Ditta, sost. f.
La lingua, evolvendosi, cerca spesso delle economie, ossia cerca il modo di dire più brevemente, possibilmente con un solo vocabolo, quello che prima esprimeva con molte parole. Il termine di cui voglio occuparmi oggi è proprio uno di questi. Propriamente si tratta della variante in dialetto veneziano di detta, ossia il participio passato femminile del verbo dire: questo verbo era usato nell'antica espressione "casa commerciale ditta" a cui seguiva il cognome del proprietario. Poi la formula "casa commerciale" - o "compagnia" - è stata elisa ed è rimasta solo la parola ditta per indicare la denominazione di un'impresa commerciale o di un'azienda e quindi, per estensione, l'impresa stessa.
Come noto adesso questa parola è entrata nel lessico politico, da quando Bersani ha cominciato a usarla per indicare il suo partito o almeno il partito che egli vorrebbe, fatto di iscritti, sezioni e organizzazione, in contrapposizione al cosiddetto partito liquido, teorizzato da Veltroni e realizzato da Renzi. E per questo spesso capita di leggere sui giornali la parola Ditta, con l'iniziale maiuscola, proprio per riferirsi al Pd bersaniano, oggi in drammatica - e colpevole - minoranza.
Devo dire che questa non è una delle metafore bersaniane dal gusto emiliano che mi piacciono di più, anche se ne capisco il senso. Peraltro non dovrei fare troppo lo schizzinoso, visto che molti anni fa ho aderito alla Cosa di occhettiana memoria. E ovviamente sono stato anche nella Ditta, anche se non la chiamavamo ancora così; anzi per diversi anni - dal giugno 1999 al dicembre 2005 - sono stato addirittura a libro paga della Ditta. Quindi potete immaginare che l'argomento mi coinvolga molto, anche se da quando è nato il Pd io faccio altro e sono molto lontano da quel partito, che non voto e non sostengo. Anzi ne sono fiero avversario.
Proprio perché io c'ero, seppur in una posizione defilata - diciamo più o meno in quarta fila - ma comunque con un ruolo tale da non potermi dirmi irresponsabile - spesso mi chiedo dove abbiamo sbagliato, perché è chiaro che è colpa nostra se un corpo estraneo - e ostile - alla sinistra italiana è riuscito a diventare il segretario del maggior partito del centrosinistra, trasformandolo radicalmente in quella cosa informe che è oggi. Non è merito di Renzi, non può essere stato lui l'artefice di tutto questo - su, guardatelo in faccia e ve ne renderete conto anche voi - siamo stati noi ad arrenderci, prima ancora di aver combattuto, siamo stati noi a consegnare al ladro le chiavi di casa. Noi abbiamo dichiarato fallimento e il furbo fiorentino non ha dovuto far altro che intestarsi la Ditta.
In questi venticinque anni che sono trascorsi dalla Bolognina a Renzi, noi abbiamo fatto molti errori politici, che adesso stiamo pagando con gli interessi; abbiamo creduto che la sinistra dovesse cambiare, accettando molti dei principi e dei valori del capitalismo e del liberismo, abbiamo pensato che le elezioni si vincessero solo se ci spostavamo progressivamente al centro, in sostanza ci siamo convinti che la sinistra non fosse più in grado di interpretare la modernità e abbiamo cominciato a inventarci altre soluzioni, finendo fatalmente per accettare tutte quelle proposte dalla destra. Per fare un esempio di attualità: se adesso Renzi maramaldeggia contro lo Statuto dei lavoratori e abolisce l'art. 18 è anche perché noi abbiamo reso più precario il lavoro con le leggi votate dai "nostri" governi; in pratica abbiamo cominciato quello che adesso il Pd, su ordine del finanzcapitalismo, finisce.
Abbiamo però fatto un altro errore che considero davvero fatale. Anzi più passa il tempo più lo considero il peggiore che abbiamo fatto. Abbiamo smantellato il partito, anzi peggio: non lo abbiamo voluto cambiare, abbiamo voluto conservarlo così come lo avevamo ereditato; e facendo in questo modo lo abbiamo distrutto. Proprio la nostra ostinazione a non voler cambiare, magari per preservare piccole o grandi rendite di posizione - o anche per rispetto a una storia gloriosa - ci ha reso così deboli.
A dire il vero che il tema dovesse essere affrontato lo dicemmo più volte, subito dopo la Bolognina. Ricordo che in quella stagione di congressi, per molti versi drammatica, ma anche ricca di opportunità e di entusiasmo, più volte venne fuori il tema della necessità di riformare la cosiddetta forma partito; abbiamo dedicato a questo tema incontri, seminari, approfondimenti, ma sostanzialmente non abbiamo fatto nulla, se non cercare di far funzionare il partito che c'era. Questo lavoro di manutenzione era proprio una delle cose che io dovevo fare e che ho cercato di fare nel miglior modo possibile.
