegli anni in cui diversi artisti inglesi si auguravano la morte di Margaret Thatcher. Per capire le differenze con quel periodo, credo che adesso nessun gruppo rock scriverebbe una canzone augurandosi la morte di Draghi; so che naturalmente molti di voi non la penseranno come me, ma non credo che questo sia un bene. Io credo che ci serva più radicalità, e anche più cattiveria. Loro contro di noi sono cattivi e radicali e noi non lo siamo abbastanza contro di loro. Come disse giustamente qualche anno fa il poeta Edoardo Sanguineti, la lotta di classe c'è ancora, ma ormai si svolge a senso unico: sono loro che fanno la guerra a noi e noi ci siamo arresi.
Siamo ormai sprofondati nella notte in cui tutti i gatti sono bigi. Se davvero c'è un'unica soluzione alla crisi, è comprensibile che per la maggioranza degli italiani, se non si fa il governo, l'introduzione delle inevitabili misure destinate a risolvere la crisi saranno ritardate. Ora abbiamo già visto quale sarà l'esito della loro "cura": il cavallo è destinato a morirne. Disoccupazione, cassa integrazione e precariato continuano a crescere, mentre i redditi da lavoro e i consumi continuano a contrarsi; le aziende, anche quelle più vitali, chiudono, i grandi gruppi industriali, già in crisi, finiscono di sfaldarsi, mentre i mercati si dileguano e chi sa e chi sa fare preferisce andare all'estero; il welfare diventa residuale, la scuola avvizzisce, mentre la miseria dilaga. Purtroppo per loro, questa non è l'unica soluzione. Bisogna solo avere il coraggio di dirlo, e per farlo occorrono radicalità e conflitto. Non dobbiamo avere paura del conflitto. Per questo alcuni di noi sono così risoluti, al limite della testardaggine e della cattiva educazione, a non volere un accordo con quel pezzo di paese, che la pensa diversamente da noi. Questa ostinazione non significa non riconoscere che quel paese c'è. Lo sappiamo purtroppo che c'è, ma noi lo vogliamo combattere. Non vogliamo che continuino a vincere loro. Io non ci credo a soluzioni condivise, tanto più di fronte alla crisi, perché non ci sono eguali responsabilità e non ci può essere una soluzione a somma zero. Se loro vincono, noi perdiamo; e viceversa.
Allora proviamo a dire che un'altra soluzione è possibile. Questa soluzione passa attraverso il rifiuto non dell'euro o dell'Europa - che è una sciocchezza, non a caso agitata dai settori più beceri di questa destra e purtroppo anche da un movimento che si dice "diverso", come il Cinque stelle - ma il rifiuto dei vincoli finanziari imposti dalla Bce, attraverso la lotta vera all'evasione e alla criminalità, ma soprattutto attraverso un nuovo modello produttivo, interamente centrato nella conversione ecologica, perché questa è l'unica capace di progettare il futuro, di creare lavoro vero, e quindi redditi e condizioni di vita meno diseguali. Questa soluzione non può andare bene a tutti. A "loro" non andrà bene: ebbene, ce ne faremo una ragione.
p.s.
Questa retorica delle "soluzioni condivise" è purtroppo così diffusa da diventare pervasiva, è come un virus che si insinua e che contagia ogni livello politico. Nel Comune dove vivo e lavoro, Salsomaggiore Terme, voteremo a fine maggio perché il precedente Sindaco, leghista, è stato sfiduciato in Consiglio dalla sua maggioranza di centrodestra. Da diversi mesi siamo quindi in campagna elettorale - mentre il Comune è retto dal Commissario prefettizio - e questo richiamarsi alle soluzioni condivise risuona come un mantra nei discorsi elettorali di praticamente tutti i candidati. E devo dire che, almeno per me, sta cominciando a diventare parecchio fastidioso; comincio a grattarmi tutte le volte che sento queste parole.
Una persona che tiene un blog molto seguito sulla politica cittadina, un uomo di area centrodestra - e significativamente si è speso per Renzi nella campagna per le primarie e ha votato Grillo alle ultime politiche - ha addirittura detto che occorre un comitato di "saggi", uno per ogni partito o movimento civico che ha un ruolo in città, sostenendo che solo loro sarebbero in grado di trovare queste benedette soluzioni condivise, dettate dalla diligenza del buon padre di famiglia. Naturalmente alcuni dei candidati sostenitori delle soluzioni condivise sono in malafede, perché sono i responsabili consapevoli della crisi della nostra città, ma molti sono in assoluta buona fede e credono sinceramente che sia possibile trovare soluzioni universalmente accettate per risolvere i problemi di Salsomaggiore. E' imperante questa retorica "buonista", che ad esempio è stata il leitmotiv delle primarie del Pd cittdino, a cui io pure ho partecipato da elettore. E su questo sforzo comune per Salsomaggiore si trovano tante energie positive, naturalmente più numerose nei movimenti civici e apolitici, che anzi di questo si fanno forti. Capisco anche l'esigenza tattica di non radicalizzare lo scontro, in una realtà in cui l'elettorato di destra è forte, per quanto manchi di rappresentanza. Io non voglio criticare queste buone intenzioni e alla fine sosterrò qualcuno di queste "brave" persone, ma credo che anche qui sia necessaria una maggiore radicalità, dicendo le cose come stanno. Non ci possono essere soluzioni condivise con quei proprietari che affittano in nero i loro appartamenti agli extracomunitari (salvo poi lamentarsi perché in città ci sono troppi stranieri), con quelli che preferiscono tenere i negozi sfitti piuttosto che abbassare gli affitti stellari di quando a Salsomaggiore c'era tutt'altro turismo, con quelli che si lamentano perché non vengono i turisti e che in questi anni non hanno investito un soldo per migliorare la loro offerta. E non possono esserci soluzioni condivise neppure con quel pezzo di burocrazia - c'è a Salsomaggiore come in tutta Italia - che ha meno voglia di mettersi in gioco, perché tanto si è sempre fatto così. Le soluzioni condivise non sono soluzioni, sono solo un modo per rinviare il problema e per favorire chi adesso, nonostante si lamenti, sta bene e gode di piccoli e grandi privilegi. In questo sì, spero che i candidati a Salsomaggiore, come anche a livello nazionale, siano più radicali.
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