venerdì 18 febbraio 2022

Verba volant (809): rapimento...

Rapimento, sost. m.

Il 13 gennaio 2002 sono tutti in piedi nella piccola sala da centocinquanta posti al 181 di Sullivan Street nel Greenwich Village, uno dei più noti teatri off-Broadway. George W. è presidente da neppure un anno, ma ha già fatto in tempo a cominciare una nuova guerra, questa volta contro l’Afghanistan. Ma quella domenica sera le persone che vanno a vedere quello spettacolo stanno assistendo a un altro evento storico: è l’ultima replica di The Fantasticks. Qualcuno di loro non era neppure nato quando quel musical ha debuttato, in quella stessa sala, il 3 maggio 1960, un martedì. Alla Casa Bianca c’era Eisenhower e l’America, grazie a quel presidente che conosceva molto bene la guerra, stava vivendo un insolito momento di pace. In questi quarantadue anni si sono susseguite 17.162 repliche: un record assoluto che è ancora imbattuto.
D’altra parte la storia raccontata in quel fortunato musical viene da molto più lontano. Il 21 maggio 1894 viene messa in scena a Parigi, presso la Comédie française, una commedia in versi di un giovane drammaturgo di Marsiglia intitolata Les romanesques. Ed Edmond Rostand - quello che diventerà famoso per la storia di un romantico spadaccino - ha attinto a testi molto più antichi, a Shakespeare, a Ovidio, perché le storie di amore sono eterne. E The Fantasticks è semplicemente una storia d’amore.
Anche se l’amore non è affatto semplice.

Luisa e Matt si conoscono fin da bambini perché i terreni dove ci sono le case delle loro famiglie sono confinanti. E crescendo scoprono di essersi innamorati l’una dell’altro, nonostante i loro padri, Bellomy e Hucklebee, siano acerrimi rivali. I due vecchi hanno perfino costruito un muro lungo il confine per impedire che i due giovani possano vedersi: ma quel muro non ferma Luisa e Matt, che riescono comunque a parlarsi e a scambiarsi i segni del loro amore. Sotto lo sguardo soddisfatto dei loro padri che hanno escogitato di essere rivali e hanno costruito quel muro proprio affinché i loro figli si sposassero, unendo finalmente le loro proprietà. Ma visto che i due giovani sembrano ancora esitare, Bellomy e Hucklebee pensano che sia arrivato il momento di fare qualcosa di più deciso: organizzeranno il rapimento di Luisa, una volta che Matt l’avrà salvata, i ragazzi alla fine dovranno sposarsi. Il bandito El Gallo accetta l’incarico, che mette in scena con Herry, un vecchio attore shakespeariano, e il suo aiutante Mortimer, specializzato a fare il morto. Tutto va come previsto: Matt salva Luisa dal rapimento, i due giovani finalmente svelano il loro amore ai genitori, che per festeggiare abbattono il muro. Sono tutti contenti alla fine del primo atto, sembra che la storia sia finita. Solo El Gallo, raccogliendo gli attrezzi di scena, sembra preoccupato di cosa succederà quando, tramontata la romantica luna, tornerà il sole a svelare la vita dei due giovani.
E la nuova vita non è così rosea come si poteva sperare. Cominciano i battibecchi e le recriminazioni e quando Matt e Luisa scoprono che il rapimento è stato una farsa il loro fidanzamento non regge. Un muro torna a dividere le case di Bellomy e Hucklebee. Matt sfida El Gallo a duello, ma, dal momento che non è più una recita, il bandito ha facile gioco a disarmare quel ragazzo che, afflitto, decide di partire per andare a conoscere il mondo. Anche Luisa incontra El Gallo e si infatua di quell’avventuriero, così diverso da Matt, e gli chiede di fuggire insieme. Il bandito accetta, chiedendo in pegno la collana della ragazza, dono della madre morta. Matt, deluso dalle sue avventure – il mondo là fuori non è così bello come se lo immagina – torna a casa e capisce che El Gallo sta seducendo Luisa solo per derubarla. Ed è proprio quello che avviene. I due innamorati, un po’ più maturi, questa volta possono ricominciare a costruire la loro nuova vita insieme. Anche i genitori decidono di smantellare nuovamente il muro, ma El Gallo, che - novello Cyrano - ha fatto tutto questo, rinunciando forse alla possibilità di una tranquilla felicità domestica, per far tornare insieme Luisa e Matt, consiglia loro di tenerlo in piedi. Anche questo settembre finirà. E tornerà dicembre.

