venerdì 14 maggio 2010

Considerazioni libere (110): a proposito di donne e di crisi...

Forse vi è capitato di sentire una canzone degli anni Trenta intitolata "Ma cos'è questa crisi?": un motivo allegro, scanzonato, tipico di quegli anni, che pure allegri non erano per gli italiani e preparavano un futuro che sarebbe stato ancora più drammatico. Dopo più di settant'anni siamo ancora qui a chiederci: "ma cos'è questa crisi?", cercando di capire come ci colpirà, a cosa dovremo rinunciare, quali sacrifici saremo costretti a fare. Come si faceva nell'Italia degli anni Trenta, anche noi preferiamo nascondere gli aspetti più drammatici di questa crisi, di cui non capiamo tutta la portata. Alcuni giorni fa ho dedicato una mia "considerazione" alle persone che non riescono a sopportare il peso di questa situazione, che si lasciano travolgere a volte più dalla stessa idea della crisi che dalle vere e proprie difficoltà della loro vita, che decidono di lasciare andare tutto, fino ad arrivare alla più estrema delle scelte.
Oggi voglio raccontare un aspetto di cui nessuno parla, perché si svolge tanto lontano da noi da permetterci di trascurarlo. Parliamo tanto di "villaggio globale", ma non sappiamo - o forse non vogliamo sapere - quello che succede nell'altra parte di questo villaggio che è il nostro pianeta.
La Cambogia è uno dei paesi che sta pagando maggiormente gli effetti della crisi finanziaria globale: il tasso di crescita è sceso dal 6,7% del 2008 al 2,1% del 2009 e le prospettive per il 2010 sono ancora peggiori. Il settore che ha più sofferto di questo calo è stato quello tessile, che aveva rappresentato fin dall'inizio degli anni '90 uno degli elementi più dinamici dell'economia cambogiana, grazie soprattutto al lavoro delle donne, una manodopera meno istruita e conseguentemente meno retribuita. In Cambogia il settore tessile impiega 350mila persone, per il 90% donne, e ha innalzato l'occupazione femminile dal 28% del '98 al 40% del 2004. Naturalmente, qui in occidente, non ci siamo mai posti il problema del costo della manodopera delle donne cambogiane quando acquistavamo capi di abbigliamento a prezzi estremamente conveniente né ora ci poniamo il problema di cosa sta succedendo a quelle stesse donne, dal momento che il mercato mondiale ha subito una forte contrazione e il settore del tessile in quel paese ha cominciato a licenziare moltissime donne. Le donne continuano a essere l'anello debole della catena, prima lo erano in quanto lavoratrici con meno diritti - ma almeno erano lavoratrici - ora lo sono come merce per il sempre fiorente mercato del sesso. Non ci sono numeri precisi, ma ogni giorno molte donne cambogiane sono oggetto di traffico e ridotte in schiavitù, usate nei bordelli e nei centri massaggi, mandate all'estero per alimentare il mercato della pornografia e della pedopornografia. Questo pare sia un mercato che non conosca crisi, grazie naturalmente ai dollari e agli euro che spendiamo noi occidentali, anzi per la precisione noi maschi occidentali. La crisi colpisce sempre più le famiglie e mette a rischio le generazioni più giovani; in Cambogia il livello di analfabetismo tra le donne è già al 40% - contro il 15% degli uomini - e naturalmente questa condizione economica spinge le famiglie a mandare le bambine a lavorare o peggio a ingrossare le fila delle schiave del sesso.
Ma cos'è questa crisi?

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