mercoledì 18 novembre 2009

da "Antigone" (vv. 332-375) di Sofocle

L'esistere del mondo è uno stupore
infinito, ma nulla è più dell'uomo
stupendo. Anche di là dal grigio mare,
tra i venti tempestosi, quando s'apre
a lui sul capo l'onda alta di strepiti,
l'uomo passa; e la Terra, santa madre,
con l'aratro affatica d'anno in anno
e con la stirpe equina la rovescia.
La tenue prole degli uccelli o quella
selvaggia delle fiere o la progenie
abitatrice dei marini abissi
con intrico di reti a sé trascina
insidioso l'uomo; e doma scaltro
i liberi animali: piega al giogo
il crinito cavallo e placa l'impeto
del toro irresistibile sui monti.
La parola, il pensiero come il vento
veloce, l'indole civile apprese
da solo e a ripararsi dalla pioggia
e dai freddi sereni della notte;
fatto esperto di tutto, audace corre
al rischio del futuro: ma riparo
non avrà dalla morte, pur vincendo
l'assalto d'ogni morbo inaspettato.
Fornito oltre misura di sapere,
d'ingegno e d'arte, ora si volge al male
ora al bene; e se accorda la giustizia
divina con le leggi della terra,
farà grande la patria. Ma se il male
abita in lui superbo, senza patria
e misero vivrà: ignoto allora
sia costui alla mia casa e al mio pensiero.

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