domenica 7 febbraio 2010

Considerazioni libere (70): a proposito di aiuti allo sviluppo...

Lo scorso 13 gennaio il ministro degli esteri Frattini era in visita ufficiale in Etiopia. La notizia è stata di fatto cancellata dalla tragedia di Haiti. Cito direttamente dal sito del ministero.
Il Ministro Frattini ha inaugurato la diga Gilgel Gibe II, realizzata dall’italiana Salini grazie ad un credito d’aiuto di 220 milioni di euro: "L'Italia - ha detto il Ministro - ha contribuito a realizzare un'opera che dà l'accesso all'elettricità a molti milioni di cittadini dell'Etiopia. E' un fatto che cambierà la loro vita’’. Presenti alla cerimonia, il premier Meles Zenawi e le massime autorità etiopiche. Oltre al finanziamento italiano (59%) della diga, c'è un credito della Banca europea degli Investimenti di 50 milioni di euro (13%) per le forniture elettromeccaniche.
Gilgel Gibe II è un tunnel di 26 chilometri costruito per sfruttare la differenza di altitudine tra il bacino artificiale Gilgel Gibe I e il fiume Gibe. Sarebbe meglio dire, era: infatti il 25 gennaio, a sole due settimane dall'inaugurazione, c'è stato un crollo che ha fermato l'impianto. Di questo naturalmente non sapremmo nulla, se non fosse per l'articolo di Stella Spinelli sul sito Peace Reporter e di un servizio del Tg3.
Vi chiedo qualche minuto per leggere queste note, che si trovano nel sito di Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm), che danno un quadro dell'intera vicenda.

Gilgel Gibe III

Una valle ancestrale sta per sparire

Il 19 luglio 2006 la Salini Costruttori s.p.a e l’EEPCo (Ethiopian Electric Power Corporation) firmano un contratto per la costruzione della diga Gilgel Gibe III, sul fiume Omo, il più grande progetto idroelettrico mai realizzato in Etiopia, con un salto di 240 metri e una potenza di 1.870 MW, per un costo complessivo di 1,4 miliardi di euro.

Prima di affrontare gli aspetti tecnici e istituzionali del progetto, è necessario soffermarsi sull’importanza del bacino dell’Omo. Si tratta di uno dei fiumi meglio conservati dell’Africa orientale, che scorre per quasi 600 km in una regione nota per la sua straordinaria biodiversità.
L’Omo nasce dalla confluenza dei fiumi Gibe e Gojeb, formando un lungo canyon per poi attraversare l’omonimo Parco nazionale e sfociare nel lago Turkana, al confine con il Kenya. Lungo le sue sponde risiedono più di 15 diverse comunità tribali, la cui sicurezza alimentare dipende strettamente dalle risorse naturali e dal delicato equilibrio dell’ecosistema locale.
Il fiume offre inoltre un habitat unico per un’incredibile varietà faunistica e nel 1980 la bassa valle dell’Omo è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità per i numerosi ritrovamenti di scheletri appartenenti al genere australopithecus e homo, insieme ad utensili di quarzite risalenti a diversi milioni di anni fa. La diga sbarrerà completamente il corso del fiume provocando la completa inondazione del canyon e la creazione di un bacino lungo più di 150 chilometri, alterando profondamente l’ecosistema a valle della diga per centinaia di chilometri.

L'energia prodotta dalla megadiga Gilgel Gibe III è destinata all'esportazione. L'intero potenziale generato, pari a 1.870 MW, sarà interamente veicolato in Kenya. Infatti in Etiopia, nonostante ci siano cinque impianti idroelettrici in costruzione, solo il 12% della popolazione ha un reale accesso all'energia elettrica.
Nove gruppi indigeni per un totale di 200mila persone vivono a valle della diga e la loro sussitenza dipende dall'agricoltura tradizionale basata sulle piene naturali del fiume, che la diga inevitabilmente interromperà, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Per riempire il bacino di 150 km ci vorranno anni e ciò provocherà un abbassamento rilevante del livello del lago Turkana, in Kenya, dalle conseguenze sociali ed economiche poco prevedibili.