Tom Jones e Harvey Schmidt sono coetanei e vengono entrambi dal Texas. Si sono conosciuti all’Università di Austin, il primo studia recitazione e il secondo arte, ma insieme si divertono a comporre canzoni, Tom le parole e Harvey le musiche: sognano di scrivere un musical. Ma poi si laureano e vengono arruolati per la Corea. Congedati, come tutti quelli che vogliono fare gli artisti, vanno a New York. Tom fa qualche piccola parte in spettacoli off-Broadway, tenta di fare il regista, insegna, Harvey si fa conoscere come illustratore su Life e Harper’s Bazaar, ma visto che condividono un piccolo appartamento nell’Upper West Side, nel tempo libero continuano a scrivere canzoni e pensano di adattare la commedia di Rostand in un musical ambientato nel West, sullo stile di Rodgers e Hammerstein. Non sono soddisfatti del loro lavoro, quella piccola commedia non si adatta alla grandezza di un musical di Broadway e così quelle canzoni rimangono per qualche anno nei loro cassetti.
Anche Word Baker viene dal Texas, fa il regista e insegna teatro. Lavora in tanti progetti off-Broadway. Nel 1958 il suo allestimento di Il crogiolo ottiene grandi consensi, anche Arthur Miller e Marilyn Monroe gli scrivono per congratularsi. Un anno dopo il professor Baker deve mettere in scena tre atti unici per la stagione estiva del Barnard College, la sezione femminile della Columbia University, vuole che uno di questi sia un musical e chiede ai suoi vecchi compagni di università quel lavoro su Rostand. In tre settimane Tom e Harvey riscrivono il loro lavoro.
Cambia tutto. Non è più un western, l’ambientazione perde ogni connotazione di tempo e luogo. Il titolo diventa The Fantasticks, perché così nel 1900 George Fleming ha tradotto quello di Rostand: Luisa e Matt sono due romantici sognatori con la testa tra le nuvole. E anche Tom e Harvey, nella New York di Jackson Pollock e Miles Davis, in un mondo sospeso tra quello che c’era prima e una speranza di rinnovamento a cui allora si può ancora credere, sono, a loro modo, dei fantasticks. Riscrivono tutte le canzoni e aggiungono Try to Remember, che viene fatta cantare all’inizio dello spettacolo da El Gallo, che, sulla scia di Brecht e di Marc Blitzstein, diventa anche il Narratore.
Tra chi assiste a quelle rappresentazioni c’è un attore nato a Brooklyn, Lorenzo Noto, che si fa chiamare Lore. Ha solo cinque anni in più di quei due giovani del Texas, quel testo gli piace molto e poi Baker è stato un suo insegnante. La sua carriera di attore stenta, pensa che potrebbe fare il produttore. Non ha soldi, ma in fondo non ne dovrebbero servire molti per mettere in scena quel musical off-Broadway. Word lo ha allestito senza scene, gli attori stanno su una semplice pedana di legno, come hanno fatto quelli del Piccolo Teatro per l’Arlecchino, servono solo otto attori e uno di loro può fare il Muro, come il calderaio nel Sogno, non ci sono ballerini e solo due musicisti, un pianista e un arpista, che suona anche gli strumenti a percussione. Si può fare.
