sabato 29 maggio 2010

Considerazioni libere (119): a proposito di Bologna (II)...

Alcuni giorni fa ho scritto una "considerazione" piuttosto critica sulla mia città (la nr. 117, per la precisione); a questo punto mi sembra doveroso scriverne una sorta di seguito o meglio, per dirla alla maniera di Bacone, far seguire alla pars destruens una pars construens, per non lasciare un'eccessivo senso di pessimismo nei miei sparuti lettori.
In queste settimane a Bologna molti si domandano quale dovrà essere il profilo del prossimo sindaco o più prosaicamente scommettono su chi sarà il nuovo inquilino di Palazzo d'Accursio, saggiando alcuni nomi, bruciandone altri, tenendone nascosti altri ancora: in una parola il peggio della politica. Alcuni altri stanno provando a ragionare sul modello di città a cui aspiriamo e che legittimamente possiamo pensare di costruire; francamente questa discussione mi pare un poco più interessante. Questa città ha conosciuto la sua fase migliore, dall'immediato dopoguerra agli anni settanta del secolo scorso, perché la sua classe dirigente - tra il pragmatismo bonario di Giuseppe Dozza e l'analisi intellettuale un po' aristocratica di Renato Zangheri, passando per molti altri politici e amministratori, non solo proveniente dalle fila del Pci - aveva ben in testa un modello da seguire: Bologna doveva essere il modello della buona amministrazione, il modello del riformismo socialista in un Paese che era governato dall'immobilismo democristiano. Voglio far notare - ma è cosa nota - che il fatto che Bologna fosse l'unica grande città italiana da sempre governata dal Pci ha fatto sì che qui anche il livello degli esponenti della Dc sia stato mediamente più alto che a livello nazionale. Naturalmente non sempre i risultati furono all'altezza del modello - occorre essere onesti, al di là delle comprensibili nostalgie - ma fu importante avere una linea da seguire. E soprattutto fu importante che questa idea fosse non solo prerogativa di un gruppo dirigente, per quanto allargato, ma condivisa da un gran numero di cittadini, il cui senso civico e la cui sensibilità politica erano certamente sopra la media.
So bene che è impossibile ricreare quel clima ideale, non ci sono più da tempo le condizioni storiche e politiche perché questo avvenga. A essere onesti e per ristabilire una dura verità storica, Bologna è stata così duramente colpita dal terrorismo - basti pensare alla strage del 2 agosto - proprio perché non fosse più quel modello e bisogna dire che l'obiettivo è stato raggiunto. Nonostante questa necessaria premessa, credo che potremmo convenire su un'idea, su qualcosa su cui investire in maniera unanime, in modo che gli sforzi di tutti prendano una stessa direzione o almeno direzioni non troppo divergenti, come sta invece avvenendo ora. Personalmente penso che Bologna, accantonata l'idea di essere di nuovo un modello di qualcosa, potrebbe trovare la sua ragion d'essere, la sua idea forte - mi verrebbe da dire la sua anima, mi sembra il termine più chiaro - nel suo patrimonio culturale e creativo. Non pretendo di essere originale e so bene che tante volte ho sentito la frase "Bologna deve investire sulla cultura", ma altrettanto spesso ho visto disattesa questa dichiarazione di principio.
A Bologna c'è un'università che ha certo molti problemi, come ogni altra università italiana, ma che continua a godere di un prestigio in molti campi; a Bologna ci sono moltissimi artisti, scrittori, cineasti, teatranti, fumettisti, musicisti; a Bologna c'è già un pubblico potenzialmente attento e soprattutto può facilmente arrivarci da ogni parte d'Italia; Bologna continua a essere una bella città, nonostante l'incuria in cui versa da parecchi anni. E allora la città provi davvero a investire sulla cultura e sulla creatività. Facciamo in modo che i giovani che vengono a studiare a Bologna siano accolti dalla città, lottando veramente contro la piaga del caro affitti - basterebbero pochi controlli per scoprire i tantissimi proprietari che affittano in nero le loro case a prezzi oltre ogni vergogna - offrendo servizi e luoghi di aggregazione. Proviamo a immaginare iniziative, eventi, festival; negli anni passati, ne sono stati fatti di importanti e belli, pensiamo davvero di non esserne più capaci? Certo bisogna uscire dalla logica delle iniziative a spot, occorre programmare, seminare, anche rischiare. Torniamo a investire nei musei, nelle biblioteche, nei luoghi dove naturalmente e ogni giorno si produce cultura. Pensiamo cosa sarebbe la nostra città se si tornasse a lavorare sull'aggregazione associativa, su una miriade di piccoli eventi disseminati nelle vie e nelle piazze del centro e delle periferie - scusate l'inciso personale, ma ricordo con gioia alcune piccole feste dell'unità, ad esempio nei giardini della ex manifattura tabacchi e in piazza XX settembre. Sarebbe una città più pulita, più sicura e con una mobilità più sostenibile. Proviamo a immaginare un turismo diverso che non sia soltanto quello legato alle fiere. Io credo che ci sia una ricchezza possibile in una città che riscopra la sua anima accogliente, ospitale, anche un po' gaudente, che torni a essere un luogo a cui si guarda, in cui si abbia voglia di abitare, in cui faccia piacere venire, una città di cui si invidino almeno un po' i suoi cittadini.

2 commenti:

  1. bravo ! un pò romantico, ci devi lavorare ancora...

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  2. Quando non si ha l'onere del governo, ci si può permettere qualche "romanticheria"...

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