Hanno ricominciato a far finta di occuparsi delle riforme istituzionali, anche perché di governare non sono proprio capaci. Il sedicente presidente del consiglio ha solennemente dichiarato che la durata del suo governo dipenderà proprio da queste riforme, minacciando addirittura le dimissioni se in 18 mesi le forze politiche non avvieranno seriamente questo processo riformatore. A parte il fatto che il giovane Letta rimarrà attaccato a quel posto perinde ac cadaver, in questa sua dichiarazione c'è una furbizia tipicamente democristiana: le riforme non devono essere fatte per davvero, ma basta che siano seriamente avviate, e naturalmente sulla serietà deciderà il vero dominus della politica italiana, il capo del governo effettivo, che siede - come noto - al Quirinale. Letta poi ha fatto un altro piccolo trucco: ha cominciato a procrastinare la data di inizio dei fantomatici 18 mesi, facendola slittare a settembre, verso la fine; per onorare il compleanno di B., immagino. Mia nonna faceva più o meno lo stesso gioco: quando era già vecchia, diceva che poteva ormai morire contenta, ma prima voleva vedere i suoi nipoti sposati; quando ci siamo tutti più o meno accasati, ha ripetuto che poteva ormai morire contenta, ma prima voleva veder nascere i suoi bisnipoti. Devo riconoscere che questa tecnica dilatoria le ha garantito una più che discreta longevità e credo che il giovane Letta voglia imitarla. Adesso poi si è anche inventato la commissione di esperti: una trovata geniale, qualcosa a cui nessuno finora aveva mai pensato; si vede che questo fa parte del gruppo Bilderberg, mica brustolini. Ovviamente non hanno nessuna fretta di fare le riforme istituzionali perché le hanno già fatte, naturalmente senza chiederlo e senza dirlo. Da circa due anni non abbiamo più un capo del governo espresso dal parlamento - come previsto dalla Costituzione - ma nominato dal presidente della Repubblica e solo successivamente ratificato dalle camere, a cose fatte. In questo periodo l'attività legislativa ordinaria è stata sostanzialmente sospesa, a favore di un inedito sistema fatto di decreti e voti di fiducia, attraverso cui il potere legislativo è stato di fatto assorbito da quello esecutivo. Inoltre le politiche economiche e di bilancio sono state avocate dalle autorità europee e dalla Bce; alle cose serie pensano altri, sono troppo importanti per lasciarle i mano ai politici italiani. E' significativo poi il modo in cui hanno drasticamente ridotto i poteri dei comuni, come ho spiegato anche in una mia precedente "considerazione". Come vedete si tratta di un disegno organico, a cui non fa certo difetto la coerenza. Quando, tra qualche anno, presenteranno davvero la loro "nuova" riforma, il nostro paese sarà ormai assuefatto a questa situazione e sarà naturale "scivolare", senza troppi traumi, nella "nuova" repubblica presidenziale.
Su questo permettetemi una sottolineatura. In questi giorni mi è capitato più volte di sentire questo discorso: "con tutti i problemi che ci sono in questo paese, pensano solo al presidenzialismo"; immagino lo avrete sentito anche voi. In qualche caso chi fa questo discorso è in perfetta buona fede - penso al mio barbiere, che è uomo di sinistra, e che proprio stamattina mi ha fermato per dirmelo - in altri casi no, come quando lo dice B. o lo dice il presidente di Confindustria, che ovviamente vogliono, per motivi diversi, cavalcare in maniera populista il malcontento dei cittadini. Questa protesta - quella del mio barbiere, non quella di B. o quella di Squinzi - è comprensibile: gran parte del paese è alle strette, molte famiglie si trovano in gravi difficoltà; eppure rischia di essere molto pericolosa. Seguendo questa logica - che sfocia nel "benaltrismo" - ci saranno temi che saranno sempre accantonati, penso soprattutto alle questioni legate ai diritti. Ci sarà sempre qualcuno che dirà: dobbiamo occuparci dei problemi veri, non possiamo perdere tempo con il matrimonio per le persone omosessuali o con il diritto di cittadinanza agli stranieri. E invece su questi tempi abbiamo proprio bisogno di "perdere tempo". Facciamo attenzione quindi, perché questo argomento finisce per essere usato da quelli che non vogliono cambiare nulla, perché per loro va bene così. In questi giorni noi reduci della sinistra, noi esodati della politica, dovremo sempre prestare orecchio a questi discorsi e non stancarci di dire che democrazia e benessere economico devono crescere insieme. Può crescere l'economia di un paese anche quando diminuiscono, o addirittura spariscono, la democrazia e i diritti; pensate al Cile di Pinochet o anche alla Turchia di questi anni, in cui la crescita economica si è accompagnata a una drastica diminuzione dei diritti. Si tratta però di una crescita diseguale, che arrichisce pochissimi e impoverisce moltissimi. Invece se cresce la democrazia crescerà anche il benessere economico; in questi giorni ho riletto - con maggiore attenzione della prima volta - Il secolo breve di Eric J. Hobsbawm, che questo concetto lo spiega molto bene. Noi dobbiamo lottare perché la crescita del benessere si accompagni alla democrazia, ossia a una redistribuzione della ricchezza. Per questo dobbiamo partecipare alla discussione sul presidenzialismo, perché anche questo è un aspetto della crisi. E non secondario.