Lore trova quel piccolo teatro nel Greenwich, Tom e Harvey aggiungono qualche canzone per arrivare a due atti. Word accetta di essere il regista. Ed Wittenstein cura scene e costumi: spende 900 dollari per le prime e 541 per i secondi. È sempre lui a studiare le luci e fa anche il direttore di scena. Sul lato di un cartone disegna la luna e sull’altro il sole e lo attacca in cima a uno dei sei pali che sorreggono la tenda che simula il carro di un teatro viaggiante: basta girare il cartone tra il primo e il secondo atto.
Per il ruolo di El Gallo, Lore riesce a ingaggiare un venticinquenne del Bronx dall’aria spavalda con gli occhi chiari e una bella voce, che è già conosciuto nel circuito off-Broadway perché quattro anni prima è stato il Cantastorie nella celebre edizione di The Threepenny Opera con la traduzione di Marc Blitzstein, grazie a cui Lotte Lenya - che interpreta Jenny - ottiene il Tony, la prima e unica volta che un’attrice ottiene questo premio per una produzione off-Broadway. Mentre in quello spettacolo Jerry Orbach canta solo Mack the Knife, qui ha un ruolo da protagonista, il primo di una lunga carriera. Nel 2002 quando The Fantasticks termina la sua lunghissima corsa, il vecchio Jerry è ancora in televisione, interpretando per l’ultima volta il detective Lennie Briscoe in uno dei sequel di Law & Order, e dando la sua voce, con un accento alla Maurice Chevalier, allo spumeggiante Lumière in otto speciali della Disney.
Luisa e Matt sono Rita Gardner e Kenneth Nelson e per entrambi questo musical segna l’inizio di una fortunata carriera a Broadway e nel West End, per il secondo interrotta tragicamente nel 1993 a causa dell’Aids. Kenneth non vedrà finire la corsa The Fantasticks.
Nel cast, nella parte del vecchio attore è accreditato un tal Thomas Bruce, che è lo stesso Tom Jones.
Le recensioni dello spettacolo sono contrastanti. Il successo di The Threepenny Opera - che è ancora in corsa all’inizio del 1960, dopo sei anni di repliche - dimostra che un musical può funzionare anche off-Broadway. Ma certo quello è Kurt Weill. Lore ci crede e decide di tenere in piedi il suo spettacolo. Dopo qualche settimana deve rimpiazzare qualche elemento del cast e interpreta lui stesso la parte di Hucklebee. Lo farà anche dal 1971 fino al 1986, per ben 6.348 repliche, ottenendo un primato nella storia del teatro.
Ma all’inizio degli anni Settanta, passata la breve illusione kennediana, nell’America del Vietnam e del Watergate, The Fantasticks è ormai un classico. Già nel 1961 c’è stata una produzione nel West End. Nel 1964 la NBC trasmette una versione ridotta dello spettacolo, con Ricardo Montalban nella parte di El Gallo e due grandi del teatro in quella dei genitori, Bert Lahr e Stanley Holloway, che noi conosciamo rispettivamente come il Leone codardo e Alfred Doolittle. Poi Try to Remember è diventata uno standard, grazie a The Brothers Four e soprattutto alla splendida voce di Harry Belafonte. E sono numerosissime le produzioni comunitarie e scolastiche: serve davvero poco per allestire questo musical. Quando Obama è diventato presidente e lo spettacolo non è più rappresentato al Sullivan Street Theatre le produzioni sono quasi dodicimila. Nel 1983 viene messo in scena a Milano dal Teatro dell’Elfo.

