mercoledì 13 aprile 2016

Verba volant (263): pena...

Pena, sost. f.

Come credo di aver già scritto altre volte, io seguo pochissimo le vicende di cronaca nera, che invece occupano tanta parte dell'informazione, perché il sangue - possibilmente unito al sesso - fa vendere i giornali e fa crescere gli ascolti, alimenta una morbosità su cui tanti lucrano. E per questa ragione non so praticamente nulla dell'omicidio di Vanessa Russo né ho particolari curiosità. Mi ha colpito però la notizia - che immagino avrete letto anche voi - della decisione di un giudice di revocare la semilibertà a Doina Mattei, l'omicida, a seguito della pubblicazione su Facebook di alcune foto, che la ritraggono sorridente al mare.
Tralascio il fatto che Doina sia una giovane donna rumena, il che ha ovviamente scatenato giudizi - e pregiudizi - su questa vicenda, spesso intollerabilmente volgari e dichiaratamente razzisti. La questione offre molti spunti interessanti a prescindere dall'età, dal sesso e dalla nazionalità delle persone coinvolte. Sinceramente non so se nove anni di carcere siano una pena sufficiente per espiare, in tutto o in parte, la colpa di un omicidio. Dovessi rispondere d'istinto direi probabilmente di no, che si tratta di una pena troppo lieve, che nove anni non bastano per cambiare, ma poi, ragionandoci, capisco che non ho nessun elemento per rispondere a questa domanda. Come non ne avete voi. Spero che l'abbiano i giudici, anche se spesso mi viene il dubbio che a molti di loro manchi ogni pur minimo discernimento. Comunque ammettiamo che i giudici abbiano questa facoltà di sapere e di capire quello che noi non possiamo sapere e capire e quindi accettiamo la decisione di quel giudice che ha ritenuto che Doina potesse uscire dal carcere, perché aveva raggiunto un sufficiente grado di consapevolezza della propria colpa.
A dire la verità, non so neppure, in maniera astratta, se una pena sufficiente esista. Forse no. Se ragionassimo seguendo la legge del taglione, allora sarebbe davvero semplice amministrare la giustizia: Doina sarebbe dovuta morire, perché Vanessa. Una vita in cambio di un'altra. Mi pare che ormai tutti - o quasi - accettiamo che la giustizia non possa basarsi su questo criterio. In maniera altrettanto evidente non esiste una pena sufficiente a lenire il dolore di una famiglia che ha subito una perdita così drammatica: qualunque sia la pena scontata da Doina, fosse pure la morte, il dolore dei genitori di Vanessa e di quelli che le hanno voluto bene non sarebbe affievolito in questi nove anni.
La giustizia allora mi pare sia questa ricerca, per forze di cose approssimata, a volte suscettibile di errore, volta a capire quando la persona che ha commesso un delitto, anche uno così efferato come un omicidio, può tornare a essere libera, perché non costituisce più un pericolo e perché ha preso consapevolezza della propria colpa. Come potete immaginare, non amo molto il termine pentimento, che mi pare attenga a un'altra sfera. In alcuni casi probabilmente questo momento non arriva mai, in altri può arrivare anche molto presto. La società affida ai giudici questo compito, sapendo che possono sbagliare.
Tornando alla vicenda che in tanti commentiamo, cosa fa una qualunque ragazza di trent'anni in una bella giornata di primavera in cui non lavora? Se vive vicino al mare probabilmente va in spiaggia con qualcuno che conosce. E visto che ha con sé un telefono - ce l'hanno tutte - si fa una foto e la pubblica su Facebook. Io non ho più trent'anni, eppure domenica sono andato in giro con mia moglie e la sera ho pubblicato le foto di quella gita, per condividere un momento sereno con le persone con cui sono normalmente in contatto. Quelle foto, così normali, così banali, hanno scatenato una reazione violenta, che ha forse contribuito a determinare la decisione di un altro giudice di sospendere la semilibertà. Se quel giudice ha preso questa decisione perché ritiene che Doina non meriti ancora quel regime non ho motivo di discutere il suo verdetto. Lui sa qualcosa che io non so. Se deciderà che Doina non potrà più avere un profilo su Facebook sarebbe una decisione comprensibile, perché ormai in questo nostro mondo così social, dobbiamo anche prevedere questo caso, così come molti di noi hanno deciso a chi far gestire il proprio profilo quando non ci saranno più. Se quella decisione è stato un modo per rispondere alle critiche di una parte di opinione pubblica, credo sia stata un errore, perché appunto noi, tutti noi, non sappiamo.
Ho letto in alcuni commenti che Doina viene accusata di sorridere in quelle foto. Io spero proprio che in questi nove anni Doina abbia avuto l'occasione di sorridere, e non solo in quel pomeriggio al mare, per l'abbraccio di una persona cara o per aver visto un raggio di sole o sentito il cinguettio di un uccello: le cose per cui sorridiamo noi, normalmente, anche quando siamo colpiti da un dolore molto forte, e quel sorriso un po' ce lo attenua, ma certo non ce lo fa dimenticare. Cosa siamo diventati se pretendiamo che chi espia una pena non possa più sorridere?
Uno dei testi fondamentali della nostra civiltà è l'Orestea di Eschilo. Nell'ultima tragedia di questa trilogia si celebra il processo contro Oreste, reo di aver ucciso la madre, colpevole a sua volta di aver ucciso il suo sposo Agamennone, che lei credeva aver ucciso la figlia Ifigenia: è la giustizia basata sulla legge del taglione, una vita in cambio di un'altra vita. Le Erinni, dee antichissime, custodi dell'ordine antico, pretendono la morte del giovane omicida, chiedono vendetta, vogliono che quella scia di sangue non venga interrotta, ma Atena, la dea dell'ordine nuovo, impone l'assoluzione di Oreste. Eschilo racconta, con questo mito, il passaggio dalla vendetta alla giustizia, sancito dal fatto che le Erinni saranno onorate ancora come dee, ma con il nome di Eumenidi, ossia le benevole.
Di questa trilogia c'è una celebre e bella traduzione di Pier Paolo Pasolini, fatta su richiesta di Vittorio Gassman. Quasi al termine dell'ultima tragedia, quando Atena celebra la fine del processo e la decisione delle Erinni di accettare il nuovo ordine, la dea, rivolgendosi ai cittadini di Atene, dice:
Chi non capisce che è giusto accettare
tra noi queste primordiali divinità
non capisce i contrasti della vita.
E, poco dopo aggiunge:
Soltanto chi ama
può ricevere amore.

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