E Tantalo vidi, che pene atroci soffriva,
ritto nell'acqua: e questa s'avvicinava al suo mento;
era là ritto, assetato: ma non poteva prenderne e bere.
Ogni volta che il vecchio voleva piegarsi avido a bere,
tutte le volte l'acqua spariva, inghiottita: intorno ai suoi piedi
nereggiava la terra: la prosciugava un dio.
Con queste parole Odisseo descrive una delle ombre - una delle più celebri - che egli ebbe la ventura di incontrare nel suo viaggio negli Inferi.
In fondo la condizione degli uomini non è così lontana da quella del figlio di Zeus e di Pluto che ebbe la sfrontatezza di far cucinare le carni del proprio figlio Pelope per offrirle agli dei, che erano suoi ospiti in un banchetto. Tantalo peccò di superbia, pensò che gli dei non se ne sarebbero accorti e che, mangiando quella carne, sarebbero diventati complici di quel suo delitto. Ma questa colpa fu punita: Tantalo fu condannato a soffrire per sempre la fame e la sete, ad avere a disposizione acqua fresca e frutti succosi, senza poterli mai raggiungere.
In questi giorni anche noi vediamo che l'acqua si ritira, si allontana, la crediamo vicina, tendiamo le mani, ma è un'illusione, quando serriamo le dita ci rimane solo un pugno di terra arida. E anche noi, come Tantalo, subiamo questa condanna perché abbiamo peccato di superbia, abbiamo creduto che l'acqua fosse sempre a disposizione, anzi crediamo ancora, nonostante la vediamo ogni giorno diminuire, che sia un bene che avremo sempre a disposizione e per questo la sprechiamo. Quando regaliamo un mazzo di fiori abbiamo consumato litri e litri di acqua, perché quei fiori arrivano per lo più dal Kenya e per produrre quei fiori, che dovremo gettare dopo pochi giorni, vengono prosciugati degli interi laghi. E non siamo meno crudeli di Tantalo, perché ogni giorno togliamo l'acqua ai nostri figli, ai nostri fratelli, e in questo modo li uccidiamo. Ogni giorno costruiamo dighe sempre più grandi che interrompono il flusso dell'acqua, perché vogliamo quell'acqua, vogliamo guadagnare da quell'acqua, e quindi siamo disposti a uccidere per averla.
Per Tantalo possiamo perfino provare pietà. Primo Levi, in Se questo è un uomo, racconta: "Sì sentono i dormienti respirare e russare, qualcuno geme e parla. Molti schioccano le labbra e dimenano le mascelle. Sognano di mangiare. È un sogno spietato, chi ha creato il mito di Tantalo doveva conoscerlo".
Noi non meritiamo neppure questa umana forma di compassione.
Per Tantalo possiamo perfino provare pietà. Primo Levi, in Se questo è un uomo, racconta: "Sì sentono i dormienti respirare e russare, qualcuno geme e parla. Molti schioccano le labbra e dimenano le mascelle. Sognano di mangiare. È un sogno spietato, chi ha creato il mito di Tantalo doveva conoscerlo".
Noi non meritiamo neppure questa umana forma di compassione.
SETE E ATTESA
RispondiEliminadi Fausto Corsetti
L’attesa è l’abilità di riconoscere la completezza nel dettaglio e, stupiti, provarne intima riconoscenza. Accade, talvolta, di non vedere nulla o nessuno che desti attenzione, di non avvertire più alcun interesse, di non provare dentro più alcuna passione, di non coltivare più alcuna curiosità, di non assecondare più alcuna sfida, di non lasciarsi sedurre più da alcun sogno.
Tutto appare già sufficientemente noto, sperimentato, appreso, accaduto. Soltanto il “dovere” o un radicato “senso di responsabilità” sembra dare senso a giornate diventate troppo uguali o scontate.
La prova o anche, per altre ragioni, l’appagamento riescono, troppo spesso, a soffocare il desiderio di cercare, di inseguire, di costruire, di sognare, di incontrare, di imparare. Allora il desiderio diventa nostalgia, il sogno illusione, il futuro disincanto, il presente fatica, la vita sopravvivenza.
Senza attesa, senza trepidazione, senza incertezze, senza bisogni non solo non c’è futuro, ma nemmeno presente.
Soltanto la sete e il bisogno rendono possibile il cammino, la ricerca, la passione, il desiderio.
Un poeta appagato dalla vita potrebbe mai abbandonarsi davanti al foglio bianco?
Un pittore nauseato dalla realtà potrebbe mai dare vita ai colori?
Potrebbe mai raccontare qualcosa di nuovo la penna di uno scrittore incapace di andare oltre le apparenze dei fatti e dei sentimenti?
Potrebbe mai inseguire la persona amata colui che rimane concentrato su di sé e sulle proprie aspettative?
La sete è la vera guida della nostra esistenza: insegna al fiore a trattenere la rugiada della notte; muove i passi degli animali alla spasmodica ricerca di lontane pozze d’acqua; spinge l’uomo a chiedere.
Dove c’è sazietà non vi è slancio, dove c’è appagamento non vi è cammino. Se non c’è inquietudine non vi è desiderio e tanto meno voglia di vivere. La sete, la sete di trovare pace, di ricevere tenerezza, di donare amore, di portare gioia, indica che non si è ancora arrivati, non si è ancora trovato, non si è ancora ricevuto, non si è ancora donato.
La sete è incompiutezza, ma resta almeno una buona ragione… per vivere. Solo la sete permette a due amanti di ritrovarsi a sera con la stessa trepidazione, sorpresa, attesa del primo incontro. Solo la sete consente di vivere questa nostra esistenza come un grande dono, come una incessante attesa, come una raccolta mai completata di frammenti che lasciano presagire la Completezza.