domenica 1 maggio 2011

Considerazioni libere (226): a poposito di unità e di conflitti...

Ricordate di certo l'ostinata risposta che Bartleby lo scrivano, nel bel racconto di Melville, ripete a chiunque gli chieda di fare qualcosa: "I would prefer not to". Ecco, da oggi voglio cominciare a rispondere così a tutti quelli che chiedono agli italiani di stare uniti in questi momenti così difficili: I would prefer not to.
Come sapete e come ho già avuto modo di commentare, quest'anno la Cgil di Bologna ha deciso di essere in piazza il Primo maggio soltanto con le proprie bandiere, senza Cisl e Uil, perché sarebbe stato oggettivamente ipocrita manifestare insieme, visti i tanti punti di disaccordo; trovare uno slogan, una parola d'ordine, per un Primo maggio comune alle tre confederazioni sindacali sarebbe stato possibile, solo a patto di dire cose estremamente generiche e quindi poco significative, in un momento in cui pure sul lavoro ci sono tante cose da dire. Sui giornali cittadini, ma con qualche eco anche sulle pagine nazionali, tra i politici e gli opinionisti locali, impegnati in una scialba campagna elettorale, c'è un unico commento: chi manifesta da solo sbaglia, bisogna trovare le ragioni che uniscono piuttosto che quelle che dividono, specialmente in un momento così difficile per la città. Bisogna stare uniti: I would prefer not to.
Venerdì prossimo ci sarà lo sciopero generale proclamato dalla sola Cgil. Gli autorevoli commentatori dei grandi giornali e, di seguito, anche quelli meno autorevoli, poi quelli che non se li fila quasi nessuno, per finire con quelli che scrivono su Il Giornale e Libero, i politici dell'intero arco costituzionale, pur con toni diversi, hanno già cominciato a intonare il loro refrain e prepariamoci a un crescendo rossiniano: chi sciopera sbaglia, occorre trovare le ragioni dell'unità in un momento di così acuta crisi economica. Per paradosso, lo dice anche chi fino a ieri ha negato che ci fosse la crisi. Bisogna remare tutti nella stessa direzione: I would prefer not to.
Il principale obiettivo che l'indeciso Cordero di Montezemolo si è dato per la sua prossima, e sempre rimandata, "discesa in campo" è quello di unire gli italiani in uno sforzo comune per superare questo momento di grande crisi. I vari appelli per formare un governissimo, una maggioranza di responsabilità, una maggioranza di decantazione (l'ultima invenzione veltroniana, con la complicità del buon Pisanu) e varie formule di questo genere, sottintendono sempre la necessità di un grande accordo nazionale, in cui i contrasti sociali vengano miracolosamente annullati, in nome di una superiore unità. Bisogna essere tutti d'accordo: I would prefer not to.
La ricerca di questa agognata unità ha già fatto parecchie vittime. L'Italia è l'unico grande paese europeo in cui non esiste un partito socialista in grado di essere una credibile alternativa di governo alle forze conservatrici e popolari; quel partito esisteva, si chiamava Democratici di Sinistra, aderiva all'Internazionale socialista e al Pse, ma si è suicidato, per creare qualcosa che non si capisce esattamente cosa sia - per ammissione dei suoi stessi dirigenti che dicono ogni giorno cose molto diverse gli uni dagli altri - e che, proprio per questa incertezza, non ha una concreta possibilità di governare, a breve, questo Paese. Altre vittime di questa spasmodica ricerca di unità sono i lavoratori con contratti atipici, presentati dal pensiero unico dominante come l'ultima frontiera della modernità, mentre molto più semplicemente sono lavoratori sfruttati e mal pagati. E la lista potrebbe continuare: i lavoratori di Pomigliano e di Mirafiori, le commesse nei negozi aperti tutte le domeniche e tutti i giorni di festa, i piccoli risparmiatori che avevano investito nei titoli della Parmalat, i lavoratori in nero stranieri et cetera.
Tra l'altro credo sia necessario cominciare a sfatare alcuni miti. Il progresso non passa mai attraverso dei momenti di unità: in genere le rivoluzioni si fanno contro qualcuno. Dal '43 al '48, un quinquennio tragico per la storia di questo Paese, ma che fu fondamentale per la sua rinascita democratica e civile, ci fu certamente l'unità di tutte le forze antifasciste - fatto mai più ripetutosi nella breve storia repubblicana - ma fu appunto l'unità di una parte di italiani contro un'altra parte di italiani, la parte fascista appunto, che solo per carità di patria i vincitori - che non seppero neppure definirsi con un termine positivo, ma dovettero usare l'espressione antifascisti - dissero che era minoranza. La testimonianza che il cosiddetto "compromesso storico" non fu il tentativo di una classe politica di spartirsi il potere, ma il tentativo, purtroppo ucciso al momento della nascita, di cambiare in profondità il sistema politico italiano, è data dal fatto che contro questo atto coraggioso si scagliò con violenza tutto un sistema di potere, nazionale e internazionale, che arrivò ad uccidere, a commettere stragi, pur di mantenere lo status quo.
Un progresso deve necessariamente passare per un conflitto, la storia lo insegna fin troppo bene; la democrazia serve a regolare quel conflitto, a far sì che sia pacifico, a far sì che non ci siano morti, ma non può né negare né abolire i conflitti. La nostra stessa Repubblica è nata da un conflitto: il paese era spaccato quasi a metà su quale forma istituzionale darsi, caduto il fascismo, se mantenere la monarchia o provare la repubblica. Non ci fu né un colpo di stato né un regicidio, ma un referendum, il cui risultato fu netto, ma non schiacciante.
Il pensiero dominante tende a presentare il conflitto sociale come qualcosa di superato, invece è una realtà ben presente, con cui facciamo i conti tutti i giorni. Il conflitto non si risolve aggirandolo, ma affrontandolo e allora uno deve decidere da che parte stare. Per questo all'Italia non servono i generici appelli all'unità, che troppo spesso nascondono i veri interessi di chi li propone, ma la chiarezza delle posizioni. Non servono improbabili unità nazionali, che finirebbero per non risolvere nulla, avendo la pretesa e l'ambizione di risolvere tutto. Ma servono opzioni chiare in campo e poi, come si dice, chi ha più filo tesserà. Nel campo della sinistra italiana purtroppo lo sta facendo solo la Cgil. Non bisogna avere paura di essere minoranza. E' già successo che si sbagliasse la maggioranza.
Dobbiamo cercare sempre l'unanimità: I would prefer not to.

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