Socrate, all'inizio del dialogo, descrive in breve il sistema di governo di Atene, lasciando trasparire il suo giudizio sostanzialmente negativo su una costituzione nella quale ogni cittadino, qualunque sia il suo status, ha titolo per parlare all'assemblea e quindi per governare la polis. Protagora gli risponde dicendo che Zeus “mandò Ermes a portare agli uomini il rispetto e la giustizia, perché fossero principi ordinatori di città e legami produttori di amicizia”.
Protagora conviene con Socrate sul fatto che gli ateniesi, quando devono prendere una decisione su qualche questione tecnica, ascoltano il parere di chi è competente, ma sostiene che, “quando si radunano in assemblea per questioni che riguardano la virtù politica, e si deve quindi procedere esclusivamente secondo giustizia e temperanza, è naturale che essi accettino il consiglio di chiunque, convinti che tutti, di necessità, partecipino di questa virtù, altrimenti non esisterebbero città”. Il sofista poi aggiunge che gli uomini non possiedono la politiché techne, l'arte politica, ma alcuni la possiedono a un grado più elevato e costoro naturalmente hanno maggior titolo degli altri per dare consigli utili allo Stato.
Il sofista pone come principio fondante della società la divisione dei ruoli nella sfera dell'economia e del sapere: nella polis si trovano uomini che fanno gli agricoltori, altri che fanno i falegnami o i fabbri o i commercianti, altri ancora che fanno i medici e tra essi si istituisce un principio di mutua solidarietà, per cui un agricoltore produce il cibo anche per gli artigiani e il medico, gli artigiani producono per l'agricoltore gli oggetti e gli utensili necessari alla sua professione e il medico metta a disposizione di tutti la sua arte. Non riporta però questo principio di divisione dei ruoli nell'ambito della politica, anzi sostiene che tutti hanno le capacità per esercitare un'influenza positiva nelle vicende politiche della città. Nell'altro fondamentale dialogo platonico, il Teeteto, Protagora spiega che nel campo della politica il giusto e l'ingiusto non esistono per natura, ma “è ciò che sembra alla comunità che diventa vero, nel momento in cui sembra e per tutto il tempo in cui sembra”. Le restrizioni di ordine locale e temporale alla validità delle norme giuridiche derivano chiaramente dal consenso democratico, ossia dall'assenso della maggioranza degli uomini in quel luogo e in quel tempo determinati.
Per Protagora lo Stato è qualcosa di essenziale alla vita degli uomini, senza di esso la razza umana sarebbe condannata all'estinzione, uccisa dagli altri, ben più forti, esseri viventi: il possedere l'arte politica è proprio di tutti i cittadini così come il parlare greco tra i Greci. La tesi di Protagora è che la politiché techne non è un dono di natura e nemmeno del caso, come l'essere brutti o l'essere alti, ma è qualcosa che può essere acquisito e soprattutto può essere migliorato. La scoperta di Protagora è che tutti gli uomini possiedono l'arte politica, ma che ciascuno la possiede a un grado diverso: compito del sofista è allora quello di “aiutare chiunque, a diventare buono e virtuoso più di tutti gli altri”. La parola chiave della sua filosofia politica è educazione. L'interesse di Protagora si sposta quindi sulle forme di educazione. Un giovane deve essere educato a essere un cittadino.
Come dice Simonide: “La polis educa l'uomo”. È questo il punto centrale della filosofia politica di Protagora: lo Stato ha una funzione eminentemente educativa e civilizzatrice. Il compito del filosofo, come quello della nutrice, dei genitori e del maestro, è quello di educare i cittadini, di essere cioè l'agente della comunità, il rappresentante momentaneo della volontà generale. Si può dire che Protagora si vuole occupare più degli uomini che delle istituzioni e cerca di scoprire quali qualità morali e intellettuali sono necessarie per una buona convivenza, affinché sia possibile la vita in comunità.
Ogni cittadino è educato dalla sua polis; il sofista poi fornisce una sorta di educazione aggiuntiva, insegna ai più abili a governare la città, a mettere a disposizione di tutti gli altri le loro doti naturali. Protagora immagina una società in cui ogni cittadino, emancipato da un processo formativo che continua per tutta la sua vita, partecipa attivamente alla vita politica, sia alla fase di elaborazione e di decisione, sia a quella di gestione, valendosi comunque dell'aiuto di specialisti, di uomini in cui le doti politiche sono particolarmente sviluppate.
Con queste considerazioni si ribadisce ulteriormente l'idea totalizzante dello stato propria degli antichi e teorizzata da Protagora: la polis è sempre e comunque madre e maestra dei cittadini e la legge della polis è sovrana dei comportamenti degli uomini. La città greca è uno stato che detta le regole della morale e impone dei valori: chi non segue queste regole e non accetta questi valori è fuori dalla polis, come succede a Socrate. Questo è conseguenza del fatto che la comunità deriva la propria autorità dagli dei e quindi, ad esempio, Atene è Atena e della dea assume il potere. Protagora - questa è la vera novità del suo pensiero - costruisce uno stato che ha un forte senso etico, un'ideologia dell'onnipotenza della polis senza gli dei, anzi esplicitamente negandone l'esistenza: lo stato per il sofista è una sorta di divinità che giustifica ogni cosa e prima di tutto se stesso.
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