venerdì 14 febbraio 2014

Considerazioni libere (385): a proposito di un colpo a sorpresa...

Lo ammetto: Renzi mi ha sorpreso. Ovviamente era chiaro fin dall'inizio che il suo obiettivo era far fuori l'amico Enrico e sedersi a palazzo Chigi, ma ero convinto che avrebbe adottato una tattica diversa, che avrebbe preso tempo, per logorare il suo avversario in una lunga battaglia di posizione. Invece ha spiazzato tutti, in primis Napolitano e Letta - che pure sono vecchie volpi della politica - e ha tentato il blitz, la guerra lampo. Tattica rischiosa, ma evidentemente l'uomo è temerario e, almeno questa volta, ha avuto fortuna. Ha vinto e chi vince, come noto, ha sempre ragione.
Le vicende di questi giorni mi spingono a qualche riflessione che, per forza di cose, sono disorganiche e frammentarie; d'altra parte è inevitabile, vista la rapidità con cui questi fatti si susseguono.
La prima riflessione riguarda il metodo o meglio le regole del gioco. Molti di quelli che criticano Renzi dicono che si tratta dell'ennesimo "colpo di stato", in quanto la crisi si è svolta tutta al di fuori del parlamento e Renzi finirà per essere il terzo presidente del consiglio consecutivo non investito dal mandato elettorale, non eletto dai cittadini.
Su questo non sono d'accordo. Nel nostro paese, nonostante tutti i tentativi che sono stati fatti per modificarla, è ancora vigente la Costituzione del '48 e quindi l'Italia è formalmente una repubblica parlamentare, il che comporta che i cittadini eleggano il parlamento che, a sua volta, elegge il governo. Negli ultimi vent'anni ci sono state spinte fortissime per modificare questo schema e arrivare a un sistema in cui, più o meno direttamente, i cittadini eleggano il capo del governo o il presidente della Repubblica, nella versione più spinta. E' stata cambiata la legge elettorale in senso maggioritario, è stata introdotta l'indicazione del candidato presidente del consiglio nella scheda elettorale, ma soprattutto è stata fatta una propaganda asfissiante per convincerci che questo è il migliore dei sistemi possibili. E ci siamo convinti, anche perché nel frattempo si sono suicidati i partiti politici che costituivano la nervatura della precedente fase politico e si è fatta strada un'idea leaderistica e plebiscitaria, che nel centrodestra si è incarnata in B. e nel centrosinistra è stata coniugata con l'ideologia delle primarie. E chiaramente questo è ciò a cui ci vuole portare la riforma istituzionale che ha in mente Renzi: una sola camera eletta con una legge elettorale maggioritaria, una drastica riduzione delle competenze degli enti locali, una progressiva attribuzione della funzione legislativa al governo e in sostanza un sistema imperniato sulla carismatica figura del capo dell'esecutivo.
Nella seconda metà del 2011 però questo meccanismo si è inceppato, o meglio è stato sospeso. Dal momento che le elezioni continuava a vincerle il centrodestra e il centrosinistra sembrava ormai annichilito, il presidente della Repubblica ha deciso di fare in proprio, costringendo alle dimissioni B. e imponendo a un parlamento sempre più debole il governo Monti. La cosa è continuata nella primavera scorsa: Napolitano ha impedito che nascesse il governo Bersani e ha imposto il governo Letta. E' in quei due passaggi che è avvenuto il vulnus più grave alla nostra democrazia ed è per questa ragione che io dal novembre del 2011 non riconosco più Napolitano come presidente legittimo. Perché sia avvenuto l'ho spiegato più volte. La destra non si fidava più di B. e ha deciso di giocare autonomamente, imponendo al paese quel programma di austerità che Draghi aveva scritto nella famosa lettera dell'agosto 2011; lo stesso programma di austerità che è stato imposto all'Europa dalla destra ultraliberista e supinamente accettato dalla sinistra imbelle del Pse.