Nel primo atto c’è un brano che è molto difficile eseguire nell’America del Me Too. Hucklebee e Bellomy chiedono a El Gallo di organizzare il rapimento di Luisa e il bandito offre una specie di campionario, ma ovviamente It Depends On What You Pay. Ma El Gallo usa continuamente la parola rape, che significa propriamente stupro, anche se spiega che usa quel termine in omaggio a The Rape of the Lock di Alexander Pope. Ma certo nel 1946 Benjamin Britten sa bene che significato vuol dare a The Rape of Lucretia. Ma, al di là di questa comunque non secondaria questione lessicale, vi invito ad ascoltare questo brano pensando che El Gallo, come il Capocomico di Amleto, sta mettendo in scena una commedia nella commedia e offre ai suoi improvvisati “produttori” diverse possibilità. Se avessero un po’ più di soldi potrebbero organizzare un rapimento con gli indiani: si sa il western funziona sempre. Poi si può fare un rapimento stile Broadway, ma servono i costumi, un paio di cantanti e un quartetto d’archi, bisogna fare le prove, e per una grande produzione serve un set. Sarebbe bello anche il rapimento veneziano, ma serve una laguna. Siamo off-Broadway, al 181 di Sullivan Street, e non ci sono soldi, solo un bandito, un vecchio attore in disarmo e uno bravo a fare il morto, ma è la magia del teatro e anche quei guitti, senza scene e con costumi improvvisati, possono fare un bello spettacolo.