Sul tema io non sono favorevole al presidenzialismo o al semipresidenzialismo, per un motivo semplice, fin banale: perché in Italia c'è B. e soprattutto c'è una potenziale maggioranza pronta a eleggerlo, a qualunque carica, da caposcala a papa. In questo paese purtroppo i demagoghi trovano da sempre terreno fertile, ce lo ha insegnato Thomas Mann in Mario e il mago, e ce lo mostra la cronaca di questi anni. E poi in Italia c'è una criminalità organizzata molto forte, che non avrebbe troppe difficoltà a eleggersi un "proprio" presidente, naturalmente quando B. non sarà più un interlocutore credibile. In una parola, non possiamo fidarci dell'Italia. Credo che questo sia un argomento molto forte, capace di convincere perfino una parte degli elettori dell'ex-Pd, anche se il loro partito è ormai avviato verso la strada del presidenzialismo, nell'illusione di avere un "campione" capace di vincerle queste nuove elezioni presidenziali, magari perché "giovane". Il problema però non è neppure quello di vincere le elezioni, come dimostra il caso francese, dove c'è un presidente a cui la loro costituzione assegna ampi poteri e a cui i cittadini hanno consegnato un mandato elettorale pieno, con un'ampia maggioranza parlamentare. E' teoricamente un uomo della sinistra, non ha nemmeno problemi a definirsi socialista, ma è come se fosse un Renzi qualsiasi. Il problema non è la forma di governo, ma le forme con cui si esercita il governo di un paese, come è evidente in questi giorni in Turchia, dove un governo formalmente parlamentare ha reagito con una durezza da stato autoritario davanti alle manifestazioni di piazza. A proposito, non ho ancora ben capito cosa sia successo oggi a Terni, ma certamente non è stata una bella pagina per le nostre forze dell'ordine, purtroppo non la prima. In sintesi il pericolo alla democrazia non viene necessariamente dall'introduzione di un presidenzialismo, più o meno mascherato, e non è che il mantenimento del sistema parlamentare attuale sia una garanzia, come è evidente in questi giorni. Occorre fare un passo in più. Pensare a un sistema alternativo all'attuale sistema economico, capace soltanto di far aumentare le diseguaglianze e di far crescere la povertà, richiede la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte fondamentali, in un sistema di democrazia partecipata di cui si devono trovare gli strumenti, per rafforzare finalmente anche le inevitabili forme della democrazia rappresentativa e basata sulla delega. Per una parte importante della nostra storia questo ruolo essenziale della vita democratica, questa cerniera tra le due forme della democrazia, è stato svolto dai partiti, che però hanno abdicato e adesso sono assolutamente incapaci di riprendere tale funzione, oltre al fatto che non ne hanno alcuna legittimazione. La democrazia partecipativa, solo perché non siamo riusciti ancora a trovarne i modi e tempi - che peraltro non possono essere individuati soltanto nella rete, pena il cadere in un'altra forma di populismo - non può essere considerata un'utopia; certo metterla in piedi è difficile perché molti possono considerarla una perdita di tempo, visto che le loro decisioni non vengono mai rispettate. I referendum sull'acqua pubblica non sono stati rispettati, il voto di febbraio è stato tradito: è comprensibile che una metà dell'elettorato - quella dei meno garantiti dalla politica - decida di non andare a votare. Qui è il nodo, non nella presunta dicotomia tra parlamento e presidente; occorre che chi non vota e chi vota con sempre maggiore sfiducia torni a partecipare. Su questo giocheremo la vera battaglia.
p.s. Mentre ho scritto questa "considerazione" ho saputo che è finita la "guerra civile". Io credo che il termine sia appropriato; in Italia c'è stata in questi anni una guerra civile, in cui nessuno dei due contendenti ha riconosciuto legittimità all'altro: noi consideriamo B. un corpo estraneo alla democrazia e lui fa altrettanto con noi. Ho qualche dubbio però che sia finita. Di solito una guerra civile finisce in due modi: o le parti trovano un accordo ragionevolmente accettabile per entrambi - come è successo in Irlanda del nord - o uno vince e l'altro perde, e in genere quello che perde muore. Visto che l'annuncio della fine della guerra è stato dato unilteralmente da colui che questa guerra l'ha dichiarata - circa vent'anni fa - vuol dire o che si sbaglia lui o che noi l'abbiamo definitivamente persa. Certamente la resa, senza condizioni, del gruppo dirigente dell'ex-Pd è stato per noi un duro colpo e renderà più difficile la guerra nei prossimi anni, forse perfino velleitaria. Ma non è un buon motivo per smettere di combattere, contro B. e contro quelli che la pensano come lui.
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