Credo ricorderete anche voi. All'inizio dello scorso mese di agosto, mentre in Italia eravamo impegnati a decifrare la ormai famosa lettera inviata da Draghi e Trichet, che ci imponeva quelle serie misure economiche poi messe in pratica dal professor Monti, precisamente tra il 6 e il 10 agosto, al di là della Manica migliaia di giovani hanno devastato interi quartieri di Londra e di altre città britanniche. Per alcune notti, mentre i governanti inglesi erano in vacanza e la polizia era senza guida - dal momento che il comandante di Scotland Yard e il suo vice erano stati costretti alle dimissioni per lo scandalo legato alle intercettazioni del quotidiano News of the World - i giovani delle periferie inglesi hanno distrutto arredi pubblici, incendiato automobili, assaltato negozi e grandi magazzini, compiuto razzie. Poi, quando le autorità si sono risvegliate, è arrivata una dura repressione: il governo conservatore ha annunciato di aver ristabilito l'ordine e si è data larga enfasi alle persone che, armate di scopa, hanno ripulito quei quartieri, esempio della Big society propugnata da Cameron. Di quell'episodio di violenza di massa non si parla più, come non si parla più delle rivolte nelle banlieues parigine represse dall'allora ministro degli interni Sarkozy: la polvere è opportunamente stata messa sotto il tappeto.
Fortunatamente alcuni sociologi inglesi hanno deciso di fare un'indagine su quel fenomeno per cercare di capire quali cause abbiano portato a episodi di violenza di questa gravità. In questi giorni il quotidiano inglese Guardian, che ha anche collaborato alla ricerca, ha pubblicato i risultati di uno studio realizzato dalla London School of Economics. Per condurre l’analisi sono state intervistate 270 persone che hanno partecipato alle sommosse di Londra, Birmingham, Liverpool, Nottingham, Manchester e Salford; oltre a questi racconti, i ricercatori hanno anche raccolto e analizzato circa 2,5 milioni di messaggi su Twitter legati ai giorni delle violenze, ottenendo una quantità di dati e di informazioni senza precedenti per studiare il fenomeno.
La maggior parte dei giovani ha detto di aver partecipato alle violenze per esprimere la loro forte ostilità nei confronti della polizia; molti si dichiarano esasperati dal modo in cui le autorità si occupano dei loro quartieri. Molti altri hanno ammesso di aver partecipato semplicemente per poter rubare in modo indisturbato oggetti che difficilmente avrebbero potuto permettersi in maniera legale; hanno ammesso di aver approfittato del vuoto di potere per compiere queste razzie.
L'indagine serve anche a sfatare alcuni luoghi comuni che si sono diffusi su queste sommosse. Il primo ministro Cameron disse che le violenze erano state fomentate dalle bande criminali e che di conseguenza il governo avrebbe investito maggiori risorse, in uomini e mezzi, contro questo fenomeno; era evidentemente un modo per allontanare il problema. Dalla ricerca emerge che certamente parteciparono alle sommosse alcuni membri delle gang, ma che il loro apporto all'organizzazione fu del tutto marginale; semplicemente furono tra i tanti che approfittarono della situazione. Trai 270 manifestanti intervistati poco meno della età erano studenti al momento della sommossa. Il 59% erano disoccupati. Circa la metà sono di origini africane, ma nessuno di essi sostiene che le sommosse avessero una particolare connotazione razziale.
In quei giorni si disse anche che le sommosse erano state organizzate attraverso i social network, con la condivisione di informazioni sui profili e le pagine di Facebook; naturalmente fu chiesto anche maggior controllo sulla rete, scambiando il mezzo per il problema. Dopo aver analizzato i dati, i ricercatori non hanno trovato un particolare aumento dell’attività sui social network in quei giorni. Sono stati usati i telefoni cellulari, e i ragazzi si scambiavano sms per informarsi a vicenda su dove stavano avvenendo i saccheggi.
La causa profonda di quello che è successo in quelle poche notti di agosto è la profonda disuguaglianza della società. In Gran Bretagna c'è una separazione di classi ancora fortissima, a cui si lega una condizione di disagio e degrado sociale molto rilevante, acuita, ma non causata, dall'immigrazione. Come ho già avuto modo di dire anche in un'altra "considerazione", non può essere un caso che le sommosse siano partite proprio da Tottenham, un quartiere in cui sono stati chiusi, per problemi di bilancio, diversi centri sociali giovanili, lasciando senza luoghi e attività molti giovani disoccupati del quartiere. Le forti tensioni sociali, che in Gran Bretagna hanno una storia recente che risale almeno agli anni Ottanta, hanno portato a un tasso di illegalità e di criminalità molto alto, a cui si è risposto con interventi di polizia sempre più violenti, in una spirale che non si è avuto la capacità di spezzare; in molte comunità degradate la polizia è un "nemico" dichiarato e la diffidenza è cresciuta a dismisura, coinvolgendo tutte le istituzioni, compresa la scuola. C'è stato però qualcosa di più in queste sommosse, che il dettagliato rapporto pubblicato dal Guardian mette in luce. Il consumismo, il desiderio esasperato di beni di cui non ci sarebbe il bisogno, hanno segnato quelle notti di violenza; questo consumismo ha dominato la cultura dei ribelli, così come è l'elemento dominante del sistema a cui si ribellano: quei giovani non si ribellano a nessun sistema, vogliono soltanto cambiare il proprio ruolo all'interno di quel sistema. Basta leggere come Manzoni racconta la rivolta del pane nella Milano dei Seicento; è la stessa storia: è il concetto del saccheggio, evoluto in società più ricche che non hanno bisogno del pane per cui si facevano i tumulti di una volta.
Io credo che occorra fare un passo in più, anche perché quello che è successo in agosto in Gran Bretagna potrebbe presto ripetersi in qualsiasi altro paese europeo, vista l'attuale situazione di crisi e la sostanziale identità di risposte fornite dalle autorità finanziarie internazionali, con il loro pensiero unico ultraliberista. Bisogna capire qual è la condizione di strati sempre più numerosi delle nostre società, che sono più povere e soprattutto che sentono di avere minori prospettive di quelle avute dalle generazioni prima di loro.
Bisogna partire da un punto preciso. Le aspirazioni delle persone non sono una minaccia per la convivenza civile e per la democrazia, come pensano quelli che intendono quest'ultima semplicemente come il modo di costruire consenso intorno a decisioni già prese altrove e da altri, quelli che considerano i cittadini soltanto come consumatori, il cui desiderio di merci può essere indirizzato verso determinate proposte di mercato. In questo sistema le aspirazioni della maggioranza devono essere ricondotte a una ragionevole compatibilità; per costoro noi dobbiamo sempre desiderare nuove cose e quindi spendere per ottenerle, ma queste cose sono altri a decidere che sono per noi necessarie. I giovani inglesi - come in ogni altra parte del mondo - sono stati spinti a considerare il telefono cellulare, o meglio l'ultimo modello di telefono cellulare, come una necessità, qualcosa di cui non poter fare a meno, tanto da causare delle sommosse per poterlo avere. In quest'ottica è chiaro che le aspirazioni che nascono autonomamente tra gli strati più poveri della società sono vissute come una minaccia per i gruppi dominanti
Le aspirazioni non sono una minaccia, nutrono la democrazia: la capacità di desiderare un'altra condizione di vita - come ci hanno insegnato i nostri padri e le generazioni ancora precedenti - è per i poveri la premessa indispensabile per riconoscere la propria condizione, per prendere parola, per protestare e per farlo insieme, per creare sistemi mutualistici e cooperativi, per cambiare la propria vita.
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