mercoledì 2 febbraio 2022

Verba volant (808): trucco...

Trucco, sost. m.

Ray Bolger, Jack Haley, Bert Lahr. Probabilmente non conoscete questi nomi e forse non riconoscereste neppure i loro volti, se vedeste delle vecchie foto degli anni Trenta, perché questi tre attori si sono ritagliati un posto nella storia del cinema recitando con trucchi pesanti e buffe maschere. Infatti Ray, Jack e Bert sono rispettivamente lo Spaventapasseri, l’Uomo di latta e il Leone codardo nel classico del 1939 Il Mago di Oz, prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer e diretto da Victor Fleming, un film che tutti, ma proprio tutti, conosciamo almeno per la splendida Judy Garland che canta Over the Rainbow. Pensate che nessuno di loro avrebbe dovuto recitare quel ruolo. E questa è davvero una di quelle vecchie storie di Hollywood che merita di essere raccontata. Ma prima fatemi dire qualcosa di loro.

Raymond Wallace Bolger è nato a South Boston il 10 gennaio 1904. Viene da una famiglia cattolica irlandese, il padre è un imbianchino di prima generazione. Ray cresce a Dorchester tra la strada e la parrocchia, fa tanti lavori, ma ama il vaudeville e sogna di fare il ballerino: e quel suo corpo allungato e snodato sembra adattarsi alla perfezione ai nuovi ritmi dell’età del jazz. A metà degli anni Venti è a New York, è un ottimo ballerino di tip tap e si esibisce nei migliori locali. In pochi anni diventa un nome di cartellone per gli spettacoli di Broadway e il 27 dicembre 1932 è uno degli artisti chiamati a inaugurare il Radio City Music Hall. Poi, come tutti i i giovani attori di quegli anni, decide di andare a Hollywood. Nel 1936 viene messo sotto contratto dalla Metro: è bravo a ballare, canta discretamente, ha l’aria simpatica e scanzonata. Il suo primo film è The Great Ziegfeld, una biografia piuttosto romanzata del produttore Florenz Ziegfeld, interpretato da un sempre elegantissimo William Powell. E Ray interpreta la parte di un macchinista che finalmente ottiene da Ziegfeld il permesso di mostrare le sue doti sul palcoscenico, ovviamente con grande successo. Due anni dopo recita anche in Sweethearts, il primo film in Technicolor della MGM.
Dopo Il Mago di Oz, la carriera cinematografica di Ray non decolla, passa alla RKO, ma lui è un uomo di un’altra stagione, del vaudeville e delle Follies. Torna a Broadway, si esibisce con la Harry James Band, è celebre la sua routine di tip tap in cui “sfida” il pianista dell’orchestra, Al Lerner. Sta facendo proprio quello il 7 dicembre 1941, quando lo spettacolo è interrotto in maniera brusca: i giapponesi hanno attaccato Pearl Harbor. Interpreta ancora qualche film, ma è il teatro a dargli più soddisfazioni: nel 1948 vince il Tony come miglior attore protagonista in un musical per Where’s Charlie?. E poi, come per tanti attori di Broadway, arriva la televisione, è il protagonista della sitcom Where’s Raymond?, che nella seconda stagione viene ribattezzata The Ray Bolger Show. E negli anni Settanta è nel cast del fortunato The Partridge Family. E poi fa pubblicità e grazie alla televisione il suo volto rimane familiare per alcune generazioni di americani, compresi quelli che non erano ancora nati quando faceva lo Spaventapasseri nel regno di Oz. Nel 1985, due anni prima della sua morte, la Metro realizza un film che si intitola That’s Dancing!, dedicato ai grandi numeri di danza nella storia del cinema. Lo produce e realizza Jack Haley Jr., il figlio dell’Uomo di latta, e la Metro vuole che Bolger sia uno dei presentatori, accanto a Liza Minnelli, la figlia di Dorothy.
Anche John Joseph Haley Jr. è nato a Boston, il 10 agosto 1897, da una famiglia di canadesi della Nuova Scozia di origine irlandese. Il padre, che fa il maggiordomo sulle navi da crociera, muore in un naufragio quando lui ha appena sei mesi. Anche il giovane Jack - come lo chiamano in famiglia - comincia a esibirsi nei teatri parrocchiali della sua città. Sa cantare ed è anche bravo a ballare. Ha il viso tondo, gli occhi grandi, l’aria un po’ ingenua del bravo ragazzo, nel vaudeville il suo personaggio funziona, ma anche per lui presto arriva il cinema. È perfetto per i film musicali, magari non ha il fisico del protagonista, ma è un ottimo comprimario. La Twenty Century-Fox lo mette sotto contratto: interpreta due film accanto alla stella dello studio, la piccola Shirley Temple, tra cui il successo Poor Little Rich Girl, alcuni altri film e poi Alexander’s Ragtime Band, una storia esile, ma con alcune splendide canzoni di Irving Berlin. I protagonisti sono i belli Tyrone Power e Don Ameche, ma Jack ha due canzoni. Nel ’36 recita in un film musicale - anche qui cantando due canzoni - Pigskin Parade, anche questo non memorabile, ma in cui lavora anche una giovane attrice che farà strada, la più piccola delle sorelle Gumm, che ha scelto come nome d’arte Judy Garland. Intanto Jack lavora anche alla radio, per due stagioni conduce il The Jack Haley Show, avendo come ospiti fissi Gale Gordon e Lucille Ball.
