Sto cercando di farmi un'opinione sulla riforma Gelmini, ma non è davvero semplice. Nonostante questo sia il tema del giorno, mi pare si discuta molto poco del merito della legge. La maggioranza ne ha fatto la bandiera del cosiddetto "governo del fare", provando a lasciare un segno - speriamo l'ultimo, in vista del 14 dicembre - della capacità di produrre iniziative politiche, nonostante il momento di estrema debolezza. Il gruppo "futurista" ha usato la riforma, in maniera piuttosto ribalda, per continuare a indebolire il governo, ha proposto emendamenti per tenere sotto scacco la maggioranza e dimostrare che non ha più i numeri per governare; furbescamente e senza vergogna, Fini ha dichiarato che questa riforma è una delle cose migliori che ha fatto il governo, mentre i finiani salivano sui tetti della facoltà di architettura per solidarizzare con i manifestanti. L'opposizione si è barcamenata, cercando di entrare nel gioco parlamentare attraverso le divisioni del centrodestra e sostenendo le proteste degli studenti e dei ricercatori. In sostanza mi sembra che di università si sia parlato - e si parli - assai poco, perché i vari attori in commedia sono impegnati a recitare un altro copione.
Paradossalmente neppure nelle piazze si parla molto di università. Ho l'impressione che i ragazzi che in questi giorni stanno animando la protesta, con una lodevole energia e con la capacità di trovare consensi anche in altri strati del paese, non stiano lottando solo contro questa riforma, ma più in generale protestino contro una società che offre sempre meno prospettive. E hanno ragione da vendere, perché il sistema formativo funziona poco e male - e l'università funziona molto male - perché il mondo del lavoro è pronto ad accoglierli solo come precari senza diritti, perché la politica non offre loro nessuna credibile risposta. C'è sempre molte cose nelle manifestazioni degli studenti e nelle occupazioni. Francamente non ricordo che cosa chiedevamo, all'inizio degli anni novanta, nelle manifestazioni della cosiddetta "pantera", ma ricordo una grande e bella manifestazione, qui a Bologna, che ci portò da piazza Verdi fin davanti al tribunale con l'obiettivo di autodenunciarci tutti, perché alcuni ragazzi erano stati denunciati per l'occupazione del rettorato - o della facoltà di scienze politiche, non ricordo bene dopo vent'anni. Le manifestazioni degli studenti sono anche questo: l'espressione del bisogno di esserci, di dire la propria, così, a prescindere.
Bisogna fare attenzione, perché ci sono quelli che usano queste manifestazioni, che approfittano dell'entusiasmo della folla: ci sono i militanti di tutte le stagioni, quelli che vorreberro sempre distruggere qualcosa, ma ci sono anche quelli che trovano nelle manifestazioni un comodo pretesto per ricompattare il fronte dei "benpensanti". Oggettivamente le manifestazioni di questi giorni sono servite al centrodestra per ricompattarsi, per segnare un punto tra chi sta di qua e chi sta di là; spiace che in alcuni casi le forze dell'ordine siano state usate in questo gioco. Chi in questi giorni ha voluto militarizzare Roma o ha dato l'ordine di dare qualche "colpetto" ai ragazzi dei cortei aveva un obiettivo ben preciso.
Per tornare al merito, ossia alla legge sull'università, io per farmi un'idea ho guardato a chi sta protestando contro la riforma Gelmini: è un metodo empirico, ma - almeno secondo me - efficace. Protestano gli studenti, protestano i ricercatori, ossia protestano le ultime ruote del carro. Come ho detto sopra, credo che gli studenti facciano bene a protestare, ma così facendo non devono difendere un vecchio assetto che rischia di essere peggiore di quello che uscirebbe dalla riforma. I ricercatori, quelli veri, quelli capaci, hanno poi il diritto sacrosanto di protestare, perché davvero il loro ruolo è misconosciuto, ma non solo da questa riforma.
Non protestano, se non per fare bella figura, per fare vedere quanto sono democratici, i professori, ossia chi davvero gode di privilegi ed è ben deciso a conservarli. Io appoggerei una riforma dell'università - così, a scatola chiusa - se sapessi che la sua applicazione scatenerebbe le ire dei professori: vorrebbe dire che si è cominciato a mettere mano a un sistema che non funziona, dove troppi fanno troppo poco, dove chi è mediocre riesce comunque a barcamenarsi, dove non è sostanzialmente importante se tu sia bravo o no, se tu sia un docente capace o no. Francamente non è possibile che un docente italiano possa essere licenziato soltanto se è scoperto, in flagrante, a fare sesso con una sua studentessa; e anche in questo caso scattano dei distinguo. Servono veri meccanismi di selezione che possano premiare chi è capace, a partire da nuovi metodi di selezione: i concorsi universitari, così come sono ora organizzati, diventano sempre più oggetto di cronaca giudiziaria. Io all'università ho avuto alcuni docenti bravi e altri molto meno bravi, prendevano tutti lo stesso stipendio, avevano tutti garantita la cattedra fino alla pensione. In generale i peggiori erano quelli con maggiori relazioni, con una più rete più fitta di assistenti, con una "clientela" più vasta. Io, da studente, ho dato esami con gli uni e con gli altri e spesso i voti migliori li ho avuti con i peggiori. E nessuno dei miei docenti è mai stato valutato per quello che ha insegnato o non ha insegnato. Certo chi scrive libri, chi pubblica articoli, chi viene invitato a partecipare a seminari e a convegni, ha una stima accademica maggiore, ma alla fine questo importa fino a un certo punto, se non ci sono altri sistemi per premiare e per non premiare.
Da quello che ho letto non mi pare che questa riforma, come quella che l'hanno preceduta - comprese quelle del centrosinistra - incida davvero su questo stato di cose. L'università pubblica meriterebbe altro e meriterebbe che si lottasse davvero per cambiarla.
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