sabato 15 gennaio 2022

Verba volant (807): crociera...

Crociera
, sost. f.

Sono anni che Mary sogna di fare una crociera in Messico, come quelle che si vedono il sabato sera sulla ABC. Ma George non avrebbe mai rinunciato alla rassicurante routine delle loro vacanze al lago: per fortuna ha vinto un viaggio-premio per la sua capacità di venditore. La nave è davvero grande e scintillante: Mary è al settimo cielo. Ma cosa succede laggiù? Cos’è quell’agitazione? In quel viaggio, il duecentesimo della Pacific Princess, c’è un ospite prestigioso: Andy Warhol che sta cercando un volto per il suo prossimo ritratto. George alza le spalle: quella non è arte, e quello è solo un sopravvalutato hippy newyorchese. Mary è stranamente agitata: George pensa che sia l’emozione per quella crociera. Invece quella brava casalinga del Kansas ha un segreto che non ha mai osato confessare al marito. Da giovane sognava di fare l’attrice ed è stata per qualche tempo a New York. E una ragazza che a New York nella prima metà degli anni Sessanta vuole fare l’attrice non può non capitare al 231 East della 47esima Strada. Andy appena vede quella giovane bellezza del Kansas che si fa chiamare Marina Del Rey, le chiede di essere la protagonista di uno dei suoi strani film, la modella dai capelli verdi di White Giraffe. Con questo sconosciuto cortometraggio comincia e finisce la carriera di Marina, e, dopo molti provini andati male, Mary decide di tornare in Kansas: quei mesi nella New York bohémienne della Factory rimangono il suo inconfessato segreto. 
Ma adesso cosa succederà? Andy appena la vedrà si ricorderà di lei. Quella crociera è cominciata proprio male. Andy gira continuamente per i ponti della nave con la sua grossa macchina fotografica a tracolla e Mary sa che non riuscirà a evitare quell’incontro. Che infatti avviene: Andy scatta una foto a quella donna che sembra non condividere il divertimento degli altri viaggiatori, ma non la riconosce. E Mary ci sta male: è così cambiata? E pensa con tristezza che sono passati vent’anni: Andy non può certo riconoscere in quella matura signora del Kansas la ragazza dai capelli verdi di quei giorni lontani, e spensierati.