I segnali che qualcosa non andava c'erano già allora: gli iscritti calavano - anche se non così vertiginosamente come succede adesso - l'età media dei militanti cresceva, le Feste cominciavano a perdere la propria anima, il partito progressivamente diventava sempre meno il luogo della selezione dei gruppi dirigenti e dell'elaborazione politica. E' in quegli anni lì che il potere ha cominciato a spostarsi nelle istituzioni o meglio si è ridotto alle istituzioni, grazie anche all'introduzione del maggioritario e all'elezione diretta dei sindaci, e soprattutto che la cooptazione è diventata lo strumento normale per la selezione dei quadri del partito, secondo logiche troppo spesso opache. E a volte assolutamente casuali. In quegli anni ho avuto la ventura di vedere come sono entrate in Ditta alcune persone che hanno poi fatto una fulgida carriera - ora sono in parlamento, ad esempio - e francamente spesso si tratta di percorsi assolutamente imponderabili e imperscrutabili. Poi ho conosciuto anche persone come Giacomo Venturi - che da pochi giorni è stato strappato in maniera drammatica dalla sua famiglia e dalla sua città - che invece nel partito e nelle istituzioni era cresciuto, rappresentando il meglio di quella bella idea di politica in cui noi siamo cresciuti. E lui sì avrebbe meritato di fare il deputato o il ministro, perché conosceva bene la sua comunità, ne interpretava i bisogni e le aspirazioni.
Come ho detto, io ho cominciato a lavorare per la Ditta nel giugno del '99, una settimana dopo che avevamo perso le elezioni amministrative e Guazzaloca era diventato sindaco di Bologna. Il fatto di trovarci in una situazione di emergenza ha fatto sì che ci appoggiassimo all'organizzazione che c'era, al partito che c'era - e per fortuna che c'era perché altrimenti non saremmo neppure riusciti a fare le Feste in quell'estate difficile - e sempre quell'organizzazione, ancora capace, per quanto indebolita, è stata fondamentale per permettere di riprenderci e di tornare a vincere. Senza la Ditta, pur con tutti i suoi limiti, non ce l'avremmo mai fatta. E comunque quei compagni e quelle compagne meritano rispetto, per il lavoro che hanno fatto, per il tempo e le energie che hanno dedicato al partito, per i sacrifici. Chi ha lavorato alle Feste sa di cosa sto parlando e purtroppo molti di quelli che adesso guidano il Pd non conoscono questo mondo e lo guardano con sufficienza.
Comunque sia questo nostro arroccarci nella difesa del partito che c'era è stata fatale perché oggettivamente quel tipo di partito non era più in grado di esprimere la guida di una comunità. Non è più quel tipo di partito a rappresentare l'articolazione delle classi o dei blocchi sociali, non è più quel partito che può farsi interprete di interessi diffusi, a meno di non trovare persone molto brave come Giacomo. Adesso però siamo caduti nell'errore opposto: dicendo che quel modello doveva essere superato, hanno eliminato tout court il partito.
Eppure modelli diversi erano possibili. Forse adesso non lo sono più, perché troppa acqua è passata sotto i ponti, la stessa idea di partito è ormai troppo screditata. Questi "moderni" dicono di ispirarsi al Democratic party degli Stati Uniti, ovviamente senza sapere cosa sia quel partito. Certamente non si tratta di un partito tradizionale di tipo europeo, ma nemmeno la caricatura che raccontano i renziani. I democratici americani hanno una struttura organizzata centrale e articolata nei territori e conducono le loro campagne elettorali anche attraverso la rete, ma non principalmente con questa. Le campagne che hanno permesso l'elezione di Obama alla Casa bianca sono state fatte con gli strumenti più tradizionali, i
volantinaggi casa per casa, gli incontri, la rete dei volontari, ossia con tutto il "vecchio" così esecrato dagli homines novi.
Immagino come altri di voi, nel 2008 ho mandato una mail per sostenere la candidatura di Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Da allora praticamente ogni giorno vengo informato di quello che fa il Presidente, ricevo i video dei
suoi interventi più significativi, mi vengono spiegate le diverse proposte di
legge. Mi è stato chiesto di telefonare o scrivere ai deputati più
ostili alla riforma sanitaria e di continuare a tenermi in contatto con i
volontari della campagna. Faccio parte del partito, vengo considerato un militante e mi sento di contare, almeno un po'. Continuano a chiedermi, alla fine di ogni mail, un contributo economico; anzi da qualche settimana, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, le richieste diventano sempre più insistenti, con un certo tono di rimprovero, tanto che diverse mail hanno come oggetto Missing: Luca Billi, perché appunto non ho ancora scucito un dollaro. Mi dicono in sostanza che sono un "cattivo compagno". E' un modello di partito? Sì. E' un modello che funziona? In quel paese sicuramente sì. E' un modello esportabile? Non so, ma è interessante e soprattutto è una cosa molto diversa - al netto del giudizio degli sciocchi - dal partito che sta costruendo Renzi, che non può neppure essere considerato un partito.
Forse allora avremmo potuto usare questo modello, magari mettendoci qualcuna delle nostre peculiarità. Capisco che forse il mio giudizio è viziato dalla mia esperienza, ma credo ad esempio che il sistema delle feste avrebbe potuto rappresentare un qualcosa in più, perché alle persone piace stare insieme, piace lavorare insieme, altrimenti non si spiega come farebbero a vivere migliaia di manifestazioni in giro per il nostro paese, organizzati da associazioni, gruppi, società sportive e così via, che sono nulla di più che piccole Feste dell'Unità, che hanno quello spirito autentico e solidale che si respirava in quegli appuntamenti. Adesso, come ho detto, credo sia tardi. Renzi ha vinto, ma soprattutto ha vinto chi è riuscito a distruggere questa idea di rappresentanza politica e sociale, a distruggere anche questa idea di volontariato politico, di voglia di far qualcosa per gli altri, per la propria comunità.
Sono riusciti a far prevalere uno spirito sostanzialmente egoistico, dove ognuno pensa a sé, tanto offre la ditta.
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