Lingua, sost. f.
La gatta frettolosa fece i gattini ciechi. E spesso scrive post stupidi. In questo errore ci siamo incappati un po' tutti noi che, per lavoro e per diletto, scriviamo in rete. Certo anche i monaci amanuensi copiavano notizie sbagliate e le diffondevano, inconsapevoli dell'errore, ma a noi basta un clic per condividere una notizia non corretta, sbagliata o addirittura falsa. E troppo spesso, a differenza di quei bravi fraticelli, ci facciamo prendere dall'entusiasmo o dall'indignazione e così scriviamo i nostri commenti, senza molto costrutto.
Tanti italiani, da nord a sud, in questi giorni si sono fieramente scandalizzati perché alcune scuole per stranieri in Gran Bretagna hanno chiesto ai nostri connazionali se siano italiani, napoletani o siciliani. Immagino che siano gli stessi italiani del nord che sono cresciuti sentendo i loro genitori chiamare marocchini le persone emigrate dal Mezzogiorno nelle città del nord, che hanno chiamato vu cumprà i primi stranieri che si vedevano sulle nostre spiagge e lungo le strade delle nostre città - e che allora pensavano fossero un fenomeno folkloristico destinato a scomparire - e che adesso insegnano ai loro figli a usare la parola extracomunitario come fosse un insulto.
Se siete curiosi fate un piccolo giro tra gli articoli dei principali quotidiani on line del nostro paese che raccontano la notizia e vedrete quasi sempre la stessa immagine, ossia lo foto di un menù a tendina nel quale si vedono queste opzioni: Italian, Italian (Any Other), Italian (Napolitan), Italian (Sicilian), e soprattutto leggerete la stessa notizia, ossia che gli studenti italiani in Gran Bretagna sono discriminatisu base etnica. E anche i commenti ovviamente sono quasi identici, qualcuno punta un po' più sul sarcasmo - il giornalista della Stampa dice che mancano soltanto il ritratto del Padrino e gli spaghetti - altri, come ad esempio Il Giornale, calcano i toni, tutti parlano apertamente di discriminazioni, schedature, classificazioni etniche. E proprio da qui è partita la polemica che ha coinvolto il governo italiano, l'ambasciatore a Londra e quindi il Foreign Office. L'incidente diplomatico è stato chiuso con le scuse inglesi, ma francamente si è svolto tutto troppo in fretta e i gattini non hanno potuto vedere nulla.
Con un po' più di tempo - e meno sottovalutazione - chi ha divulgato la notizia avrebbe potuto capire che il tema non è la provenienza etnica, ma la lingua parlata dalle persone che avrebbero dovuto compilare quel questionario, peraltro anonimo e non obbligatorio. Tanto è vero che tra le varie voci previste dal menù c'è anche Sardinian - e non Italian (Sardinian) - perché gli inglesi sanno benissimo che la Sardegna si trova in Italia, ma sanno anche che il sardo è riconosciuto come una vera e propria lingua, distinto dall'italiano. In sostanza allo studente non si chiede se venga da Napoli o da Milano, ma quale sia la prima lingua parlata nella sua famiglia. E chi ha qualche conoscenza dei fenomeni legati all'emigrazione sa che spesso nelle famiglie si tende a parlare, oltre alla lingua del paese che ci ospita, il proprio dialetto, anche perché - anche questo è noto - ci si raggruppa per comunità. Non è infrequente che un immigrato di seconda generazione parli correntemente l'inglese e il suo dialetto, ma abbia difficoltà con l'italiano. Peraltro anche in Italia siamo ben lontani dal parlare tutti in italiano, visto che lo sentiamo ormai raramente: in televisione ormai vige una sorta di koine romanesca zeppa di termini inglesi e sui giornali è molto scarsa l'attenzione a come si scrive.
Per evitare la polemica sarebbe bastato tradurre bene, ossia Lingua italiana, Lingua italiana (qualsiasi altra), Lingua italiana (napoletana), Lingua italiana (siciliana). Certo in questo modo sarebbe stato più difficile indignarsi, tirare in ballo la Brexit, l'orgoglio offeso delle genti italiche tutte, e meridionali in particolare. Anzi non ci sarebbe stata neppure una notizia, perché effettivamente questa non è una notizia. E neppure di stretta attualità, visto che questa classificazione viene usata negli uffici pubblici della Gran Bretagna dal 2004, ben prima della Brexit. E sarebbe stato utile far notare che in quella stessa classificazione agli studenti nati nella Gran Bretagna si chiede se parlino gaelico, gallese, scozzese o la lingua della Cornovaglia.
Quelli che hanno preparato quel questionario dimostrano più conoscenza - e forse più rispetto - per il nostro paese di quanta noi ne abbiamo per noi stessi, per non parlare della scarsa conoscenza e del pochissimo rispetto che abbiamo per gli altri. Perché effettivamente il nostro è un paese complesso e molto vario, non solo per quel che riguarda le lingue che qui si parlano. E forse sarebbe utile che anche noi cominciassimo a renderci conto che non è proprio la stessa cosa essere nati ad Algeri o ad Addis Abeba, mentre noi li chiamiamo genericamente africani - quando non neri - che essere nati ad Aleppo è diverso che essere nati a Mosul, che la Cina è un paese immenso, perfino più grande della Lombardia, e che forse c'è più differenza tra due cinesi - che pensiamo siano tutti uguali - che tra uno di Bergamo e uno di Verona, che pure militano in due Leghe diverse e contrapposte. Forse anche noi, a partire dal barocco legislativo con cui scriviamo le leggi e redigiamo i moduli, dovremmo pensare che chi deve compilare quei moduli nella propria famiglia parla cinese o pachistano o albanese o siciliano.
Forse basterebbe che pensassimo un po' prima di dare aria alla lingua. E alla tastiera.
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