Dopo Il Mago di Oz Jack Haley continua a fare alcuni film musicali, specialmente per la RKO, nel ’44 recita accanto al giovane Frank Sinatra in Higher and Higher - ottenendo anche in questo caso due numeri musicali, nonostante le resistenze dell’astro nascente che vorrebbe tutte le canzoni per sé e impone siano sostituite quelle composte da Rodgers e Hart per lo spettacolo teatrale da cui è tratta la sceneggiatura, perché non si adattano alle sue capacità vocali. Jack fatica a trovare ruoli adatti a lui e dopo una lite con i dirigenti dello studio decide di ritirarsi per dedicarsi all’attività di immobiliarista. Nel 1977 ritorna brevemente davanti alla macchina da presa. È proprio lui, anche se non è accreditato nei titoli, il Master of Cerimonies che presenta la diva Francine Evans che canta Happy Endings. Il film è New York, New York e quell’attrice dagli occhi grandi è la moglie di suo figlio Jack Jr., ma soprattutto è la splendida figlia di Dorothy.
Irving Lahrheim è il più vecchio dei compagni di Dorothy, e, a differenza di loro, non è un irlandese di Boston. È nato a New York il 13 agosto 1895 in una famiglia di ebrei tedeschi di prima generazione. Cresce nel quartiere ebraico dell’Upper East Side, a quindici anni abbondona la scuola e entra in una compagnia di burlesque. Non è un bello, ma canta bene e soprattutto è molto simpatico. Dopo parecchia gavetta nel circuito dei piccoli locali di vaudeville, Bert Lahr - questo è il nome che sceglie per calcare le scene - finalmente nel 1927 debutta nel suo primo spettacolo musicale a Broadway, poi viene notato da Florenz Ziegfeld che lo vuole in alcune riviste e da allora la sua carriera segna un successo dopo l’altro. Nel 1936 è il protagonista di The Show Is On, insieme alla grande attrice inglese Beatrice Lillie, con cui lavorerà altre volte: una grande coppia del musical. Bert va anche a Hollywood, interpreta alcuni film musicali, tra cui Flying High, che è già stato un suo successo a Broadway.
Dopo Il Mago di Oz anche lui ritorna a Broadway, perché quello è il suo regno. Alla fine del ’39 Bert è il protagonista, insieme alla regina del musical Ethel Merman, di DuBarry Was a Lady, con le canzoni composte da Cole Porter: la loro interpretazione di Well, Did You Evah! rimane un classico. La sua carriera teatrale è molto lunga, anche perché Bert sa alternare con successo spettacoli musicali e in prosa, e non ha paura di rischiare. Dal 1946 al ’48 ha la parte di Skid, un comico dell’età del vaudeville, nel revival del musical Burlesque. Poi recita in Two on the Aisle, che Betty Comden e Adolph Green scrivono per lui: è esilarante quando indossa i panni della Regina Vittoria. Nel 1956 vuole portare in scena, per la prima volta negli Stati Uniti, Waiting for Godot: Bert interpreta Estragon, mentre Vladimir è un altro celebre attore teatrale, Tom Ewett, che però noi ricordiamo per essere il marito di Quando la moglie è in vacanza, rapito - come tutti noi - da quella gonna sollevata dallo spostamento d’aria quando passa la metropolitana. Il dramma di Beckett è un fiasco e lo spettacolo non arriva neppure a Broadway. L’anno dopo, cambiato il regista e il coprotagonista - E.G. Marshall - lo spettacolo viene messo in cartellone a Broadway, ottenendo un buon successo, anche perché Lahr viene lasciato libero di dare il proprio tono al personaggio. Nel 1960 è Bottom in un’acclamata edizione del Sogno di una notte di mezza estate e nel ’64 vince il Tony come miglior attore protagonista di un musical per Foxy. E anche per lui c’è la televisione e la pubblicità: è lui che per anni reclamizza le patatine Lay’s nelle case degli americani. Sabato 3 novembre 1956 la CBS trasmette Il Mago di Oz: è la prima volta che un film di Hollywood viene trasmesso completo in prima serata su una rete televisiva coast to coast. A presentare la serata, sponsorizzata dalla Ford, viene chiamato proprio Bert. Accanto a lui appare per qualche minuto una bambina di dieci anni. C’è una foto di quella ragazzina che guarda rapita quelle immagini: sua madre è Dorothy. 

