Ecco una notizia che riguarda l'Italia e che non si trova sui giornali italiani: nel maggio del 2008 l'Eni ha annunciato un progetto per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose del Congo. Si tratta di un tipo di lavorazione iniziata alcuni anni fa in Canada, che per la prima volta viene sperimentata fuori dai confini di quel paese. Si tratta di un grande affare per l'azienda italiana: l'Eni ha ricevuto le autorizzazioni per esplorare due zone del paese africano, un'area di 1.790 chilometri quadrati, da cui prevede di poter estrarre diversi miliardi di barili di petrolio.
Questo tipo di sfruttamento del suolo ha però altissimi costi ambientali. Alcuni studi calcolano che per estrarre un barile di bitume viene generata una quantità di anidride carbonica tre volte superiore a quella prodotta quando si estrae un barile di petrolio usando i metodi tradizionali; per separare il petrolio dalla sabbia serve una grandissima quantità d'acqua, che diviene altamente tossica e viene raccolta in bacini di decantazione così grandi da poter essere visti dallo spazio; per far posto agli impianti occorre poi abbattere una gran quantità di foresta. Secondo un documento che sarebbe circolato tra i dirigenti della stessa Eni "la foresta tropicale e altri sensibilissimi settori della biosfera (per esempio, le aree paludose) coprono dal 50 al 70% circa dell'area dove dovrebbero avvenire le esplorazioni". Si sa che queste grandi foreste sono fondamentali per assorbire l'anidride carbonica presente nell'atmosfera.
A pochi giorni dall'inizio della conferenza di Copenhagen sarebbe utile riflettere anche su questi fatti. In Danimarca andrà un rappresentante del nostro governo, ma francamente chi sta decidendo le linee della nostra politica energetica? Il governo o l'Eni? E un ragionamento analogo vale per tutti gli altri paesi industrializzati. Non ho una convinzione netta in merito, forse questo sistema di estrarre il petrolio potrebbe essere più economico di quello tradizionale e meno esposto ai rischi di conflitto dell'area medio-orientale, ma credo sarebbe utile parlarne. Di questo progetto di è occupata la fondazione Heinrich Böll, collegata ai Verdi tedeschi; la notizia è stata rilanciata dal Wall street journal. Forse qualche ambientalista italiano avrebbe potuto occuparsene...
p.s. devo queste considerazioni al giornalista americano Gay Chazan, autore di un articolo su The Wall street journal, tradotto e pubblicato nel nr. 823 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura
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