sabato 11 ottobre 2014

Verba volant (133): acciaio...

Acciaio, sost. m.

I Romani chiamavano aciarium il ferro indurito per cementazione con il quale si facevano le punte - in latino acies - delle armi bianche. Da sempre quindi acciaio e guerra sono andati di pari passo.
Adesso con questa parola definiamo, con significato più ristretto e preciso, una lega di ferro e carbonio, che non deve superare la percentuale del 2,06%. L'acciaio è utilizzato in moltissime produzioni e gli storici della tecnologia ci spiegano che senza la disponibilità di acciaio in quantità e a basso costo, la rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile.
Ricordo che all'esame di maturità, per spiegare la crescita dell'Italia nell'età giolittiana, citai i dati, imparati a memoria, su quanto fosse cresciuta in quegli anni la produzione di carbone e di acciaio nel nostro paese. E crebbero tanto, in tutta Europa, che fu necessaria la prima guerra mondiale per smaltirne le scorte. Poi ci fu la grande crisi del '29 e uno dei fattori che permise di uscirne - almeno dal punto di vista economico - fu la seconda guerra mondiale, che richiese appunto una grande produzione di acciaio. E proprio per impedire che scoppiasse una nuova guerra in Europa nacque nel 1951 la Comunità europea del carbone e dell'acciaio. I motivi di questa scelta erano evidenti a quella generazione di lungimiranti uomini politici: i principali giacimenti di queste risorse si trovano in un'ampia zona di confine tra la Francia e la Germania - il bacino della Ruhr, l'Alsazia e la Lorena - terre oggetto di sanguinosi conflitti e di lunghe contese. Questo accordo, mettendo in comune le produzioni degli elementi essenziali per la realizzazione di materiale bellico, impediva di fatto un riarmo segreto.
Vedete quindi come la storia della nostra civiltà sia strettamente legata a quella dell'acciaio e naturalmente come la sinistra sia legata alle lotte dei lavoratori delle acciaierie.
Ci sono alcuni sciocchi che pensano che un paese possa fare a meno dell'acciaio perché la sua produzione crea seri problemi ambientali. E ci sono altri sciocchi che sostengono che l'acciaio sia un materiale "vecchio" e di conseguenza un'acciaieria sia il residuato di un sistema di produzione finito con la fine del secolo. Per capire che non è così basterebbe vedere quali sono i beni su cui il mercato mondiale si scatena: la terra, l'acqua, il legname, tutti elementi della old economy. E ovviamente anche l'acciaio.
Credo immaginiate perché oggi ho deciso di scegliere questa parola. Anche perché questo è l'unico modo che io ho di essere solidale con quei lavoratori e perché la loro vicenda non può essere dimenticata. La multinazionale ThyssenKrupp - erede dell'azienda che dalla seconda metà dell'Ottocento ha fornito i cannoni alla Germania, ma spesso anche ai suoi nemici - proprietaria delle storiche acciaierie di Terni, ha lasciato il tavolo delle trattative, a cui partecipava insieme ai sindacati e al governo. Contestualmente ha fatto partire la procedura di messa in mobilità di 550 lavoratori, ossia un quinto di coloro che adesso sono impiegati nell'azienda - e quindi tra 75 giorni queste persone saranno licenziate. Inoltre ha disdetto gli accordi contruattuali aziendali: in tal modo tutti i lavoratori avranno una diminuzione del 20% in busta paga. Quel che è peggio - e queste sono condizioni già drammatiche - è il fatto che la ThyssenKrupp non ha dato alcuna prospettiva per il futuro dell'azienda e quindi della città umbra, la cui economia è da molto tempo indissolubilmente legata a quella delle acciaierie.
A parte il fatto che Renzi si era formalmente impegnato a salvare l'azienda, ma le sue - si sa - sono parole al vento, evidentemente questo è uno dei primissimi effetti, seppur indiretti, del jobs act. La multinazionale tedesca ha pensato di poter fare quello che vuole, anche perché, viste le posizioni di questo governo, immagina che non avrà nessuna opposizione politica. E non ne avrà, perché, come dicono autorevolissimi esponenti di questo governo, bisogna tutelare i "diritti delle imprese", sempre e comunque. Ovviamente anche quando licenziano i lavoratori.
Questo paese avrebbe bisogno di un governo che, invece di studiare il modo di rendere più facili i licenziamenti, cercasse di capire come è possibile aumentare la produzione di acciaio; perché dalla crisi non si uscirà con l'abolizione dell'art. 18, ma proprio con politiche industriali che favoriscano la produzione, nei settori fondamentali.
Natiralmente le tragedie del secolo scorso ci hanno insegnato che lo sviluppo di un paese non si misura soltanto con i parametri della ricchezza, anche se in questi ultimi anni hanno fatto di tutto per farcelo dimenticare. C'è la quantità, ma c'è anche la qualità. Non è un valore positivo produrre ancora più automobili, occorre invece produrre nuove automobili, in grado di diminuire, fino ad annullare, l'emissione di gas inquinanti; non è un valore positivo continuare a costruire case - come è evidente anche nel dramma che ha colpito nuovamente la Liguria - occorre invece costruire case ecologicamente compatibili e ristrutturare con questi criteri le case esistenti; non è un valore positivo produrre più acciaio, sempre di più, per superare ogni record di produzione - aspettiamo un'altra guerra per smaltire le scorte? - occorre invece produrre quello che serve e produrlo in modo che non ci siano danni irreparabili alla salute delle persone e all'ambiente. Come ci chiedono i cittadini e i lavoratori di Taranto che vogliono continuare a produrre acciaio e allo stesso tempo vogliono far crescere i propri figli in un ambiente più sano di quello in cui sono cresciuti loro.
Trovo naturale che i padroni delle fabbriche e i governi che sono espressione della classe di cui fanno parte i padroni delle fabbriche continuino a pensare in termini di quantità, dal momento che loro in questo modo guadagnano di più. I lavoratori e quelli che difendono i loro diritti devono pensare alla qualità, perché sono i lavoratori - che sono anche cittadini - che in questo modo ci guadagnano.
Terni, Taranto, Piombino hanno bisogno di continuare a produrre acciaio, ne ha bisogno l'Italia. Perché abbiamo bisogno di lavoro, un lavoro sicuro e un lavoro retribuito in maniera proporzionale ed equa. I lavoratori di Terni non stanno chiedendo la luna, ma solo quello che a loro spetta.

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