Adesso però vi devo raccontare di come Ray, Jack e Bert sono diventati quei tre indimenticabili personaggi.
Ray Bolger è sotto contratto con la Metro e deve accettare tutte le parti che gli vengono proposte. Naturalmente è felice che lo studio lo abbia scelto per Il Mago di Oz, è una delle produzioni più importanti dell’anno e poi ritroverà sul set la grande Billie Burke, nei panni di Glinda, la strega buona del nord: Billie è la moglie di Ziegfeld, era l’incontrastata regina delle Follies. A Ray però dispiace che gli abbiano dato il ruolo dell’Uomo di latta, gli sarebbe piaciuto fare lo Spaventapasseri: quella sì che è la parte per un ballerino “snodato” come lui. Ma la Metro ha sotto contratto anche il ballerino dell’Illinois Buddy Ebsen, a cui ha già assegnato quel ruolo. I due attori sono amici e decidono di scambiarsi le parti. E così Ray Bolger diventa lo Spaventapasseri. Ed è felice, perché può cantare e soprattutto ballare, anche se la sua lunga routine di danza alla fine della canzone If I Only Had a Brain, nel momento in cui incontra per la prima volta Dorothy, viene completamente tagliata. Gli spettatori la potranno vedere solo in Thats’s Dancing!, quasi cinquant’anni dopo.
Buddy si prepara alla parte dell’Uomo di latta, prova i costumi e incide le canzoni, sia quelle interpreta con Dorothy e i suoi compagni di avventura che quella da solista, If I Only Had a Heart. Cominciano le riprese, ma dopo dieci giorni si devono fermare: Buddy sta malissimo, la polvere di alluminio che copre la sua faccia gli provoca una grave reazione allergica. Ha una crisi respiratoria acuta e viene trasferito in ospedale. La Metro non può fermare la produzione e così ingaggia Jack Haley. Per evitare altri rischi i truccatori abbandonano la polvere, ogni giorno il viso di Jack viene ricoperto di uno spesso strato di cerone e poi di una pasta di alluminio. Chissà che roba era: Jack ha un’infiammazione agli occhi, ma si ferma solo quattro giorni e così il film va avanti. Registra nuovamente If I Only Had a Heart, ma non c’è tempo per fare di nuovo i quartetti e quindi la voce di Buddy rimane in We’re off to See the Wizard. Ci vorrà un po’ di tempo a Buddy a riprendersi, ma per fortuna la sua carriera continua. E tutti lo ricordate come il triste e innamorato texano di Colazione da Tiffany e il severo investigatore Barnaby Jones nella fortunata serie televisiva degli anni Settanta.
Quando si tratta di scegliere chi può fare il Leone codardo, i produttori pensano di avere la soluzione a portata di mano: hanno già sotto contratto Tanner, il sesto dei leoni della Metro, quelli che ruggiscono a inizio di tutti i loro film. Tanner ha cominciato a lavorare per lo studio nel 1934, quando la Metro ha cominciato a produrre i film in Technicolor. A dire il vero all’inizio del Mago di Oz c’è Jackie, il secondo leone, perché, anche se a colori, i titoli di testa e di coda, come le scene ambientate in Kansas, sono in bianco e nero seppiato. Però per le scene del film Tanner può andare, ovviamente andrà doppiato, quando c’è da parlare e da cantare. In fondo anche Terry è sotto contratto della Metro, prende 125 dollari a settimana, di più di molti degli attori impegnati nel Mago di Oz. Terry partecipa nella sua carriera a ben sedici film e nella pellicola diretta da Fleming interpreta magistralmente la parte di Toto. Far recitare Tanner si rivela molto più complicato, e poi gli altri attori non si sentono a loro agio a stare accanto a lui. È così che Bert Lahr ottiene il posto, sa cantare ed è simpatico. Perfino troppo: Judy spesso scoppia a ridere alle sue gag improvvisate durante le riprese, costringendo a girare le scene molte volte.
In questo modo Ray, Jack e Bert ottengono le loro parti e meritatamente un posto nella storia. Una piccola curiosità: nella versione italiana, quando cantano, sono doppiati rispettivamente da Virgilio Savona, Felice Chiusano e Tata Giacobetti. Ovviamente Lucia Mannucci canta le parti di Dorothy, tranne Over the Rainbow che rimane in originale. 

Bert Lahr muore a New York il 4 dicembre 1967, il figlio John qualche anno dopo racconta la storia della sua vita in un libro che si intitola Notes on a Cowardly Lion. Jack Haley muore a Los Angeles il 6 giugno 1979, qualche anno dopo esce la sua autobiografia Heart of the Tin Man. Ray Bolger muore, anche lui a Los Angeles, il 15 gennaio 1987: è l’ultimo superstite del cast. Qualche anno dopo esce la sua biografia, More than a Scarecrow. Perché per quanto abbiano fatto nella vita, Ray, Jack e Bert saranno sempre, per tutti noi, lo Spaventapasseri, l’Uomo di latta e il Leone codardo che cantano lungo il sentiero dorato.