martedì 28 settembre 2010

Considerazioni libere (167): a proposito di parti e di ticket sanitari...

Partiamo da alcuni numeri. La Sierra Leone è un paese con circa cinque milioni di abitanti; è il primo paese al mondo per mortalità infantile sotto i cinque anni (282 ogni mille nati vivi) e per mortalità materna (2.100 ogni centomila nascite). In tutto il paese, per circa tre milioni di donne, ci sono cinque ginecologi e 95 ostetriche. Negli ultimi tre anni la Sierra Leone ha ricevuto più di 250 milioni di dollari per sostenere la sanità pubblica dall'Unicef, dal governo inglese e dalla Banca mondiale. C'è un evidente sproporzione tra queste risorse e il dramma, che continua, della mortalità infantile e femminile. In particolare bisogna cercare le cause del fatto che tante donne e tanti bambini continuano a morire per le conseguenze del parto.
C'è prima di tutto la mancanza di capacità e di strumenti da parte delle autorità del paese africano per gestire un tale flusso di denaro; questa mancanza è fonte di sprechi, ma soprattutto di di fenomeni di clientelismo e corruzione. Non è un caso che proprio l'ex ministro della sanità di Freetown sia in attesa di giudizio in un processo per corruzione.
Un'altra gravissima causa di queste morti è la scarsa considerazione di cui godono le donne in quella società. La poligamia porta a svalutare il valore della vita della donna; a volte un travaglio ostruito è considerato come il segno dell'infedeltà della moglie; l'infibulazione fa aumentare i rischi per le donne, in particolare al primo parto. Sono tutti aspetti di pregiudizi e di imposizioni culturali che, svilendo il valore della donna, fanno sì che una famiglia decida con riluttanza di impiegare risorse per curare una donna incinta o che ha appena partorito quando stia male. Gli aiuti internazionali dovrebbero essere indirizzati anche a investimenti su questi aspetti, troppo spesso trascurati.
C'è infine un terzo ordine di ragioni, che investe le linee di fondo che stanno dietro agli aiuti dei paesi occidentali, alle scelte ideologiche dei paesi donatori. Anche qui ci sono tre elementi da considerare. Il primo è la scelta di voler favorire sempre e comunque i metodi di parto tradizionali; per fare questo sono state investite ingenti risorse per educare e formare le anziane dei villaggi come levatrici. In molte - troppe occasioni - queste donne non sono state in grado di affrontare le emergenze, perché erano impreparate e comunque diffidenti a chiedere aiuti e consigli a medici e ostetriche, nei casi di parti difficili e con complicazioni. Inoltre le anziane dei villaggi sono loro stesse protagoniste e vittime di quei pregiudizi che minano il valore delle donne.
Il secondo elemento riguarda la riduzione dei finanziamenti per la pianificazione familiare; negli otto anni della presidenza di George W. Bush il governo statunitense, sollecitato da influenti gruppi di pressione della destra religiosa, ha ritirato tutti i fondi destinati allo sviluppo della contraccezione. In Sierra Leone i contraccettivi sono usati da meno del 4% delle donne.
C'è infine la questione dei ticket sanitari. Le autorità internazionali, prima di tutto la Banca mondiale, hanno imposto ai paesi africani di introdurre una serie di tariffe per i servizi sanitari, per partecipare alla copertura delle spese ed evitare gli sprechi e l'uso indiscriminato dei farmaci. La Banca mondiale e i paesi donatori hanno condizionato l'erogazione degli aiuti all'introduzione di questi ticket. In Sierra Leone una visita all'ospedale costa 5.000 leoni, pari a 98 centesimi di euro, una cifra considerevole per una popolazione che al 70% vive con meno di un dollaro al giorno; la prima visita ginecologica costa 25.000 leoni, il guadagno di circa due settimane di lavoro, un "lusso" che le donne di quel paese non si possono permettere e che le loro famiglie a volte non vogliono pagare. Così, paradossalmente nel paese con più alta mortalità infantile del mondo, l'unica clinica ostetrica della capitale Freetown è decisamente sottoutilizzata, perché sono pochissimi quelli che sono in grado di pagare i ticket richiesti. L'introduzione dei ticket in Africa ha di fatto provocato un aumento della mortalità, perché le persone preferiscono rinunciare alle cure ospedaliere; la copertura delle spese sanitarie è soltanto del 5%, ben al di sotto di quello previsto dagli analisti della Banca mondiale. In Africa si sta fortunatamente tornando indietro da questa decisione. In Uganda è stata varata una legge che istituisce il sistema sanitario gratuito: il ricorso agli ospedali è raddoppiato, venendo utilizzato in particolare dalle fasce più povere della popolazione. Altri paesi hanno seguito l'esempio dell'Uganda e da ultimo anche il governo della Sierra Leone ha deciso di abolire i ticket per le donne incinta e i bambini con meno di cinque anni. Vedremo i risultati.
Gli esperti della Banca mondiale però non demordono e chiedono che, al posto dei ticket, vengano introdotte forme di assicurazione medica, una strategia che può funzionare soltanto in paesi in cui il sistema sanitario funziona, e non è questo certo il caso. Ancora una volta si vede come i nostri schemi di intervento possano essere dannosi per i paesi più poveri del mondo. E soprattutto inefficaci.

p.s. devo questa storia al giornalista inglese Alex Renton, autore di un articolo su Prospect, tradotto e pubblicato nel nr. 864 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

Nessun commento:

Posta un commento