Sabato 12 ottobre 1985 l’ABC trasmette il terzo episodio della nona stagione di una delle sue serie di maggior successo, Love Boat. Quell’episodio nel 1997 sarà classificato all’82esimo posto nella classifica di TV Guide sui 100 Greatest Episodes of All Time. È dal settembre del 1977 che il pubblico americano si è appassionato alle avventure, per lo più sentimentali, dell’equipaggio guidato dal capitano Merrill Stubing. Anche in Italia conosciamo bene quella serie: infatti dal 1° giugno 1980 Canale 5 ha cominciato a trasmettere gli episodi di quel telefilm, con la sigla, Profumo di mare, cantata da Little Tony, che ha sostituito quella originale interpretata da Jack Jones. La curiosità degli spettatori è quella di scoprire, durante la sigla, chi saranno i passeggeri di quella breve crociera lungo le coste californiane, fino alle allora per noi sconosciute città messicane di Puerto Vallarta e Capo San Lucas. Perché in quei dieci anni praticamente tutta Hollywood ha fatto un viaggio sulla Pacific Princess: ben trentadue premi Oscar, compresa Janet Gaynor, la prima attrice a ricevere il premio nel 1929. D’altra parte in ciascuno dei duecentocinquanta episodi ci sono almeno dai cinque ai dieci passeggeri, le cui storie si intrecciano con quelle dell’equipaggio: dalle vecchie glorie della Golden Age di Hollywood agli attori emergenti che si stanno facendo le ossa nelle sitcom degli anni Ottanta, tutti vogliono imbarcarsi sulla lussuosa nave da crociera guidata da Aaron Spelling, il produttore televisivo che nella sua lunga e prolifica carriera ha realizzato, oltre a Love Boat, Starsky & Hutch, Charlie’s Angels, Dynasty, Melrose Place, Streghe e decine di altre fortunate serie.
A metà degli anni Ottanta Aaron sa che, passato il traguardo delle duecento puntate, ormai il suo transatlantico deve gettare definitivamente l’ancora, ma per quegli episodi della nona serie vuole solo grandi cast. Anche la sigla cambia, o meglio cambia l’interprete: in quelle puntate Love Boat viene cantata da Dionne Warwick. Per il terzo episodio ingaggia davvero nomi molto noti agli spettatori. C’è Andy Griffith, il popolare sceriffo, vedovo con un figlio piccolo (un esordiente Ron Howard), della serie degli anni Sessanta The Andy Griffith Show, e che nel 1986 tornerà al successo interpretando l’avvocato Matlock, una sorta di Perry Mason della Georgia, nell’omonimo telefilm. Poi c’è Cloris Leachman, in televisione notissima come Phyllis, una delle amiche di Mary Tyler Moore, e quindi protagonista in uno degli spin-off di quel fortunato show, e per gli appassionati di cinema l’indimenticabile Frau Blücher di Frankenstein Junior e il premio Oscar 1972 come attrice non protagonista nel film di Peter Bogdanovich L’ultimo spettacolo. E ancora c’è Milton Berle, un nome che a noi non dice molto, ma che nell’America degli anni Cinquanta è conosciuto come Mr Television.
Milton è un comico e una star della radio, conduce molti programmi, tra cui, negli anni Quaranta The Texaco Star Theatre sulla NBC. Quando la rete decide di portare quello spettacolo in quella nuova radio con le immagini che sta entrando nelle case degli americani, la simpatia di Milton ha un ruolo importante nel lanciare il nuovo mezzo e contribuisce a far aumentare la vendita di televisori negli Stati Uniti. Il Texaco Star Theater mantiene per molti anni il primo posto nella classifica dei programmi più seguiti, con uno share di quasi l’80 per cento; alcuni teatri e ristoranti arrivano a chiudere il martedì sera, quando va in onda lo show. Nel 1951 la NBC offre a Milton un contratto di esclusiva per trent’anni, ma il suo successo si rivela presto effimero, i gusti del pubblico televisivo cambiano in fretta, nel 1953 la Texaco ritira la sponsorizzazione e tre anni dopo il programma chiude definitivamente, non prima di aver avuto come ospite quel ragazzo di Memphis che fa una musica nuova, destinata a cambiare il mondo. Milton non può più fare show televisivi, a causa di quel contratto di esclusiva con la NBC, ma si esibisce in locali e night e recita in qualche film: nel 1984 Woody Allen lo vuole in Broadway Danny Rose, dove interpreta se stesso, un film in cui si racconta l’epoca gloriosa dei comici ai tempi della nascente televisione.
