sabato 8 febbraio 2014

Verba volant (59): triviale...

Triviale, agg.

Premessa d'obbligo: la parola di oggi mi è stata suggerita da un'amica italiana di Facebook che vive negli Stati Uniti e che quindi guarda alle nostre beghe con sufficiente distanza, anche se con una notevole dose di incazzatura.
Questo aggettivo deriva dal latino trivium, che significa letteralmente l'incrocio di tre vie e che quindi è un luogo molto trafficato, dove si radunano molte persone; trivialis quindi è passato rapidamente dal significato di frequentato e popolare a quello di sguaiato, grossolano, scurrile. Qualcosa del genere è successo al termine volgare che nel Trecento, ai tempi di Dante e Boccaccio, indicava la lingua e i dialetti parlati dal popolo, appartenenti all'uso corrente, colloquiale e familiare, e in pochissimo tempo è passato a significare ordinario, rozzo, triviale appunto.
In sostanza la lingua ci dice che se qualcosa è popolare finisce per diventare scurrile e rozzo. Dal momento che i social network sono molto frequentati devono inevitabilmente diventare triviali e scurrili? Evidentemente sì, almeno a leggere quello che sta succedendo in questi giorni.
Mi è capitato di dirlo altre volte: non è colpa della rete se la società fa schifo, la rete soltanto amplifica quello che ciascuno di noi dice e fa e dal momento che spesso quello che diciamo e facciamo non è proprio commendevole, la rete lo rappresenta, ma appunto si limita a questo.
In questi giorni abbiamo assistito in rete a un violentissimo e becero attacco sessista contro il presidente della Camera, che in Italia - come è noto - è una donna. Ci sono validissime ragioni politiche per criticare Laura Boldrini come politico e come presidente della Camera, eppure queste ragioni sono state messe di lato e si è preferito usare contro di lei argomenti di carattere sessuale, dando la stura a ogni genere di volgarità.
Come noto, un noto mestatore genovese - sarebbe ora di smettere di chiamarlo ex-comico e usare una definizione più calzante - ha gettato in rete questa domanda “cosa faresti in macchina con lei?“, scatenando volutamente un campionario di trivialità che è facile immaginare e che finivano praticamente tutte per alludere, pesantemente, al sesso del presidente della Camera. Naturalmente se il presidente della Camera fosse stato un uomo né il mestatore né i mestati avrebbero utilizzato questo indecente campionario di volgarità. A meno che non fosse omosessuale dichiarato: in questo caso le volgarità a sfondo sessuale sarebbero state sicuramente prevalenti rispetto alle critiche politiche.
Ripeto che il problema non è nato in rete. Qualche giorno fa un deputato del partito del mestatore ha insultato sette deputate del Pd usando un termine triviale, con un riferimento esplicito al sesso. Anche in questo caso ci sarebbero stati molti modi per attaccare quelle sette deputate e il loro infelice partito, eppure quel deputato, in uno scatto d’ira, non ha trovato di meglio che definirle come le ha definite.
Ora mi rendo conto che dopo questa definizione mi attirerò le ire funeste dei seguaci del mestatore. Non me ne importa nulla naturalmente. Anzi non mi interessa neppure fare un discorso politico. Faccio solo notare che il partito del mestatore si vanta di dar voce alle persone e le persone dicono queste bestialità.
Il problema è evidentemente nella nostra società maschilista, nella nostra incapacità di uomini di parlare - nel bene e nel male - delle donne se non come oggetti sessuali, mentre dovremmo lodarle o criticarle per quello che dicono e che fanno.
Stante così le cose, i social, proprio in forza della loro popolarità e del fatto di essere molto frequentati - come moderni trivii - finiscono inevitabilmente per essere triviali, per scatenare ogni genere di volgarità, specialmente di carattere sessuale e soprattutto contro le donne, che siano politici, sportivi, attrici o che siano persone comuni, le nostre colleghe, le nostre compagne di scuola, le donne che vediamo tutti i giorni.
Con altrettanta evidenza però non possiamo accettare supinamente che popolare e triviale continuino a essere sinonimi, non possiamo considerarlo come un fatto inevitabile. Dobbiamo lavorare affinché non sia più così, pur consapevoli che sarà faticoso perché ci sono troppe spinte che tendono a portarci indietro.
Ieri, ad esempio, nella pagina internet di un grande quotidiano nazionale che non citerò - dirò solo che il suo fondatore si vanta di essere assiduo frequentatore del papa, anche se lui si limita a un educato “buongiorno e buonasera” - accanto a un articolo dove giustamente si difendeva il presidente della Camera dagli attacchi sessisti del genovese, c’era la pubblicità di un caffé. Per pubblicizzare questo prodotto era trasmesso un breve filmato in cui una bella donna, con fare ammiccante, si mette una goccia di caffé sulle spalle scoperte. Nulla di particolare, è una pubblicità come se ne vedono tante purtroppo, ma per me quella pubblicità non è meno grave del becero post di Grillo e delle minacce sessuali fatte dai suoi seguaci. Anzi, è più pericolosa, perché mostra sempre quel lato della donna, il suo corpo e il suo utilizzo come oggetto sessuale.
Perché popolare e triviale non siano più sinonimi il cammino è ancora lungo.

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