C'è un'opinione corrente, ormai piuttosto radicata e pigramente accettata dai commentatori, secondo la quale la Sicilia sarebbe una sorta di "laboratorio politico" e quindi che l'esito delle elezioni in quell'isola prefigurerebbe e anticiperebbe l'esito delle elezioni nazionali. Non lo so. Io ho una certa idiosincrasia per i "laboratori", mi pare un espediente per giustificare teorie già formate e compiute, di cui si cerca semplicemente una conferma; da emiliano, non ho mai creduto neppure al "modello emiliano", di cui pure ci sono stati fior fiore di teorici, in genere non emiliani. Allo stesso modo mi pare che la tesi del "laboratorio siciliano" sia sostenuta in particolare da coloro che siciliani non sono e soprattutto da quelli che, avendo vinto le elezioni in quella regione, sperano legittimamente di ripetere lo stesso risultato nel resto dell'Italia. In questi giorni ad esempio sostengono con vigore questa tesi gli amici del Pd che da più tempo perseguono l'obiettivo di un rapporto organico con l'Udc. Siccome sono convinti dell'esito finale, qualsiasi cosa succeda la considerano un sostegno della propria tesi: non esattamente un metodo scientifico. Al netto di questa lettura un po' semplicistica, il voto di domenica scorsa ci lascia alcune questioni aperte. A me ne interessano essenzialmente due: l'altissima astensione e l'incapacità della sinistra di raccogliere la voglia di cambiamento, che è intercettata quasi esclusivamente dal Movimento 5 stelle. In questa "considerazione" provo ad affrontare la prima questione. Ci sarà tempo per affrontare l'altra.
Nell'euforia della vittoria e nel tentativo di minimizzare la sconfitta, nessun politico - e neppure i commentatori più attenti e meno "organici" ai partiti - mi pare abbiano approfondito una questione per me essenziale. Per chi ha votato la mafia? Posta così la domanda è eccessivamente brutale e probabilmente anche sbagliata, ma non credo sia ozioso chiedersi che ruolo abbia avuto in queste elezioni un'organizzazione così potente e che ha in quella terra una presenza così forte e pervasiva. Non mi sembra realistico pensare che un'organizzazione che ha avuto all'inizio degli anni novanta - quando si profilava all'orizzonte la fine del sistema politico basato sul ruolo centrale della Democrazia cristiana - l'ambizione e la forza di avviare una trattativa con una parte delle istituzioni - trattativa che non sappiamo se e come si è conclusa - abbia rinunciato adesso, in un altro momento di passaggio, a far sentire tutto il peso della propria influenza. A me sembrerebbe piuttosto strano, tanto più che le vicende di questi mesi dimostrano che le organizzazioni criminali mafiose stanno svolgendo un ruolo attivo anche al di fuori delle regioni in cui tradizionalmente hanno un più forte radicamento. Se le cosche controllano pacchetti di voti in Lombardia e in Piemonte e decidono di utilizzarli per eleggere dei loro rappresentanti in quei consigli, mi pare difficile pensare che abbiano rinunciato a fare politica in Sicilia, in Calabria, in Campania.
In queste ore mi sono dato due spiegazioni che provo a sottoporvi; queste spiegazioni non sono per forza di cose antitetiche, potrebbero essere valide entrambe e potrebbero anche coesistere con altre ragioni che magari emergeranno tra qualche tempo; in fondo la mafia è un fenomeno complesso, che difficilmente si riduce a un'unica interpretazione. La prima ipotesi è che la mafia si considera così forte da non considerare troppo rilevante chi governerà nei prossimi anni la Regione, da potersene in qualche modo disinteressare. Chi conosce bene quell'organizzazione ci spiega che ormai la mafia sta abbandonando gli aspetti più tradizionali della propria attività per diventare una sorta di enorme finanziaria, un'entità capace di raccogliere e quindi di muovere ingenti quantità di denaro, di condizionare lo sviluppo economico di molti settori produttivi. La mafia in questi anni si è fatta impresa e probabilmente per un'organizzazione di questo tipo è molto più importante condizionare il voto nel nord del nostro paese, perché è qui - molto più che in Sicilia - che può svolgere un ruolo attivo, che può diventare protagonista della vita economica dell'intero paese. La mafia dei colletti bianchi, dei grandi capitali, sente la necessità di dialogare con le industrie, con le banche e le istituzioni finanziarie, con chi ha bisogno dei suoi capitali e dei suoi servizi e questi stanno in Lombardia o ancora più a nord, in Germania. La crisi ha contribuito moltissimo a spostare la "linea della palma", come la chiamava Leonardo Sciascia. Tra gli imprenditori in difficoltà, tra coloro che non hanno accesso al credito, è facile per i mafiosi farsi strada, perché loro hanno molti contanti, li possono prestare, anche senza pretendere di assumere un ruolo nelle aziende a cui prestano denaro; gli è sufficiente essere soci di minoranza, ma naturalmente - come insegnava il siciliano Cuccia - quando si è soci di minoranza di tante imprese il proprio potere cresce enormemente. Per inciso gli imprenditori del nord non sono solo vittime di questo sistema, spesso ne sono anche complici, perché trovano conveniente servirsi di aziende mafiose che garantiscono servizi a prezzi più bassi e preferiscono non chiedersi come sono possibili tali risparmi. A questa "nuova" mafia forse la Sicilia interessa sempre meno, perché il loro orizzonte è ormai l'Italia.
