Questa è una parola che, a differenza di quasi tutte le altre, ha una data di nascita precisa e di cui sappiamo l’autore. Infatti l'aggettivo international fu usato per la prima volta nel 1780 dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, che è unanimemente considerato il padre dell’utilitarismo, ossia la dottrina secondo la quale è eticamente giusto ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili; ed è proprio Bentham a definire utilità la misura della felicità di ogni essere sensibile, uomo o animale che sia.
Bentham è stato un pensatore molto importante - probabilmente sottovalutato - anche perché ha influenzato molti filosofi, giuristi e politici; merita di ricordare che tra gli allievi del filosofo londinese ci sono stati sia John Stuart Mill, uno dei massimi esponenti del liberalismo dell’Ottocento, sia Robert Owen, uno dei padri del socialismo. Bentham fu un grande educatore e, non a caso, fu uno degli ispiratori della fondazione dell’University College of London, la prima università inglese ad ammettere tutti, senza distinzione di razza e credo politico o religioso, al contrario di quello che avveniva ad Oxford e Cambridge.
Ma è meglio non divagare troppo. La parola internazionale ha scaldato i cuori dimolte generazioni. Come noto, questo aggettivo, diventato sostantivo e nome proprio, ha indicato le diverse associazioni internazionali dei lavoratori che dalla seconda metà del XIX secolo si sono costituite con lo scopo di coordinare e svolgere su un piano mondiale - e soprattutto oltre i confini degli stati - la lotta contro il capitalismo e di instaurare il socialismo.
L’Internazionale per antonomasia - la prima - fu costituita a Londra nel 1864 da socialisti, marxisti, anarchici, mazziniani.
Infine si chiama Internazionale l’inno dei lavoratori aderenti a tali associazioni, scritto nel 1871 dal francese Éugéne Pottier e musicato quasi vent’anni dopo da Pierre Degeyter, mentre fino ad allora era stato cantato con la musica della Marsigliese. Ma vedo che continuo a divagare. A noi vecchi “sinistri” succede spesso.
Ho deciso di affrontare questa parola per raccontare un paradosso della storia. Come ho detto, una volta quelli internazionali - o internazionalisti - eravamo noi di sinistra, tanto che una parte dei socialisti rifiutarono di combattere nella prima guerra mondiale, proprio perché si trattava del conflitto degli stati-nazione. Marx ed Engels, nel Manifesto del Partito Comunista avevano scritto
Proletarier aller Länder, vereinigt euch!In una parola, era la sinistra a essere, per definizione, attenta ai problemi del mondo, a porre se stessa in un piano di lotta appunto internazionale; contro gli stati e contro i capitalisti, i cui interessi coincidevano, tanto che uno degli ultimi esponenti del capitalismo italiano del secolo scorso poteva dire, non senza una qualche ragione dal suo punto di vista, che “quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”. Non era proprio così, quello che andava bene per gli Agnelli, ossia per i padroni della Fiat, andava bene anche per le classi dirigenti di questo paese. In questo quadro, apparentemente idillico, i lavoratori erano programmaticamente esclusi. Comunque sia allora c’era una sinistra “internazionale” che lottava contro un padrone decisamente nazionale, tanto che Italia era nell’acronimo di quella grande industria, la più grande del nostro paese.
Adesso è cambiato tutto e le parti si sono decisamente invertite: è il paradosso di cui parlavo prima. Dopo che è finito il comunismo e che anche il socialismo non sta troppo bene, vista la fregola con cui gli ultimi superstiti del Pse in Europa – da Schultz ad Hollande – hanno abbracciato il pensiero liberista, per tacere di quello che avviene nella cosiddetta sinistra italiana, internazionali sono diventati i padroni.
Emblematico è il caso di Fiat - o di Fca, come dobbiamo cominciare a chiamarla - che ha la sede legale in Olanda - dal momento che le leggi di quel paese garantiscono maggiori vantaggi agli azionisti, oltre al fatto di poter aprire una filiale alle Antille olandesi, che è un noto paradiso fiscale - paga le tasse in Gran Bretagna, visto che lì le aliquote sono le più basse dell’area Ocse, ed è quotata alla Borsa di New York. Incidentalmente produce alcune auto in Italia, ancora per un po’, anche se a questo punto è abbastanza probabile che preferirà farlo dove il lavoro costa meno. Questo nuovo internazionalismo ce lo hanno spiegato bene anche quelli della Electrolux dicendo che gli operai italiani devono costare - per loro gli stipendi sono costi, of course - come quelli polacchi e bielorussi.
E noi? Siamo ancora internazionali? Ma soprattutto ci siamo ancora?
scritto il 31 gennaio 2014
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