venerdì 7 febbraio 2014

Verba volant (58): poltrona...

Poltrona, sost. f.

Curiosa è l'etimologia di questa parola. Si tratta dell'accrescitivo di poltro, un termine di antica origine gallica attestato nell'italiano del Trecento con due significati piuttosto contrastanti: in alcuni casi infatti indica il letto o il cuscino e in altri il cavallo non ancora domato, con un evidente affinità semantica con puledro.
E’ il primo significato però a prevalere; scrive ad esempio Dante nel Purgatorio:
come fan bestie spaventate e poltre.
Mentre l'Ariosto scrive:
mi piace di posar le poltre membra.
Comunque sia, la poltrona è il sedile ampio e comodo, per una sola persona, fornito di schienale e braccioli, per lo più imbottito, dove appunto si può poltrire.
Curiosamente il Pianigiani ci informa che nel XVI secolo poltrona indicava la donna di mal affare, la meretrice, per significare evidentemente che gli uomini di quel tempo pensavano di stare più comodi andando con queste signore che stando a casa propria. Altri tempi, come si può ben vedere dalle cronache di questi giorni.
La poltrona è sostanzialmente un posto comodo e infatti nei teatri con questo termine si indicano i posti nelle prime file della platea, quelli che costano di più. A essere sinceri questi posti non sono sempre così comodi, specialmente per chi - come me - ha le gambe lunghe, ma si tratta certamente di posti ambiti, per seguire meglio quello che si svolge sul palcoscenico.
E qui arriviamo al significato più recente di questa parola: la poltrona è infatti il posto ambito per antonomasia, l’incarico di prestigio e di potere.
Non per nulla uno degli status che compete al Mega-Direttore Galattico e agli altri massimi dirigenti dell’azienda dove lavora il ragionier Ugo Fantozzi, è la poltrona in pelle umana, insieme alla serra di piante di ficus, alla scrivania in mogano con piano di cristallo, ai tre telefoni, al dittafono, al quadro ecclesiastico, al tappeto e alla moquette per terra, e all’acquario dove nuotano gli impiegati più meritevoli.
In questi giorni abbiamo scoperto che ci sono dei veri e propri collezionisti di poltrone. Ad esempio nella famiglia Mastrapasqua se ne contano addirittura quarantacinque (ora quarantaquattro, come i gatti della celebre canzone), peraltro equamente divise: venticinque (o ventiquattro) il marito e venti la moglie.
L’esangue Mastrapasqua - deve essere faticoso svolgere una tale messe di incarichi ed è quindi comprensibile la magrezza dell’uomo - è stato ingiustamente additato per questa bulimica fame di poltrone.
E’ abbastanza curioso che lo facciano i grandi giornali italiani nei cui consigli di amministrazione siedono alcuni personaggi i cui nomi figurano in decine di altri organigrammi aziendali. Il cosiddetto capitalismo italiano infatti è una sorta di consorteria di pochissime persone che occupano e rioccupano le stesse posizioni da decenni, scambiandosi favori e poltrone, appunto.
Ed è altrettanto curioso che il povero ex-residente dell’Inps debba essere sbeffeggiato da un personaggio come Letta, la cui famiglia, come quella di molti altri satrapi della sua razza, ha costruito la propria fortuna sull’accumulo di cariche e prebende. Adesso Letta, provando a ricostruirsi una verginità che ha perso al tempo delle scuole elementari, ha detto che è inammissibile che il presidente di un ente pubblico nazionale ricopra anche altri incarichi. Immagino che la soluzione escogitata dall’uomo dalle balle d’acciaio sia quella di trasformare l’Inps in un ente privato: in questo modo il suo presidente potrà sedere in quanti altri consigli d’amministrazione vorrà.
Mastrapasqua è malato - sono d’accordo - e dovrebbe essere curato, ma in quelle lucrose venticinque poltrone - per tacere di quelle della moglie - qualcuno deve pur averlo messo a sedere. Non è che vengono assegnate con il gioco della sedia e che Mastrapasqua - per una fortuita combinazione - si è ritrovato al termine della musica proprio sopra ad ogni poltrona. Anzi in qualcuna di quelle cariche è stato nominato proprio in forza di quelle già accumulate, secondo l’antico adagio per cui soldo chiama soldo.
Per cui, fatta passare l’indignazione - e passerà rapidamente, mentre noi ce ne stiamo qui seduti in poltrona con in mano il nostro bravo telecomando - loro continueranno a sedersi sulle loro poltrone di pelle umana.
Comunque, ripensandoci, forse quelli del XVI secolo non hanno poi avuto tutti i torti ad associare poltrone e puttane. Anche oggi c’è una certa affinità tra chi siede nelle poltrone e chi fa il mestiere più antico del mondo. Spero che le puttane che leggono regolarmente Verba volant non si offendano per il paragone.

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