sabato 2 febbraio 2019

Verba volant (620): maiale...

Maiale, sost. m.

Secondo il calendario astrologico cinese - che è lunisolare - il 5 febbraio 2019 comincia l'anno del maiale, un animale che in quel paese è simbolo di prosperità e di ricchezza.
Il maiale è per molti popoli un simbolo di abbondanza e di crescita. Per i Romani questo animale era consacrato a Maia, una delle più antiche divinità italiche, quando quel popolo di contadini calcolava ancora il tempo seguendo il corso della luna; e prima che, vergognandosi di essere contadini, trasformassero le loro antiche divinità in imitazioni posticce degli dei della Grecia classica. E così Maia, la dea della fecondità e del risveglio della natura in primavera, la dea della terra e delle sue ricchezze - una delle tante incarnazioni della Grande madre, la dea mediterranea primigenia - divenne semplicemente la madre di Mercurio, una statua bianca in una gipsoteca. Della sua antica potenza rimane una traccia nel nome del mese di maggio - il mese della fioritura - e appunto nella parola che indica familiarmente quello che Linneo ha chiamato sus scrofa domesticus. Peraltro anche in suino c'è una radice - dal greco antico questa volta - che indica lo stesso concetto, ossia la potenza generatrice della natura.
Secondo il racconto di Virgilio, una grande scrofa bianca, con i suoi trenta cuccioli, fu il segno mandato a Enea per dirgli che il suo peregrinare era finito e che in quel luogo, vicino alla foce del Tevere, sarebbe nata la "nuova" Troia, la città destinata a governare su tutto il mondo. Per quel grande poeta, non a caso nato in mezzo alla pianura padana, la scrofa viene prima della lupa.
E allora festeggiamo anche noi, insieme al miliardo e mezzo di cinesi, l'anno del maiale. A dire il vero, noi emiliani, nel nostro piccolo, è da un bel pezzo che "celebriamo" questo animale. O meglio noi celebriamo il maiale attraverso il lavoro delle donne e degli uomini, la loro capacità di saperlo trasformare in un'incredibile serie di salumi, la forza e l'ingegno di renderlo un sapere tradizionale.
Ad esempio visitare la cantina dei culatelli dei fratelli Spigaroli a Polesine, farsi spiegare come vanno stagionati, come bisogna saper "catturare" la nebbia della Bassa, l'umidità del Po e poi il freddo e il caldo della pianura, significa accostarsi - anche se solo per pochi minuti - a una tradizione che affonda in un tempo lontano e in cui generazioni di donne e di uomini di queste terre - che magari non sapevano né leggere né scrivere - hanno affinato una capacità che non ha eguali e che ci permette di gustare qualcosa di unico. E lo stesso si può raccontare per il prosciutto, per il salame Felino, per la coppa, per la spalla cotta di San Secondo - così amata da Giuseppe Verdi, un altro figlio della nostra pianura - solo per citare alcuni tra i più noti salumi della provincia dove vivo, in cui il maiale rappresenta una parte importante del pil. E poi - per allagarsi un po' al resto dell'Emilia - ci sono la mortadella - a cui da bolognese sono molto legato - la salama da sugo, la pancetta piacentina, il cotechino, salumi che sai sempre riconoscere, ma che - quando sono davvero buoni, quando sono fatti come devono essere fatti - sono sempre diversi, perché sono il frutto, oltre che della capacità degli uomini, anche dell'imponderabilità della natura.
Dovremmo festeggiare l'anno del maiale non solo mangiandolo - come facciamo troppo e troppo spesso, visto che non soffriamo più la miseria, che ci ricorda quanta ricchezza rappresenti questo animale - ma soprattutto riuscendo a ricordare quanto sia importante il cibo, come non debba essere svilito e sprecato. E quanto siano fondamentali il saper fare e il saper insegnare, ossia quanto sia fondamentale il lavoro e come questo sia la vera ricchezza della nostra terra.
E soprattutto anche noi dovremmo smettere di vergognarci di essere stati contadini. Nel nome di Maia e del maiale.

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