I lavori vengono avviati immediatamente dopo la firma del contratto, in totale assenza del permesso ambientale. A novembre del 2007, ovvero quando la Crbm si è recata in Etiopia per una missione sul campo, il progetto registrava uno stato di avanzamento del 13%, ovvero i tunnel per la deviazione delle acque erano quasi completati e una minidiga era già stata eretta per consentire la costruzione della struttura definitiva. Nello stesso periodo l’Environmental Protection Authority non solo non aveva rilasciato il relativo permesso, ma non aveva nemmeno ricevuto la valutazione di impatto ambientale (Via). L’unica Via del progetto attualmente disponibile è stata redatta dal Cesi, uno studio milanese e resa pubblica dalla Società assicuratrice del credito all’esportazione (Sace) a ottobre del 2007, in seguito alla richiesta di una garanzia finanziaria della Salini alla stessa Sace.

Persino la Sace, sebbene nota per aver coperto progetti discutibili, a gennaio 2008 ha respinto una prima volta la richiesta di garanzia della Salini e declina per la seconda volta il sostegno alla saga Gilgel Gibe (già in precedenza non aveva concesso la copertura per la diga di Gibe II di cui tratteremo a breve). Le spese per i lavori sin qui effettuati sono stati sostenuti direttamente dall’EEPCo, ovvero dal governo etiope.

Due precedenti poco illustri, Gilgel Gibe I e II

Gilgel Gibe I

Il progetto della diga di Gilgel Gibe (oggi nota come Gilgel Gibe I) risale al 1985, ma è stato realizzato tra il 1999 e il 2003. La diga è situata sull’omonimo fiume, affluente del Gibe - Gilgel in amarico significa piccolo - il quale, scorrendo verso sud, dà vita insieme al Gojeb al fiume Omo. Si tratta di una diga di 40 metri, che ha creato un bacino artificiale di 63 km quadri, in grado di generare attraverso tre turbine fino a 184 MW. L’impianto, dal costo complessivo di 280 milioni di euro, è entrato in funzione nel febbraio del 2004 ed è stato realizzato attraverso i prestiti della Banca Mondiale (200 milioni di dollari), della Banca Europea per gli Investimenti (41 milioni di euro) e il sostegno della cooperazione austriaca. La costruzione della diga ha causato lo spostamento forzato di circa 10mila persone che risiedevano nella zona dell’attuale bacino, e che hanno subito un peggioramento sostanziale delle loro condizioni di vita. La missione sul campo ha visitato gli insediamenti e ha potuto verificare che le misure di mitigazione dell’impatto ambientale e le compensazioni previste per le popolazioni colpite non sono state rispettate.

Le comunità coinvolte hanno subito un graduale impoverimento. Inoltre gli è stato impedito di visitare preventivamente le nuove aree di destinazione, sono state insediate in una zona semipaludosa con una scarsa fertilità e a molte famiglie è stata data una porzione di terra agricola inferiore a quella che avevano precedentemente a disposizione. Come se non bastasse l’aumento della densità di popolazione ha creato un conflitto con le comunità già residenti per la gestione dei pascoli. Numerose famiglie hanno perso fino all’80% del bestiame a causa della scarsità di pascolo. Alle comunità non è stato fornito nessun servizio di base. Nonostante le abitazioni siano sovrastate dai cavi dell’alta tensione, esse sono sprovviste di elettricità e di acqua corrente. Le scuole non sono state costruite come previsto, bensì semplicemente ristrutturate, arrivando a ospitare 1.100 studenti, alcuni dei quali costretti a più di due ore di cammino.
Inoltre il bacino ha inondato la strada asfaltata che collegava la città di Jimma alla capitale, isolando i villaggi dalla città e costringendo i mezzi di trasporto ad aggirare il bacino su un percorso sterrato di quasi 40 km.

