"La radio mi pugnala con il festival dei fiori" canta Sergio Caputo e in questi giorni è davvero difficile sfuggire alla kermesse canora: neppure io voglio esimermi e dedico questa mia nuova "considerazione" proprio al festival di Sanremo. Sinceramente non trovo ozioso o inutile riflettere su questo avvenimento. Non si tratta solo di canzonette. E se anche fossero soltanto canzonette, il festival viene visto da quasi la metà delle famiglie italiane, è il programma di punta di una delle più importanti agenzie culturali di questo paese: merita una qualche attenzione. E comunque - lo ripeto - non stiamo parlando solo di canzoni, come spero di riuscire a dimostrare.
Siamo talmente abituati alla mediocrità da rimanere stupiti di fronte alla normalità. Ci ho pensato guardando la terza serata del festival. Svegliandomi estremamente presto al mattino, ho praticamente smesso di guardare la televisione, che già prima delle mie levatacce guardavo di rado. Ma visto che giovedì e venerdì ho potuto alzarmi un po' più tardi del solito - comunque intorno alle 6.30 - e che era ampiamente annunciata la presenza di Roberto Benigni, giovedì sera - naturalmente insieme a Zaira - ho fatto un'eccezione. Benigni mi è piaciuto molto, ma non voglio parlare di lui; l'autore toscano è di un'altra categoria e francamente la "media" del livello culturale e della bellezza dello spettacolo di giovedì, e dell'intero festival, non può essere calcolata basandosi su di lui.
Tornando allo spettacolo per così dire "normale" di giovedì sera, ho trovato alcuni altri aspetti degni di nota: lo stile della conduzione di Gianni Morandi, le interpretazioni di Roberto Vecchioni, di Anna Oxa, di Davide Van De Sfroos, la qualità degli arrangiamenti e la capacità dell'orchestra, l'ironia di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu; così ho avuto l'impressione - a caldo per così dire - di assistere a uno spettacolo di qualità, sopra la media di quello che comunemente si vede in televisione. Naturalmente ci sono stati anche momenti decisamente sotto la media: alcune interpretazioni canore imbarazzanti, i siparietti difficili da sopportare - d'altra parte tra gli autori figura Federico Moccia con il suo cappellino - l'ingombrante e difficilmente gestibile presenza della futura signora Clooney, lo sfruttamento da lenoni della bellezza di Belen Rodriguez e così via. Ripensandoci a mente fredda, sono arrivato alla conclusione che quella serata del festival non sia stata un'eccellenza televisiva - naturalmente sempre al netto di Benigni - ma semplicemente uno spettacolo a cui hanno lavorato diverse persone che sanno fare il proprio mestiere. E questo nel nostro paese finisce per essere rivoluzionario. Per fare una buona media non sono necessari alcuni geni, ma sono sufficienti molte persone normali.
E siccome non stiamo parlando soltanto di canzonette, mi pare che questo avvenga ogni giorno, in ogni contesto. Quando sono al lavoro, mi capita di sentire dei cittadini che ringraziano i miei colleghi per la professionalità e la gentilezza che hanno trovato nel nostro ufficio, anche se sono venuti soltanto per chiedere un certificato o per rinnovare la carta d'identità. Al netto della capacità dei miei colleghi - che è comunque alta - mi sembra che anche questo dimostri che siamo talmente abituati all'approssimazione quando ci rechiamo a un qualsiasi sportello pubblico da stupirci quando veniamo trattati in maniera normalmente competente, anche per una pratica semplice. E lo stesso avviene - purtroppo è una constatazione comune e difficilmente confutabile - negli ospedali, nelle scuole, in molti ambienti di lavoro, anche privati. Ho già scritto diverse volte delle condizioni al limite dei diritti sindacali e costituzionali in cui sono costretti a lavorare tanti giovani, ad esempio nei call center, e non voglio tornarci sopra. E questo favorisce naturalmente la mancanza di professionalità. Mi pare quasi - ma magari su questo sarebbe necessario un maggior approfondimento - che a fronte di paghe basse e diritti inesistenti quei lavoratori, piuttosto che reagire chiedendo maggiori diritti, si rifugino nel far male il proprio lavoro. E' una sorta di rincorrersi al ribasso del concetto di do ut des: tu mi dai poco, ma io lavoro male. Invece il lavoro dovrebbe essere onorato, sempre, perché è qualcosa di prezioso.
Per tornare alle canzonette e alla televisione, mi sembra davvero che troppe volte il lavoro, sia di chi appare in scena sia di chi sta dietro le quinte, non venga affatto onorato. E probabilmente sta qui il danno più profondo che la televisione italiana sta facendo a questo paese, non tanto nella stucchevole faziosità di certi telegiornali o di alcuni programmi di informazione. Questa televisione ha insegnato a una generazione - e continua a insegnare - che non è tanto importante quello che sai fare e come lo sai fare, ma come sei, cosa indossi, come ti vedono gli altri.
Nessun commento:
Posta un commento