Aaron Sperling per quella puntata vuole qualcosa di più, vuole qualcuno che il pubblico non si aspetterebbe proprio di incontrare sui ponti di quella nave di lusso, tra belle ragazze in bikini e vecchie star di Hollywood. È così che Andy Warhol, il celebre autore dei quadri seriali con il volto di Marilyn e il barattolo della Campbell, si imbarca, nella parte di se stesso che cerca una modella per il suo nuovo ritratto. Probabilmente una parte degli spettatori non sapeva neppure chi fosse quello strano personaggio con i capelli argentati e i grandi occhiali oppure, come il conservatore marito di Mary, lo considerava una specie di fenomeno da baraccone. Ma l’artista che ha detto “I love Hollywood. They’re so beautiful. Everything’s plastic, but I love plastic. I want to be plastic” non poteva non fare un viaggio su quella nave diventata una dei simboli degli anni Ottanta. Trovato l’artista, serve trovare gli attori che possono interpretare la coppia, il marito conservatore e la moglie dal passato “scandaloso”. Aaron pensa che sarebbe perfetto se fossero due attori che gli spettatori conoscono già come marito e moglie. E chi meglio della coppia d’oro della televisione americana, quella che per undici stagioni e 255 episodi è entrata nelle case degli americani insieme ai loro figli e a The Fonz? E così Marion Ross e Tom Bosley vengono ingaggiati per interpretare Mary e George Hammond, creando quindi uno dei cast più sfolgoranti dell’intera serie.
Tom Bosley, prima di diventare il più famoso ferramenta americano, ha cominciato la sua lunga e fortunata carriera a teatro, avendo un notevole successo - e vincendo un Tony - per la sua interpretazione del sindaco di New York La Guardia nel musical Fiorello! del 1959, e poi al cinema, anche se non aveva il fisico dell’eroe, come l’amico Paul Newman, con cui ha iniziato a recitare a Chicago alla fine degli anni Quaranta nella compagnia della Woodstock Opera House. Ma è soprattutto la televisione che lo farà conoscere, tante partecipazioni fino al ruolo di Howard Cunningham. 
E anche per Marion Ross, una bella ragazza del Minnesota, che vuole sfondare a Hollywood, dopo qualche piccola parte al cinema, arriva la televisione. Partecipa anche lei a diverse serie, e finalmente nel 1974 diventa la più famosa madre di famiglia americana, quasi il prototipo della casalinga degli anni Sessanta. Ma chissà, forse anche la dolce Marion Kelp coniugata Cunningham - che però è la vera capofamiglia e l’unica che sa tenere testa anche a quel bulletto dal giubbotto di pelle - ha un passato segreto che tiene nascosto a Howard.
In Love Boat Marion ritrova anche suo nipote Roger Philips, che dalla settima stagione di Happy Days, quando esce Richie, si trasferisce dai Cunningham. L’attore Ted McGinley infatti dalla settima stagione della serie prodotta da Spelling interpreta Ace, il biondissimo fotografo della nave, che lascerà per entrare nel cast di Dynasty.
Marion è però destinata a tornare presto sulla Pacific Princess. Infatti il 22 febbraio dell’86 si imbarca nuovamente, interpretando questa volta la signora Emily Haywood, una vedova che si innamora, ricambiata, del capitano Stubing, anche lui da tempo vedovo. Così la vedremo per alcune altre puntate fino a quando, dopo un breve fidanzamento, diventerà la signora Stubing. E quindi navigheranno insieme nelle ultime puntate “speciali”, fino al duecentocinquantesimo episodio. E in una di queste puntate - quella del 27 febbraio 1987 - accanto a Julie Harris, l’acclamata vincitrice di ben cinque Tony, una delle grandi regine di Broadway, a Carol Channing, la prima interprete in teatro di Hello, Dolly!, a Don Knotts, lo sciocco vicesceriffo di Andy Griffith, Marion torna a recitare con Tom Bosley e anche con Milton Berle, che interpreta se stesso.
Peraltro per Marion non è il primo viaggio negli oceani accanto a Gavin MacLeod, l’attore che deve la sua notorietà proprio al ruolo del bonario capitano Stubing. All’inizio della carriera, alla fine degli anni Cinquanta, Gavin è il marinaio Hunkle, con il suo tatuaggio di una splendida ragazza nuda, mentre Marion è il sottotenente Colfax, ed entrambi si sono ritrovati negli angusti spazi del Sea Tiger, il più famoso sottomarino della storia del cinema. Non solo perché è rosa.

