martedì 5 luglio 2011

da "Protagora" di Platone

Il mito di Protagora
C'era un tempo in cui esistevano gli dei, ma non esistevano le stirpi mortali. Quando anche per queste giunse il tempo segnato dal destino per la loro generazione, nell'interno della terra gli dei le plasmarono, facendo una mescolanza di terra e di fuoco, e degli altri elementi che si possono unire col fuoco e con la terra. E quando si trovarono nel momento di farle venire alla luce, affidarono a Prometeo e ad Epimeteo il compito di fornire e di distribuire le facoltà a ciascuna razza in modo conveniente. Ma Epimeteo chiese a Prometeo di poterle distribuire lui da solo: “Quando avrò finito la distribuzione - soggiunse - tu verrai a vedere”. E, così persuasolo, si accinse all'opera di distribuzione. Ad alcune razze diede la forza senza la velocità, e fornì invece le razze più deboli di velocità. Ad altre assegnò armi di difesa e di offesa, mentre per altre ancora, cui aveva dato una natura inerme, escogitò altre facoltà, per garantire la loro salvezza. Infatti, a quelle razze che egli rivestì di piccolezza, diede la capacità di fuggire con le ali, oppure di celarsi sotto terra; invece a quelle cui fornì la grandezza, diede la possibilità di salvarsi appunto con questa. E anche le altre facoltà distribuì in questo modo, in maniera che si equilibrassero. Ed escogitò queste cose facendo attenzione che nessuna razza si potesse estinguere. E, allorché ebbe premunite le varie razze dei mezzi per sfuggire alle distruzioni reciproche, escogitò un espediente perché si difendessero contro le intemperie delle stagioni che manda Zeus, rivestendole di folti peli e di spesse pelli, capaci di difenderle dal freddo e in grado di proteggerle dalle calure, e tali che, quando si coricavano nei loro giacigli, questi servissero da coltri naturali, proprie a ciascuna di esse. E ad alcune fornì zoccoli ai piedi, ad altre pelli dure e senza sangue. Successivamente, fornì cibi diversi per le diverse razze: ad alcune assegnò le erbe della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre le radici. E vi sono razze cui concesse di divorare altre razze di animali per nutrirsi; e provvide che le prime avessero una scarsa prole, e che quelle che dovevano essere divorate da queste avessero invece una numerosa prole, assicurando la conservazione della razza. Orbene, Epimeteo, che non era troppo sapiente, non si accorse di aver esaurito tutte le facoltà per gli animali; a questo punto gli restava ancora la razza umana non sistemata, e non sapeva come rimediare. Mentre egli si trovava in questa situazione imbarazzante, Prometeo viene a vedere la distribuzione e si accorge che tutte le razze degli altri animali erano convenientemente fornite di tutto, mentre l'uomo era nudo, scalzo, scoperto e inerme. E ormai s'avvicinava il giorno segnato dal destino in cui anche l'uomo doveva uscire dalla terra alla luce. Allora, Prometeo, in questa imbarazzante situazione, non sapendo quale mezzo di salvezza escogitare per l'uomo, ruba ad Efesto e ad Atena la loro sapienza tecnica insieme con il fuoco (senza il fuoco era infatti impossibile acquisire e utilizzare quella sapienza), e la dona all'uomo. In tal modo, l'uomo ebbe la sapienza tecnica necessaria per la vita, ma non ebbe la sapienza politica, perché questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era ormai più possibile entrare nell'acropoli, dimora di Zeus; per giunta, c'erano anche le terribili guardie di Zeus. Entra dunque furtivamente nell'officina di Atena e di Efesto, in cui essi praticavano insieme la loro arte, e, rubata l'arte del fuoco di Efesto e quella di Atena, la dona all'uomo. Di qui vennero all'uomo le sue risorse per la vita. Ma Prometeo, a causa di Epimeteo, in seguito, come si narra, subì la pena per il furto.
E poiché l'uomo divenne partecipe di sorte divina, in primo luogo, in virtù di questo legame di parentela che venne ad avere con il divino, unico fra gli animali credette negli dei, e intraprese a costruire altari e statue di dei. In secondo luogo, rapidamente con l'arte sciolse la voce e articolò parole, inventò abitazioni, vesti, calzari, letti e trasse gli alimenti dalla terra. Provvisti in questo modo, da principio, gli uomini abitavano sparsi qua e là, e non esistevano città. Pertanto perivano ad opera delle fiere, giacché erano molto meno potenti di esse: l'arte che essi possedevano era per loro un adeguato aiuto nel procurarsi il nutrimento, ma non era sufficiente alla guerra contro le fiere. Infatti, essi non possedevano ancora l'arte politica, di cui l'arte della guerra è parte. Pertanto, essi cercavano di raccogliersi insieme e di salvarsi fondando città; ma allorché si raccoglievano insieme, si facevano ingiustizie l'un l'altro, perché non possedevano l'arte politica, sicché, disperdendosi nuovamente, perivano. Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente, mandò Ermes a portare agli uomini il rispetto e la giustizia, perché fossero principi ordinatori di città e legami produttori di amicizia. Allora Ermes domandò a Zeus in quale modo dovesse dare agli uomini la giustizia e il rispetto: “Devo distribuire questi come sono state distribuite le arti? Le arti furono distribuite in questo modo: uno solo che possiede l'arte medica basta per molti che non la posseggono, e così è anche per gli altri che posseggono un'arte. Ebbene anche la giustizia e il rispetto debbo distribuirli agli uomini in questo modo, oppure li debbo distribuire a tutti quanti?”. E Zeus rispose: “A tutti quanti. Che tutti quanti ne partecipino, perché non potrebbero sorgere città, se solamente pochi uomini ne partecipassero, così come avviene per le altre arti. Anzi, poni come legge in mio nome che chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso come un male della città”.

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