Marcia, sost. f.
La marcia è uno sport, che richiede grande resistenza e allenamenti intensi e costanti. Il marciatore deve compiere un gesto atletico apparentemente innaturale per 20 o 50 chilometri, mantenendo un'alta velocità; per questo motivo richiede - forse più di altre discipline sportive - un grande sforzo durante gli allenamenti, tanto che per gli atleti di alto livello si prevedono carichi di alcune centinaia di chilometri alla settimana.
L'Italia ha una tradizione importante in questo sport: il piacentino Giuseppe Dordoni vinse nei 50 km alle olimpiadi di Helsinki del '52, mentre Abdon Pamich, nato a Fiume, vinse l'edizione del '64 a Tokyo, dopo essere arrivato terzo a Roma. Negli anni Ottanta c'è stato il grande Maurizio Damilano, piemontese, oro a Mosca e bronzo a Los Angeles e Seoul nella 20km. Recentemente c'è stata anche la delusione di Alex Schwazer, oro a Pechino, ma in seguito squalificato per una brutta storia di doping.
Quando è scoppiato il caso scrissi anche una “considerazione libera” sul mio blog. Non volevo - e non voglio - difendere Schwazer, ma mi aveva fatto arrabbiare - per usare un eufemismo - la retorica cresciuta intorno a quel fatto. Schwazer è stato additato come il traditore dello spirito olimpico, il traditore della fiducia che l’Italia ha riposto in lui, il traditore dei sani valori dello sport. A nessuno di quelli che allora hanno attinto a piene mani nella retorica decoubertiana, a partire dai vertici della politica sportiva, importava - e importa - nulla dello spirito olimpico, quanto all’Italia, Schwazer le ha dato esattamente quello che ne ha ricevuto.
Al di là di questo caso marciare è faticoso non solo quando lo si fa per sport, ma anche quando lo si fa per manifestare o per protestare. Sono faticosi i ventiquattro chilometri della Marcia per la pace Peugia-Assisi, ma è importante continuare a farli, anche se il mondo è molto cambiato da quando Aldo Capitini la promosse nel 1961.
Fu faticosa e drammatica la marcia del sale che Gandhi cominciò il 12 marzo 1930 e che durò per 24 giorni. Questa è stata una marcia che ha cambiato il mondo, come la grande marcia su Washington, alla fine della quale Martin Luther King pronunciò il celebre discorso I have a dream.
Proprio perché marciare è faticoso - a parte il fulgido esempio di Capitini, che infatti è considerato poco in Italia - nel nostro paese le marce sono più annunciate che fatte veramente. Mi pare che oggi - ad esempio - avrebbe dovuto esserci una “marcia su Roma”, trasformata in un più agevole presidio.
Peraltro nella storia recente del nostro paese c’è già stata una marcia che ha cambiato - in peggio - l’Italia: il 28 ottobre 1922 i fascisti marciarono su Roma per fingere di prendere con la forza il governo che il re, l’esercito, gli agrari, i grandi industriali diedero a Mussolini, non per paura di quella pagliacciata in orbace, ma con lo scopo di servirsi dei fascisti per eliminare una volta per tutte il pericolo comunista e socialista. Come noto, sbagliarono i loro conti e la bestia fascista, una volta slegata, certo si avventò con crudeltà contro i lavoratori, come volevano i padroni, ma alla fine divenne incontrollabile e gli stessi padroni furono costretti, dopo vent’anni di regime, ad allearsi con i comunisti e i socialisti pur di toglierseli di torno.
E’ altrettanto noto che Mussolini non marciò alla testa dei suoi uomini, ma preferì aspettare gli eventi e arrivò a Roma, a cose fatte, con un comodo treno, perché appunto marciare è faticoso. Forse sarebbe arrivato in Jaguar, se qualcuno gliela avesse prestata.
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