giovedì 13 gennaio 2022

Verba volant (806): colle...

Colle
, sost. m.

So che quando racconto queste storie della “Prima Repubblica” i miei giovani lettori faticano a crederci, ma c’è stato un tempo in cui non era così difficile eleggere l’inquilino del Quirinale. Il candidato doveva essere un uomo – era un tempo in cui non c’era dubbio su questo – e doveva essere piuttosto anziano. Doveva avere una lunga esperienza parlamentare e un’ancora più lunga militanza politica. E, alternativamente, doveva essere o democristiano o di un altro partito. Certo, anche fissati questi criteri così rigorosi, poteva essere difficoltoso trovare il candidato giusto, perché c’erano più o meno legittime ambizioni, c’erano manifeste e inconfessabili simpatie e antipatie personali, c’erano equilibri da rispettare, ma al netto dei bizantinismi di quella classe politica, riuscivano senza troppi sforzi a eleggere un Presidente. Una volta eletto, il Presidente non aveva molto da fare, perché c’erano i partiti ed erano i partiti che decidevano chi doveva fare il Ministro della Marina mercantile e il sottosegretario all’Agricoltura, e soprattutto erano i partiti che decidevano quando era arrivato il momento di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni.
Il vecchio notabile a cui era stato affidato l’incarico di Presidente della Repubblica aveva il compito di vigilare che facessero tutto questo rispettando le regole, quelle scritte nella Costituzione – che peraltro lui stesso aveva contribuito a scrivere – e soprattutto quelle non scritte, che definivano lo svolgersi della vita istituzionale italiana. Fatto ciò, al Presidente non si chiedeva null’altro che rappresentare l’Italia. E bisogna dire che i primi sette Presidenti lo hanno fatto con indubbia efficacia, seppure con stili molto diversi l’uno dall’altro. C’erano gli italiani come Gronchi e Pertini. Ce n’erano – indubbiamente meno – perfino come Einaudi, anche se erano molti di più quelli come Leone, quelli che tenevano famiglia e facevano le corna. Io li ho conosciuti questi italiani e credo che anche voi abbiate avuto la mia stessa fortuna. Perché quei sette uomini erano cresciuti dentro quelle grandi agenzie formative che erano i partiti, in cui veniva formata la stragrande maggioranza degli italiani. Io sono cresciuto in un mondo in cui le persone si definivano per quello che votavano, nel bene e nel male, perché la politica era un tratto distintivo della società. E quelle sette persone, nei loro pregi come nei loro rimarchevoli difetti, a volte davvero notevoli, sono riusciti a raccontare l’Italia per più di quarant’anni. Era un’Italia conservatrice e baciapile, spesso ipocrita, ma capace anche di grandi slanci e in cui esisteva la cultura e il rispetto per il saper fare. Era un’Italia a cui adesso guardiamo con inspiegabile nostalgia, perché faceva piuttosto schifo. E noi rispettavamo, anche se non amavamo, quei sette anziani signori che ci facevano gli auguri per fine anno, come rispettavamo i nostri vecchi zii verbosi, anche quando disobbedivamo. Poi qualcosa si è rotto.
Cossiga è stato eletto ancora seguendo le vecchie regole: un democristiano dopo un socialista, un uomo di lunga militanza politica e di indubbia esperienza, forse perfino troppa, delle vicende italiane. E c’erano anche gli italiani come Cossiga. A lui, uomo indubbiamente molto intelligente, va riconosciuto il merito storico di aver capito prima degli altri - sicuramente prima di noi che abbiamo continuato con ostinazione a crederci nei partiti, anche fuori tempo massimo - che quel gioco di identificazione non funzionava più, perché nel frattempo si stavano sgretolando i partiti. Finiti i partiti, è finita la “Prima Repubblica” e quel complesso gioco a cui anche noi in gioventù abbiamo partecipato. Da allora i Presidenti hanno smesso di raccontare l’Italia e, nella crisi politica e istituzionale in cui ancora viviamo – perché se è vero che finita la prima, è altrettanto vero che non è mai riuscita a nascere una “Seconda Repubblica” – quando le regole scritte sono state via via cambiate, ma soprattutto quelle non scritte sono state eluse, quando non calpestate, il Presidente ha cominciato a diventare un giocatore tra gli altri giocatori. Ho un mio giudizio sui successivi inquilini del Quirinale, spesso non benevolo, ma d’altra parte neppure il mio giudizio su quello che ho fatto io alla fine della “Prima Repubblica” è particolarmente lusinghiero. Da tempo non mi occupo più di politica, e francamente mi interessa anche poco sapere chi sarà eletto a questo giro: non credo sia particolarmente rilevante.
Voglio fare però con voi questa piccola riflessione antropologica. Voi conoscete delle persone come Sergio Mattarella? Quando siete in fila alla posta o salite su un autobus o aspettate che vi vaccinino incontrate dei vecchi gentili e pacati? A me non succede. Mi piacerebbe un’Italia più simile a Mattarella, un’Italia beneducata, magari un po’ democristiana, che crede nelle istituzioni e nelle regole, che ascolta prima di parlare e che quando parla non urla, che va all’opera e che non rutta a tavola, che spiega che ci sono valori che dobbiamo rispettare. E che in politica, come nella vita, c’è anche una forma, che diventa sostanza. Sarà che sono un figlio della “Prima Repubblica”, un residuato del passato, ma credo proprio che Mattarella non rappresenti quello che l’Italia è diventata.