Femminicidio, sost. m.
La parola che voglio raccontare oggi è un neologismo, una parola nuova che racconta un problema molto antico.
Per definire questa parola voglio partire da due episodi accaduti alcuni mesi in Sudafrica, due femminicidi molto diversi l'uno dall'altro.
Credo ricorderete l’uccisione di Reeva Steenkamp. Si parlò molto allora della tragica morte di questa giovane modella sudafricana, soprattutto perché venne uccisa da una persona famosa, un “eroe” dello sport, un uomo che era riuscito a vincere molte sfide e che, per buone e motivate ragioni, fino a quel tragico episodio, poteva essere considerato un modello per i giovani di tutto il mondo. Se il fidanzato di Reeva fosse stato uno sconosciuto, lei sarebbe stata soltanto una delle oltre 15.000 donne uccise in un anno in Sudafrica. Una delle più note, una delle più belle, e questo avrebbe comunque garantito alla notizia una qualche prima pagina, quanto meno per soddisfare la morbosità del pubblico – maschile – dei tabloid.
Invece la morte di Reeva è capitata il giorno di san Valentino e per di più nella giornata scelta da milioni di donne di tutto il mondo per manifestare, ballando, la voglia di essere libere dalla paura della violenza degli uomini, quasi sempre dei loro compagni. Questa coincidenza provocò un primo moto di sdegno, durato però soltanto poche ore. Nei giorni successivi Reeva è progressivamente ridiventata un personaggio secondario di quella terribile vicenda, mentre Pistorius ne è rimasto il solo protagonista.
Inoltre con il passare dei giorni si sono cominciate a far strada nell’opinione pubblica alcune tesi che in qualche modo rendevano meno difficile la posizione del fidanzato omicida. E’ stato scritto che forse Pistorius avrebbe compiuto quel gesto insensato sotto l’effetto di steroidi: quindi non sarebbe stato del tutto lucido.
Questa non mi pare un’attenuante; semmai un’aggravante.
Oscar Pistorius era un campione sportivo, per uno come lui l’uso sregolato di steroidi è ancora più grave che per qualsiasi altro. La seconda attenuante emersa in quei giorni era ancora più subdola: Pistorius avrebbe agito spinto dalla gelosia, perché Reeva si sarebbe innamorata di un altro concorrente del reality a cui stava partecipando prima di morire. In questo argomento c’è sotto traccia un messaggio che sposta la colpa dal maschio alla donna: Reeva ha pagato la colpa di essere una donna bellissima, una donna che in fondo tutti gli uomini del Sudafrica – e non solo – hanno visto in lingerie nelle pubblicità. Era una donna della moda, dello spettacolo e quindi per un comune pregiudizio una donna “facile”. La bellezza, che è stata un’innegabile fortuna per quella ragazza finché è stata viva, è diventata una colpa, dopo la sua morte.
Per la cronaca, il processo contro Oscar Pistorius inizierà il 3 marzo 2014.
Alcuni giorni prima, il 2 febbraio, era morta vicino a Città del Capo, una ragazza nera di solo 17 anni, Anene Booysen, stuprata e uccisa da una banda di cui faceva parte anche il suo ex-fidanzato.
Per la cronaca, alla fine del mese di ottobre, dei tre imputati – ma la ragazza prima di morire aveva denunciato sei uomini – solo uno è stato condannato.
In un anno, come ho detto, in Sudafrica sono state uccise 15.000 donne e ne sono state violentate quasi 65.000. Negli ultimi vent’anni il tasso di omicidi “normali” è sceso in Sudafrica del 50%, ma quello degli stupri e delle violenza sessuali è rimasto invariato. Non è cambiata la situazione con la fine dell’apartheid: che siano bianchi o neri, i maschi abusano delle loro donne.
Le cause sono molte: una cultura in cui vige la legge del più forte, profonde disuguaglianze economiche che fanno sentire gli uomini più deboli, disparità di rapporti tra i sessi, lacune nell’educazione dei figli maschi e un alto tasso di disoccupazione maschile. In sostanza della crisi corrono il rischio di pagare il prezzo più alto le donne. Qualcosa che dovrebbe insegnare anche a noi che la crisi la stiamo vivendo, nonostante sia annunciata la sempre prossima ripresa.
Anene e Reeva erano due donne molto diverse, una nera e una bianca, una povera e una ricca – di una c’è soltanto la foto del documento d’identità, mentre dell’altra ci sono centinaia di foto – eppure le loro storie sono diventate drammaticamente simili; e simili a quelle di ancora troppe donne.
Per colpa di noi maschi.
RispondiEliminaDONNE UCCISE
di Fausto Corsetti
Purtroppo non si tratta solo di una maggiore evidenza mediatica di un fenomeno già esistente. La situazione è davvero grave. Le donne sono tornate a essere le vittime di una violenza che è prevalentemente maschile. Registriamo una vera perdita del controllo sia della razionalità sia dei freni inibitori, cioè del controllo di rabbia e frustrazioni. Stiamo tornando al “selvaggio” dentro di noi, che se la prende con quelli che nelle civiltà primitive sono i più deboli, le donne e i bambini. E in questa regressione la donna perde in un istante tutte le conquiste e i diritti guadagnati in generazioni: gli uomini, infatti, hanno riconosciuto l’emancipazione femminile solo con la loro parte razionale, mentre secondo l’istinto la donna è rimasta un “oggetto” sessuale, una “proprietà” dell’uomo.
Non è rilevante che le donne stiano accrescendo la propria indipendenza. Il vero problema è che l’uomo sta perdendo il proprio potere sul mondo, non sulle donne in particolare. La radice del male, la spiegazione di questa preoccupante violenza non va ricercata nelle donne, ma nella paura. Le donne ne sono vittime, non causa.
Per capirlo dobbiamo partire dal presupposto che la persona forte non è violenta.
Negli ultimi anni, invece, abbiamo assistito a un aumento della paura che immobilizza, una paura che si ricollega all’incertezza, alla perdita del ruolo, del potere che passa attraverso il denaro. E’ una crisi dell’esistenza, della civiltà, che sarebbe riduttivo considerare solo economica. La crisi ormai non è più fuori di noi, ma dentro la nostra testa. La paura legata all’incertezza genera una condizione di frustrazione, che ha una fase interna (la rabbia) e che quando si manifesta all’esterno diventa violenza.
Ormai siamo arrivati a un punto in cui la violenza si unisce alla distruttività: non si sopporta più la situazione in cui si vive e se ne esce con delle stragi familiari che diventano delle vere apocalissi. E questa violenza incontrollata viene subita non solo dalle persone più deboli, ma anche da quelle che sono percepite come tali in quanto ti vogliono bene o ti hanno voluto bene.