Renzi in questi giorni ha fatto come il bambino della favola che dice che il re è nudo. Tutti avevano ormai dato per scontato che il governo lo dovesse scegliere Napolitano, con la sua riconosciuta saggezza, ma la Costituzione non è mai stata cambiata e Renzi ha semplicemente fatto quello che poteva fare, ossia sfiduciare il presidente del consiglio imposto da Napolitano e chiedere quella carica per sé, in qualità di segretario del partito di maggioranza. Ha avuto quel coraggio che Bersani un anno fa non ha avuto, perché non ha voluto disobbedire agli ordini del Quirinale.
Detto questo - e passo alla seconda riflessione - il mio giudizio su Renzi rimane quello che ho espresso in ogni sede e in ogni occasione possibile: pessimo. Renzi è un politico intrigante e furbo che sa approfittare delle debolezze altrui ed è un esponente di quel centro moderato che ha sempre governato questo paese, riducendoci allo stato in cui siamo. Come abbia fatto un personaggio di tale meschineria etica e con questi valori politici a diventare il leader del maggior partito del centrosinistra, in cui si trovano donne e uomini che hanno militato nel Pci, è il segno non della spregiudicatezza del sindaco di Firenze, ma dell'inconsistenza e della gravissima crisi che ha colto il maggior partito della sinistra italiana negli ultimi vent'anni, crisi di cui molti - me compreso - siamo responsabili. Se siamo arrivati a Renzi vuol dire che abbiamo fatto molti errori, spesso per dolo temo, certamente per negligenza. Abbiamo lasciato correre e all'improvviso ci siamo accorti che non c'era più tempo e spazio per rimediare a questi errori.
Su questo permettetemi un inciso. E' la prima - e credo l'ultima - volta che lo faccio, ma ho guardato in streaming i lavori della direzione del Pd ed è stato uno spettacolo desolante. Il gruppo dirigente bersaniano ha fatto di tutto per raggiungere il microfono e per tessere le lodi del nuovo caro leader. Ma al di là del folklore dei servi - una categoria tipica del nostro paese - l'intervento più illuminante è stato quello di Vincenzo De Luca. Questi è un uomo che viene dal Pci, badate bene, uno che è stato mio compagno di partito e, sentendolo parlare, io mi sono vergognato di questa comune militanza. De Luca, diventato il potente ras renziano della Campania, ha sparato a zero sul governo di cui pure ha fatto parte, senza mostrare un minimo senso di vergogna. E ha argomentato questa ferma opposizione al governo, spiegando che nel suo ministero, quello delle Infrastrutture e dei trasporti, tutte le decisioni venivano prese per favorire gli amici del ministro Lupi. De Luca, candidamente e senza vergogna, ha spiegato che è giunta l'ora di cambiare e che adesso bisogna cominciare a favorire gli interessi degli amici del Pd e immagino dei suoi amici. De Luca e quelli come lui - che sono tanti nel Pd - non fanno neppure finta di essere onesti. Questo è il Pd di Renzi: non facciamoci illusioni di sorta.
Per questo, venendo alla terza e ultima di queste riflessioni disorganiche, a me francamente importa poco di questo nuovo governo. Come era un pessimo governo quello di Letta, sarà un pessimo governo quello di Renzi. Personalmente sono da un'altra parte e cambia poco chi guida il governo e chi nominerà nelle prossime settimane i vertici delle principali aziende pubbliche, visto che questo è uno degli elementi inconfessati e inconfessabili che ha spinto un pezzo di potere italiano a schierarsi con Renzi contro Letta. Non cambia nulla perché il nuovo governo sarà comunque incapace di affrontare la crisi vera del paese, in quanto sostanzialmente espressione di quei poteri e di quegli interessi che la crisi l'hanno provocata, la alimentano e ne trarranno beneficio. Renzi sarà forse più brillante, ma alla fine anche lui tirerà l'asino dove vuole il padrone. La vicenda di questi giorni con la politica non c'entra nulla, figuriamoci poi con il futuro dell'Italia - non prendiamoci in giro - si è trattato di una lotta, senza esclusione di colpi, per il potere in cui una fazione ha perso e una ha vinto. Ma tutto si è svolto nell'ambito di quel potere che non vuole il cambiamento dell'Italia. E che, al netto della retorica, non farà nulla per cambiare.

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