Trattato, sost. m.
Uno dei luoghi comuni più abusati è che l'Unione europea, di cui si festeggiano con scarso entusiasmo, ma con nauseante retorica, i sessant'anni, avrebbe garantito la pace in Europa. Come spesso succede agli espedienti retorici si tratta di una menzogna. L'Unione europea, nelle sue varie denominazioni a partire da quella di Comunità economica europea, nata appunto il 25 marzo 1957 con i Trattati di Roma, è stata lo strumento che ha garantito che Francia e Germania non continuassero a battersi per il controllo del Reno e delle moltissime ricchezze naturali che si trovano nel suo bacino, che è da sempre il confine contrastato di queste due potenze. Questo è il conflitto che ha caratterizzato per secoli - pur con motivazioni esplicite diverse - la storia del nostro continente. Si tratta evidentemente di un risultato importante, a suo modo storico, che ha cambiato le nostre vite - perché la nostra è la prima generazione che non ha corso il pericolo di morire in guerra - ma scambiare questo accordo di non belligeranza per la pace - magari con la p maiuscola come vorrebbero farci credere gli ormai esangui aedi dell'europeismo - è un errore che non possiamo più commettere.
In questi sessant'anni l'Europa non è stata in pace, ha soltanto spostato da un'altra parte i suoi conflitti. I capitalisti della Francia e della Germania e degli altri stati più piccoli, alleati di volta in volta con l'una o l'altra di queste potenze - oltre naturalmente a quelli del Regno Unito - alla fine della seconda guerra mondiale hanno capito che continuare a far combattere gli uni contro gli altri gli stati in cui avevano sede le loro industrie e le loro banche alla fine li avrebbe soltanto danneggiati. Per continuare a difendere i propri privilegi e le proprie ricchezze - anche perché si stavano affacciando da oltre oceano nuovi e molto più terribili concorrenti - era necessario smettere di lucrare sulle guerre tra gli stati europei, ma concentrarsi sul vero conflitto che a loro da sempre importava, ossia quello contro i poveri, contro le masse, sfruttando le quali essi potevano continuare a mantenere e ad accrescere le proprie ricchezze.
In questo 2017 ricorderemo un anniversario ben più significativo per la storia europea che non la firma dei Trattati di Roma: cent'anni fa scoppiò la Rivoluzione d'ottobre e quel fatto cambiò davvero le cose perché la possibilità concreta che il socialismo potesse vincere, non solo in Russia, ma in tutta Europa, mise in moto una reazione delle forze del capitale di cui ancora oggi subiamo le conseguenze, e di cui l'Unione europea è solo uno degli strumenti. Sarebbe interessare riflettere se quella possibilità realmente ci fu - personalmente non ne sono certo - ma evidentemente per molte persone allora era qualcosa di possibile, una speranza e una paura concrete.
Il capitalismo anche per reagire a quella scossa capì che continuare a combattersi sarebbe stato pericoloso per la propria sopravvivenza e poi il mondo stava cambiando, non era così fondamentale controllare la via d'acqua del Reno, mentre si facevano avanti nuovi mezzi di trasporto, e perfino il carbone e l'acciaio non erano più quei beni primari che permettevano di vincere - o di perdere - una guerra: nel mondo che cambiava era molto più importante controllare le informazioni che il carbone. I capitalisti, molto prima dei socialisti, capirono che potevano vincere proprio gestendo meglio questi cambiamenti e lo seppero fare. E in questi sessant'anni hanno vinto, anche grazie all'Unione europea, anche grazie al fatto che noi abbiamo creduto alle loro menzogne. Per questo non c'è ragione di festeggiare una loro vittoria, non c'è ragione di festeggiare la "loro" Europa. Qualcuno, prima o poi, dovrà costruire un'altra Europa, ma dobbiamo essere consapevoli che sarà possibile solo passando per un conflitto, perché non si arrenderanno tanto facilmente. Prima o poi dovremo violare i "loro" trattati, dovremo rompere la "loro" pace.
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