Come ho scritto, credo che ci troviamo di fronte ad un'emergenza democratica e sociale: la risposta deve essere di conseguenza. I lavoratori sono sotto attacco, in un modo e con una violenza a cui non eravamo abituati; a questa situazione dobbiamo reagire, con la politica, in forme inedite, perché l'attacco è inedito, e radicali e rivoluzionarie - non spaventatevi di questa parola - perché l'attacco che stiamo subendo è di carattere eversivo.
Come sapete, sono politicamente un residuato del secolo scorso e di fronte a una proposta nata in questa modo, con queste caratteristiche, mi rimangono parecchi dubbi sul metodo. C'è in particolare questa accentuazione sul nome di Maurizio Landini che fatico ad accettare, perché per me un progetto politico deve partire dalle idee e dai valori, da un gruppo dirigente diffuso, da un radicamento ampio sul territorio, prima che da un leader, per quanto capace e carismatico, come si sta dimostrando in questa fase il segretario della Fiom. Che ci piaccia o no - a me non piace ovviamente - la nostra società è dominata dai media e quindi, nonostante tutti i nostri dubbi, tutti i nostri distinguo intellettualoidi, in Italia abbiamo bisogno di una persona come Alexis Tsipras, come Pablo Iglesias, abbiamo bisogno di un leader nuovo, che abbia un'impronta popolare e che sia capace di stare in televisione in maniera efficace. Landini ha queste caratteristiche e in più rispetto a quei due leader ha un legame forte - più forte del loro - con il mondo del lavoro salariato, con la fabbrica. Come ho scritto più volte, uno dei risultati più evidenti di questi decenni di incontrastato dominio dell'ideologia ultraliberista è stato la distruzione dei corpi intermedi, trasformando la politica in un rapporto diretto tra leader e popolo. Non abbiamo tempo di costruire adesso dei nuovi corpi intermedi; è una cosa che dovremmo fare - assolutamente - ma adesso siamo in guerra e dobbiamo combattere, con le armi che ci hanno messo a disposizione, anche se non siamo stati abituati ad usarle.
Certo nessuno può mettere in dubbio che Landini sia di sinistra e che la coalizione sociale nasca robustamente a sinistra - altrimenti molti di noi non sarebbero qui - eppure deve essere capace di parlare anche ad un mondo in cui questa identificazione identitaria non ha alcun senso. Anche questo può non piacerci - a me non piace - ma c'è una generazione a cui non importa nulla di sapere se sei di destra o di sinistra, anche perché nella sua vita non ha mai potuto apprezzare - nei comportamenti e nell'azione politica - una distinzione reale tra queste due categorie. Se vogliamo recuperare una parte del voto che in questi anni ha trovato casa nel Movimento Cinque stelle e soprattutto parlare a una parte significativa di chi si è naturalmente astenuto, non serve sventolare un drappo rosso - che scalda i nostri cuori, ma non i loro - ma bisogna saper usare un linguaggio diverso, in cui deve trovare spazio anche una qualche forma di populismo. Molti di noi non ne sono capaci - non ci hanno insegnato così - ma Landini mi pare lo sia. E quindi va bene così.
Un'altra cosa su cui non dovremmo perdere tempo - mentre vedo che ne perdiamo parecchio nei nostri dibattiti, spesso futili, per quanto interessanti - è la distinzione e la contrapposizione tra coalizione sociale e soggetto politico. La cosa importante adesso è aggregare le persone che lavorano nella società su alcuni temi, come ha ricordato in questi giorni Stefano Rodotà:
tutela dei diritti sociali, partecipazione, riconoscimento dei nuovi diritti civili, considerazione dei beni in relazione alla loro essenzialità per la soddisfazione di bisogni sociali e culturali, rafforzamento dei legami sociali attraverso la pratica della solidarietà, necessità di agire nella dimensione sovranazionale e internazionale in maniera coerente con queste indicazioni.E naturalmente il grande tema del lavoro - e dei lavori - su cui il sindacato sta già svolgendo un'azione importante. Ed è abbastanza naturale che la nostra azione sia partita da lì, anche perché è proprio contro il lavoro - privato e pubblico - che l'azione del governo è più violenta ed eversiva, in particolare nel rapporto tra democrazia e lavoro, come è stato sancito in maniera altissima dall'art. 1 della Costituzione.
Torno sul punto che ritengo fondamentale, anche perché vorrei rispondere alle compagne e ai compagni che hanno ancora dubbi, che non vogliono fare un ulteriore passo verso la coalizione sociale, che trovano più motivi per ritrarsi e dissentire che per unirsi alla lotta. Ci sono parole - sinistra, socialismo, comunismo - che non parlano più alle persone, che non dicono nulla, che lasciano - quando va bene - indifferenti, ci sono strumenti, come i partiti e i sindacati, su cui non c'è più alcuna fiducia e che anzi vengono genericamente indicati, senza alcuna distinzione, tra i responsabili della crisi. Per molti di noi queste parole hanno un significato, questi strumenti devono continuare ad esistere, però dobbiamo accettare che per tanti non è così. Quindi smettiamo di parlare di sinistra, della sinistra che c'era, di quella che dovrebbe esserci, di quella che ciascuno di noi legittimamente vorrebbe e sogna, e partiamo dalla concretezza dei temi, dalle cose da fare e dalle persone, in carne ed ossa, che le fanno. Troveremo molte persone che nel nostro paese, nelle zone più difficili, nelle periferie - come le chiama il papa - reali e metaforiche, fanno delle cose. Per gli altri. Non sappiamo questi se votano e come votano. E' qualcosa di cui dovremo occuparci dopo, senza farci prendere dalla fretta, senza voler per forza cercare di essere pronti per questa o quella prova elettorale. Adesso non è la cosa più importante.
Adesso la cosa importante è ricostruire l'alfabeto primario della sinistra, proprio a partire dalle cose, riconoscere che aiutare una persona, in qualsiasi modo lo si faccia, è un gesto di sinistra; che lottare per affermare un diritto, negato o non riconosciuto, è un gesto di sinistra; che difendere un bene comune, che qualcuno vuole sottrarre alla collettività, è un gesto di sinistra; che fare una battaglia contro la mercificazione del lavoro, per ridare dignità al lavoro, è un gesto di sinistra. Bisogna ricostruire questo lessico, a partire dai concetti di solidarietà, di giustizia, di etica del lavoro, di legalità, di responsabilità civica. E dobbiamo ricordarci che questi trent'anni hanno pesato in maniera drammatica non tanto sulla politica quanto su questa dimensione che vorrei dire pre-politica, che è stata come annientata, in nomi di valori del tutto opposti.
Spero che la Cgil, la maggioranza della Cgil, che i rappresentanti di quei partiti che in qualche modo presidiano quest'area, se ne rendano conto, partecipando a questo lavoro di base, di educazione ai valori; altrimenti saremo travolti. Tutti. Dovremo farlo, senza fretta, ma con determinazione, partendo dalle energie che ci sono: questo per me è il senso autentico della coalizione sociale. Per questo il progetto non è in conflitto con il sindacato, ma anzi lo aiuta e ne rafforza l'azione; ad esempio allo stato attuale, con questo livello di consapevolezza politica e sociale, il referendum per abrogare il jobs act sarebbe destinato alla sconfitta. Per questo il progetto non è in conflitto con la politica, ma ne costituisce un elemento vivificante.
Prima di tutto ridiamo dignità ai nostri valori, ridiamo senso alle parole. Anche guardandoci negli occhi, in piazza e nei luoghi di lavoro, e imparando a riconoscerci.
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