In merito a quello che sta avvenendo in Afghanistan, stiamo assistendo (e temo che avverrà ancora, in parallelo con il numero dei morti, fatalmente destinato a salire) ad atteggiamenti contradditori e ugualmente poco utili a capire quello che sta succedendo in quel paese: da un lato l'esaltazione retoricamente patriottica, che dura solitamente dalla notizia delle morti al giorno dei funerali, dall'altro lato lo sventolio delle bandiere che chiedono il ritiro immediato delle "truppe di occupazione". In mezzo c'è un mondo politico che si occupa raramente di politica estera (con pochissime eccezioni), che conosce ben poco di quello che avviene fuori dai confini del nostro piccolo paese e che soprattutto "usa" la politica estera per continuare ad alimentare le polemiche politiche di cui si nutre e su cui vive di rendita il sistema politico-giornalistico in cui siamo immersi. E inoltre un sistema informativo che, così attento a ogni piccolo movimento della politica italiana, non si occupa di quello che avviene nel mondo (anche qui con alcune lodevoli eccezioni).
Mi sembra che in Italia una politica estera "diversa" la facciano soltanto i nostri militari, che svolgono con intelligenza il loro ruolo in scenari complessi (a partire proprio dall'Afghanistan), e i vari soggetti (associazioni laiche e religiose, ong, realtà del terzo settore) che animano la parte sana della cooperazione internazionale, ossia quella non dipendente dal nostro Ministero degli Esteri. Sono queste donne e questi uomini, civili e in divisa, che quotidianamente si confrontano con quello che avviene in quel paese, che conoscono i bisogni, le sofferenze di quei popoli, i limiti di un processo di sviluppo, le cose che si possono concretamente fare, al di là di generiche petizioni di principio.
Personalmente penso che a questo punto sarebbe un errore molto grave ritirare le truppe internazionali dall'Afghanistan; sarebbe come accettare una sconfitta che finirebbe per essere carica di terribili conseguenze soprattutto per quella parte della società afghana che sta faticosamente cercando di ricostruire un paese diverso. Se in questi anni il terrorismo di matrice islamica non ha potuto colpire come ha fatto negli anni passati è stato anche grazie (ma non solo) alla presenza militare internazionale in quella regione. Bisogna però modificare profondamente i termini di quella presenza.
Prima di tutto credo occorra togliere il velo dall'ipocrisia della "missione di pace" e dire che le truppe in Afghanistan sono in un paese in guerra e quindi servono altre regole d'ingaggio, forse altri mezzi e altri tipi di armamenti, insomma serve la consapevolezza, soprattutto qui (i nostri soldati là lo sanno benissimo, credo) di essere in guerra.
Poi bisogna fare investimenti, veri, non finalizzati alle commesse e all'arricchimento delle industrie dei paesi occidentali che vedono nelle guerre e nelle successive ricostruzioni lucrosi interessi e la possibilità di uscire da una difficile crisi economica. L'Afghanistan è uno dei dieci paesi più poveri del mondo, con un tasso di analfabetismo del 70%, con una struttura sociale tribale fortemente arcaica. Bisogna dare agli afghani gli strumenti per crescere, consapevoli che ci vorrà del tempo, perché le regole e i modi di un sistema democratico non si apprendono dall'oggi al domani. Era un'utopia pensare che bastasse organizzare le elezioni per introdurre la democrazia in un paese, dove non c'è neppure uno stato. Bisogna trovare accordi, anche economici, con le tribù che vivono sulle montagne. In Europa ci sono voluti quasi due secoli per trasformare un continente fatto di monarchie assolute e di società patriarcali, non meno crudeli né meno aperte verso i diritti delle donne e degli uomini in società democratiche (con tutti i nostri evidenti limiti): non possiamo aspettarci che lo stesso cammino lo svolga un popolo in pochi anni, durante i quali ha conosciuto la faccia feroce del nostro mondo. In Afghanistan, dalle guerre coloniali alla prima guerra mondiale, dall'invasione sovietica all'imbarazzante sostegno alle frange più intrasigenti dei mujaheddin, allo sfruttamento delle grandi compagnie, il mondo occidentale ha grandissime responsabilità. E' ora di dare una svolta.
E soprattutto è ora di parlare qui da noi di questi temi, perché abbia un senso piangere chi di noi decide di andare lì e da quel paese non tornerà. E bisogna anche ricordare che ogni giorno la guerra uccide degli uomini in Afghanistan.
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