venerdì 28 giugno 2013

Considerazioni libere (370): a proposito di miliardi che mancano...

A leggere le cronache di questi giorni pare che le sorti nostre e del nostro paese dipendano da due semplici voci di bilancio: l'Imu sulla prima casa e l'aumento di un punto di Iva. Secondo quelli che di mestiere fanno i conti ciascuno di questi due punti equivarrebbe a circa 4 miliardi di euro. Quindi, ammesso che i loro conti siano esatti - e non diventino marchesi nei meandri del bilancio dello stato - con soli 8 miliardi si aggiusterebbe tutto: niente aumento dell'Iva, niente Imu sulla prima casa e finalmente i ristoranti ritornerebbero pieni, come quando c'era lui. Forse questi benedetti 8 miliardi sono importanti per la vita del secondo governo Napolitano, ma visto che a me di questo governo e della sua durata non importa nulla - anzi, prima si chiude questa farsa, meglio è per tutti - credo sarebbe meglio dare un'occhiata ai numeri "veri", ossia a quelli che incidono davvero sulle nostre vite e che sono, purtroppo, un po' più alti di queste mance. Mentre siamo tutti qui a discutere di questi 8 miliardi, mi pare che nessuno voglia ricordare che ogni anno il nostro stato deve riuscire a pagare 80-90 miliardi di interessi a coloro che - e sono in genere banche e istituti finanziari - detengono il nostro debito pubblico. Dall'anno prossimo - e per vent'anni - a questi 80-90 miliardi ne dovremo aggiungere, ogni anno, altri 45-50, per riportare, appunto in vent'anni, il debito pubblico al 60% del pil. Questa autentica mannaia è stata approvata dal parlamento delle larghe intese - in sordina e praticamente senza dibattito - durante i mesi del primo governo Napolitano, ed è stata chiamata con un eufemismo - naturalmente in inglese, perché fa più tecnico - fiscal compact. Si tratta della "tempesta perfetta": a causa della crisi - che ogni anno sarà più grave, proprio a causa di questi provvedimenti - il pil è destinato a calare e quindi il debito a crescere, per cui l'obiettivo di riportare il debito al 60% del pil si allontanerà, anno dopo anno. E' quello che sta succedendo in Grecia e che succederà tra pochissimo anche in Italia, "commissariata" di fatto dalle stesse autorità finanziarie internazionali che agiscono nel paese ellenico.
Siamo destinati a morire di questa cura? A questo punto mi pare di sì; anche perché nell'ex-Pd ha definitivamente vinto la componente non di sinistra - su cui ha ormai messo cappello il "blairiano" Renzi - e perché l'eversore di destra, che tendenzialmente sarebbe contrario all'operazione, è ostaggio dei propri problemi giudiziari e quindi entrambi i partiti sono succubi della minoritaria componente di Napolitano, che, pur avendo sonoramente perso le elezioni, continua a tenere banco. Gli "europei", per essere certi che né l'eversore né un'improbabile rediviva sinistra di governo decidano di cambiare le carte in tavola, hanno poi stravolto - con un vero e proprio colpo di mano - la Costituzione, introducendo l'obbligo del pareggio di bilancio. A questo punto per trovare, ogni anno, i 125-140 miliardi di euro necessari per pagare il nostro debito sarà necessario da un lato introdurre nuove tasse, magari indirette - come l'Iva - che colpiscono tutti allo stesso modo (o il malefico aumento della marca da bollo, che costringe noi poveri ufficiali d'anagrafe a taglieggiare i cittadini, pretendendo 16 euro per un misero foglio di carta), e facendone pagare sempre di più a chi già le paga, e dall'altro lato tagliare senza pietà sulla spesa pubblica, ossia sanità e pensioni, scuola e ricerca, salvaguardia del territorio e del patrimonio artistico. Come accadeva a Cirene, prima che arrivasse san Giorgio, il drago ha sempre bisogno di sacrifici umani, perché - come ci dicono i nostri governanti - a questo "non c'è alternativa". E ormai ci siamo abituati a questo ritornello e pensiamo davvero che l'alternativa non sia possibile. Magari qualcuno spera che arriverà un altro san Giorgio, ma nell'attesa qualcosa dovremmo pur tentare, almeno dicendo, tutte le volte che ne avremo la possibilità - e saranno sempre meno - che non siamo d'accordo e che non lo stanno facendo in nostro nome. Corriamo il rischio di assuefarci a un meccanismo economico che contemporaneamente distrugge senza tregua il tessuto produttivo e mina le istituzioni democratiche. Guardate quello che sta succedendo: da un lato chiudono le imprese, si perdono posti di lavoro, le persone che sanno e che sanno fare vanno in altri paesi, e dall'altro lato diminuisce il ruolo del parlamento, vengono di fatto chiusi i comuni, si ascoltano sempre meno gli elettori, che a loro volta, tendono a disertare le urne. E' una spirale a cui dobbiamo opporci, trovando il modo di fare "resistenza".
Di fronte a una situazione del genere però bisogna pensare a interventi radicali, il maquillage non può più bastare. Ci sono cose che andrebbero fatte, e subito. Va bene rinunciare all'acquisto degli F-35; naturalmente questo significa ripensare completamente alla nostra politica estera e alle missioni militari, perché - come si dice nelle nostre campagne - non si può andare a messa e stare a casa. Va bene rinunciare alle grandi opere, dai sogni irrealizzabili - per i quali però abbiamo già speso troppi soldi - come il ponte sullo stretto ai progetti realizzabili, ma inutili, come la Tav. Va bene tagliare le centomila pensioni oltre i 90mila euro: vorrebbe dire risparmiare 13 miliardi all'anno, basterebbero ampiamente per Imu e Iva. Va bene recuperare davvero l'evasione fiscale. Guido Viale ha calcolato che l'attuale debito pubblico "è meno della somma dell'evasione fiscale e degli interessi sul debito degli ultimi 20-25 anni: e in gran parte, probabilmente, i beneficiari sono gli stessi". Questo è il programma, già scritto, di un futuribile governo dell'alternativa, di un governo davvero di sinistra.
Siamo al punto però che neppure questo programma può essere sufficiente. Bisogna ristrutturare il debito, ossia decidere - insieme a tutti gli altri paesi che sono nella nostra stessa situazione - che questo debito non può essere pagato, nei tempi e nelle forme imposte dalla autorità internazionali. Quindi o paghiamo meno interessi e in più tempo oppure falliamo e non paghiamo nulla. E, insieme alla ristrutturazione del debito, occorre una riconversione che metta al centro l'obiettivo della sostenibilità. Cito ancora una volta Guido Viale:

Tutto ciò richiede produzioni e consumi ecologici e processi che esigono decentramento e ridimensionamento degli impianti, la loro differenziazione in base alle caratteristiche del territorio, la partecipazione ai processi decisionali di maestranze, cittadinanza attiva e governi locali e, soprattutto, riterritorializzazione (cioè rilocalizzazioni): attraverso accordi diretti tra produttori e consumatori o utilizzatori che non annullano certo le funzioni del mercato, ma che le regolano e lo sottraggono, senza cadere nel protezionismo, a quella competitività selvaggia e globalizzata che è solo una corsa verso il sempre peggio.
E' una strada possibile, difficile, ma che potrebbe portarci fuori dalla catastrofe: l'unico modo per uccidere alla fine il drago.

Nessun commento:

Posta un commento