La creazione del bacino ha incrementato l’incidenza della malaria e di altre malattie trasmissibili attraverso vettori esterni. Anche l’Hiv ha subito un brusco aumento dovuto alla presenza di migliaia di lavoratori provenienti da tutto il paese e al diffondersi della prosituzione. La popolazione non è stata sottoposta ai controlli sanitari periodici così come previsto nelle misure di mitigazione. A causa dell’assenza di studi di base con i quali confrontare i dati correnti, non è possibile a oggi conoscere l’incidenza esatta di tali malattie, ma dalle informazioni in possesso dei centri sanitari si stima che la crescita possa raggiungere il 30%.
Da un punto di vista ambientale la diga non rilascia il flusso minimo previsto per garantire la sopravvivenza dell’ecosistema del fiume. Durante la stagione secca non viene effettuato alcun rilascio, mettendo a repentaglio l’intero ecosistema fluviale. Durante la stagione delle piogge, invece, il bacino viene riempito ai limiti per sfruttarne al massimo la potenza, per poi eseguire rilasci di emergenza a protezione dell’infrastruttura.
Nell’estate del 2006 nei distretti di Dashenech e Nyangatom, lungo il fiume Omo, un’alluvione ha provocato la morte di 364 persone, la distruzione di 15 villaggi e 15mila profughi. A tutt’oggi non è chiaro che ruolo abbia avuto la diga nel disastro. L’inondazione potrebbe essere imputabile, oltre che alle forti piogge, ad una gestione irresponsabile dell’impianto.

Gilgel Gibe II

Il 1° maggio 2004, pochi mesi dopo l’inaugurazione della diga di Gilgel Gibe, l’EEPCo e la Salini Costruttori firmano un nuovo contratto per la costruzione dell’impianto idroelettrico Gilgel Gibe II. Si tratta di un tunnel di 26 km che, per la generazione di energia elettrica, sfrutta la differenza di altitudine tra il bacino creato dalla diga di Gilgel Gibe I e il fiume Gibe. Costo previsto dell’impianto: 400 milioni di euro. L’accordo viene firmato a trattativa diretta, in assenza di gara d’appalto internazionale, come invece prevedono le procedure del ministero delle Finanze e dello Sviluppo Economico. L’eccezione viene giustificata dal governo etiope con: “la profonda conoscenza del progetto della Salini e la dimostrata capacità di attirare donatori internazionali”.

I lavori di costruzione dell’impianto iniziano subito, in assenza di uno studio di fattibilità, di adeguate indagini geologiche e del permesso ambientale dell’Environmental Protection Authority, necessario, in Etiopia, per l’avvio dei lavori di qualsiasi opera infrastrutturale. Il permesso arriverà solo successivamente e in maniera funzionale all’ottenimento di un prestito di 50 milioni di euro dalla Banca Europea per gli Investimenti. Al progetto partecipa anche la cooperazione italiana. Il progetto viene commissionato attraverso una tipologia di contratto “chiavi in mano” con il quale l’impresa esecutrice si assume pienamente il rischio tecnico del progetto. La consegna è fissata per dicembre 2007. Nel corso del 2007 sopraggiunge un importante problema tecnico, una perforatrice resta bloccata nel tunnel e a tutt’oggi il problema non appare ancora risolto. La consegna slitta a data da destinarsi, si ipotizza giugno del 2009. In realtà l'inaugurazione dell'opera si tiene nel gennaio del 2010, alla presenza del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini.
La tipologia di contratto vorrebbe che la Salini pagasse un’ammenda per il ritardo sulla consegna, invece l’assenza degli studi geologici era stata concordata e prevista in fase contrattuale e menzionata come un’eccezione al principio di assunzione del rischio tecnico.

Il coinvolgimento della cooperazione italiana

L’8 ottobre 2004 il Comitato direzionale della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) del ministero Affari Esteri approva un credito d’aiuto di 220 milioni di euro a favore dell’Etiopia, finalizzato alla realizzazione del progetto idroelettrico di Gilgel Gibe II e accompagnato da un dono di 505.000 euro per l’invio di un esperto italiano incaricato di monitorare il progetto. Il Comitato ha in mano due documenti sui quali basare la decisione. Il parere negativo del Nucleo tecnico di valutazione della Dgcs stessa, che rileva fra l’altro: l’anomalia dell’affidamento del contratto a trattativa diretta, non conforme alle procedure vigenti della Dgcs né alla normativa italiana, né tanto meno alle procedure applicate in materia dalle organizzazioni internazionali e dall’Unione europea; l’assenza di uno studio di fattibilità; l’assenza dei costi delle misure di mitigazione di impatto ambientale; un tasso di concessionalità del 42,29% non in linea con la situazione di criticità debitoria del Paese. Il parere negativo del ministero dell’Economia e delle Finanze che esprime viva preoccupazione per la fattibilità economica dell’operazione, tenuto conto della delicata situazione debitoria dell’Etiopia.

La Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo approva, in un clima di forte pressione nei confronti dei funzionari responsabili, il più grande credito d’aiuto mai erogato nella storia del fondo rotativo, sebbene si sia in presenza di valutazioni fortemente negative dei ministeri e degli organi competenti. Successivamente all’approvazione del progetto, il Nucleo tecnico di valutazione della Dgcs viene in buona parte modificato. Il tutto avviene a contratto già firmato tra la Salini Costruttori s.p.a e l’EEPCo, contravvenendo a tutti gli standard nazionali e internazionali sulla trasparenza e la concorrenza.

E’ da notare che nell’ambito dell’iniziativa Hipc l’Italia, al momento dell’approvazione del nuovo prestito, era in procinto di cancellare all’Etiopia 332,35 milioni di euro di debito bilaterale. La cancellazione sarà ratificata a gennaio 2005, tre mesi dopo aver reindebitato il paese per una cifra di poco inferiore. A luglio del 2007 il ministro degli Esteri Massimo D’Alema riceve una comunicazione dal ministro degli Esteri etiope, Seyoum Mesfin con la richiesta, per ora inevasa, di un contributo italiano pari a 250 milioni di euro per il finanziamento della diga Gilgel Gibe III. La richiesta ufficiale delle autorità etiopi è accompagnata da una costante e capillare azione di lobby della Salini sui funzionari ed i diplomatici del ministero degli esteri. Dopo il cambio di governo a metà 2008 si rimane in attesa di eventi.
La Procura di Roma ha indagato sul prestito italiano da marzo 2006 a gennaio 2007, archiviando il caso.

Il ruolo della Banca Europea per gli Investimenti

La Banca Europea per gli Investimenti (Bei), occorre sempre ricordarlo, è l’unica istituzione finanziaria internazionale a non aver ancora adottato strandard e protocolli che regolino in maniera vincolante le sue operazioni fuori dall’UE. Il 17 febbraio 2005 la Bei ha approvato un finanziamento di 50 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto Gilgel Gibe II. La Bei era a conoscenza dell’anomalia della trattativa diretta, nonostante ciò ha dato il beneplacito al prestito specificando che: “dietro insistenza della banca il contractor (la Salini) ha indetto una gara d’appalto, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea per i sub-appalti relativi alla fornitura e la posa in opera degli impianti idro ed elettromeccanici”. La Banca assicurava in questo modo il rispetto delle sue lacunose linee guida interne, ma appariva disinteressata all’osservanza e alla promozione degli standard internazionali su trasparenza e concorrenza, che hanno portato la Banca Mondiale a tenersi fuori dall’operazione.

Inoltre per le operazioni fuori dall’Unione europea, la Bei non è obbligata ad applicare normative, direttive e standard in vigore nell’UE, considerati solamente un riferimento, ma sostiene di adeguarsi alla legislazione locale. Per Gilgel Gibe II i lavori di costruzione sono iniziati senza il permesso ambientale, che è stato fornito alla banca solo al momento della richiesta di prestito. Approvando il finanziamento, la Bei ha avallato una doppia violazione della legislazione locale, in materia ambientale e di assegnazione di appalti pubblici.

Alla fine del 2007, l’EEPCo ha avanzato un nuova richiesta alla Banca Europea per gli Investimenti per un ingente finanziamento. Secondo un dirigente della Banca Africana di Sviluppo incontrato durante la missione sul campo della Crbm, la Bei e la Banca Africana potrebbero prestare all’EEEPCo fino a 450 milioni di dollari per il progetto di Gilgel Gibe III. Il finanziamento richiesto alla Bei potrebbe aggirarsi intorno ai 180 milioni di euro.

Francamente non mi pare ci sia molto più da aggiungere a questa dettagliata cronaca: le donne e gli uomini che vivono in quella regione non avranno alcun beneficio da queste opere imponenti, anzi rischiano di subire ulteriori danni. Queste dighe sono sicuramente un grande affare per l'impresa italiana e temo lo siano anche per i funzionari dei governi etiope e italiano.
E' nostro dovere parlare di questa vicenda.

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