C'è un'altra possibilità per spiegare questa possibile "indifferenza" della mafia per l'esito delle elezioni. Io, come ho scritto in qualche breve commento su Twitter, non avrei votato per Rosario Crocetta, ma certamente non gli si può non riconoscere un impegno concreto e onesto contro la mafia; la decisione di nominare come nuovo assessore alla sanità la figlia di Paolo Borsellino, da anni impegnata su questi temi, è un segnale molto significativo. Io mi auguro di cuore che l'azione di Crocetta sia così intensa come le sue parole lasciano supporre, ma temo purtroppo che a livello amministrativo ci siano ormai tali e tante incrostazioni da rischiare di rendere vano un serio impegno riformatore. La burocrazia, la cattiva burocrazia, è uno dei mali più gravi dell'Italia e delle regioni del sud in particolare; e contro questo male non basta l'azione di un'amministrazione locale, per quanto bene intenzionata. I mafiosi lo sanno bene e sanno che possono contare su questa inefficienza, che troppe volte diventa connivente.
L'altra ipotesi - anch'essa preoccupante - di questa ondata di astensioni è che la mafia abbia deciso di mandare un "avvertimento" alle forze politiche con cui in questi anni ha avuto rapporti più intensi, a cui ha garantito un sostegno politico determinante. Nel '92 quando Andreotti non seppe o non volle più garantire un certo tipo di equilibrio, la mafia decise di uccidere Salvo Lima e quell'omicidio - come ho raccontato in un'altra "considerazione" - ha in qualche modo dato il via a quel terremoto politico che, intrecciatosi con quello che succedeva in quelle stesse settimane a Milano, ha determinato la fine della cosiddetta "prima repubblica". Forse adesso, in maniera molto meno cruenta - più "raffinata" - ma altrettanto netta, la mafia ha deciso di astenersi, penalizzando il centrodestra e in particolare il segretario - siciliano - del Pdl. In qualche modo la criminalità organizzata avrebbe preso posizione nel dibattito interno al centrodestra tra la linea "montiana" ed europea sostenuta da Alfano e la linea eversiva, populista e demagogica, di cui continua a essere il massimo portavoce Silvio Berlusconi. Questa mafia preferisce un'Italia fuori dall'Europa, un'Italia "greca", dove poter fare indisturbata i propri lucrosi affari, dove si continua a evadere, dove la corruzione diventa istituzionalizzata e naturalmente B. garantisce, meglio di ogni altro politico italiano, alla mafia di portare il nostro allo stato della Grecia.
Vedremo cosa succederà, credo sia importante però non fare finta che non sia successo nulla. Io capisco l'entusiasmo di Bersani che vede nel risultato siciliano un ottimo viatico per le primarie e per le "secondarie", ma penso che certi toni andrebbero un po' smorzati e soprattutto che andrebbe analizzato il fatto che neppure un elettore su due è andato a votare. Sia che si pensi - come faccio io - che questa astensione sia il frutto di un qualche calcolo della mafia, sia che si pensi che si tratti semplicemente di protesta e di disaffezione al voto, il segnale è più che allarmante, al di là del limite di guardia.
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