Siamo destinati a morire di questa cura? A questo punto mi pare di sì; anche perché nell'ex-Pd ha definitivamente vinto la componente non di sinistra - su cui ha ormai messo cappello il "blairiano" Renzi - e perché l'eversore di destra, che tendenzialmente sarebbe contrario all'operazione, è ostaggio dei propri problemi giudiziari e quindi entrambi i partiti sono succubi della minoritaria componente di Napolitano, che, pur avendo sonoramente perso le elezioni, continua a tenere banco. Gli "europei", per essere certi che né l'eversore né un'improbabile rediviva sinistra di governo decidano di cambiare le carte in tavola, hanno poi stravolto - con un vero e proprio colpo di mano - la Costituzione, introducendo l'obbligo del pareggio di bilancio. A questo punto per trovare, ogni anno, i 125-140 miliardi di euro necessari per pagare il nostro debito sarà necessario da un lato introdurre nuove tasse, magari indirette - come l'Iva - che colpiscono tutti allo stesso modo (o il malefico aumento della marca da bollo, che costringe noi poveri ufficiali d'anagrafe a taglieggiare i cittadini, pretendendo 16 euro per un misero foglio di carta), e facendone pagare sempre di più a chi già le paga, e dall'altro lato tagliare senza pietà sulla spesa pubblica, ossia sanità e pensioni, scuola e ricerca, salvaguardia del territorio e del patrimonio artistico. Come accadeva a Cirene, prima che arrivasse san Giorgio, il drago ha sempre bisogno di sacrifici umani, perché - come ci dicono i nostri governanti - a questo "non c'è alternativa". E ormai ci siamo abituati a questo ritornello e pensiamo davvero che l'alternativa non sia possibile. Magari qualcuno spera che arriverà un altro san Giorgio, ma nell'attesa qualcosa dovremmo pur tentare, almeno dicendo, tutte le volte che ne avremo la possibilità - e saranno sempre meno - che non siamo d'accordo e che non lo stanno facendo in nostro nome. Corriamo il rischio di assuefarci a un meccanismo economico che contemporaneamente distrugge senza tregua il tessuto produttivo e mina le istituzioni democratiche. Guardate quello che sta succedendo: da un lato chiudono le imprese, si perdono posti di lavoro, le persone che sanno e che sanno fare vanno in altri paesi, e dall'altro lato diminuisce il ruolo del parlamento, vengono di fatto chiusi i comuni, si ascoltano sempre meno gli elettori, che a loro volta, tendono a disertare le urne. E' una spirale a cui dobbiamo opporci, trovando il modo di fare "resistenza".
Di fronte a una situazione del genere però bisogna pensare a interventi radicali, il maquillage non può più bastare. Ci sono cose che andrebbero fatte, e subito. Va bene rinunciare all'acquisto degli F-35; naturalmente questo significa ripensare completamente alla nostra politica estera e alle missioni militari, perché - come si dice nelle nostre campagne - non si può andare a messa e stare a casa. Va bene rinunciare alle grandi opere, dai sogni irrealizzabili - per i quali però abbiamo già speso troppi soldi - come il ponte sullo stretto ai progetti realizzabili, ma inutili, come la Tav. Va bene tagliare le centomila pensioni oltre i 90mila euro: vorrebbe dire risparmiare 13 miliardi all'anno, basterebbero ampiamente per Imu e Iva. Va bene recuperare davvero l'evasione fiscale. Guido Viale ha calcolato che l'attuale debito pubblico "è meno della somma dell'evasione fiscale e degli interessi sul debito degli ultimi 20-25 anni: e in gran parte, probabilmente, i beneficiari sono gli stessi". Questo è il programma, già scritto, di un futuribile governo dell'alternativa, di un governo davvero di sinistra.
Siamo al punto però che neppure questo programma può essere sufficiente. Bisogna ristrutturare il debito, ossia decidere - insieme a tutti gli altri paesi che sono nella nostra stessa situazione - che questo debito non può essere pagato, nei tempi e nelle forme imposte dalla autorità internazionali. Quindi o paghiamo meno interessi e in più tempo oppure falliamo e non paghiamo nulla. E, insieme alla ristrutturazione del debito, occorre una riconversione che metta al centro l'obiettivo della sostenibilità. Cito ancora una volta Guido Viale:
Tutto ciò richiede produzioni e consumi ecologici e processi che esigono decentramento e ridimensionamento degli impianti, la loro differenziazione in base alle caratteristiche del territorio, la partecipazione ai processi decisionali di maestranze, cittadinanza attiva e governi locali e, soprattutto, riterritorializzazione (cioè rilocalizzazioni): attraverso accordi diretti tra produttori e consumatori o utilizzatori che non annullano certo le funzioni del mercato, ma che le regolano e lo sottraggono, senza cadere nel protezionismo, a quella competitività selvaggia e globalizzata che è solo una corsa verso il sempre peggio.E' una strada possibile, difficile, ma che potrebbe portarci fuori dalla catastrofe: l'unico modo per uccidere alla fine il drago.