lunedì 16 febbraio 2015

Verba volant (165): maleducazione...

Maleducazione, sost. f.

Sabato sera, un teatro di provincia. Lo spettacolo sta per cominciare - è suonata la prima campanella - in sala i soliti brusii, il chiacchericcio che precede il momento in cui si alza il sipario. A un certo punto una persona fa vedere ai suoi amici un video su Youtube, niente di particolare, uno sketch dall'umorismo un po' greve, ma il volume è piuttosto alto e fastidioso. Visto che le occhiate non bastano, un'altra persona gli fa notare che non è il caso e che sarebbe meglio spegnere il telefonino. A questo punto, il primo, con l'aria più stupita che colpevole, fa: ma la trasmissione non è ancora cominciata. Abbiamo capito di trovarci davanti a un "televisivo" che evidentemente pensava di essere a casa sua e di poter quindi fare quello che voleva, appunto prima che cominciasse la "sua" trasmissione preferita.
Domenica a pranzo, un ristorante di provincia. La sala è piuttosto piccola, diverse coppie, qualche tavolo un po' più grande, in tutto una decina di famiglie. Da un tavolo da sei partono musiche e coretti, anche qui attraverso i telefoni e i tablet di chi sedeva a tavola, che si baloccavano con i loro ultimi acquisti tecnologici. Per fortuna il tempestivo arrivo degli anolini ha bloccato il concerto.
Ho raccontato questi due episodi non solo perché mi sono capitati questo fine settimana - potevano capitare a voi in altri giorni e in altri contesti, anzi credo vi siano capitati fatti analoghi - ma perché mi interessa raccontare chi ne era il protagonista. In entrambi i casi non si trattava di giovani - o giovinastri, come comunemente si crede - ma di persone attempate - mature, per usare un eufemismo, anche se non hanno dato prova di grande maturità - vecchi in buona sostanza. Di fronte a un giovane maleducato hai la speranza che cambi, che qualcuno gli insegni come si sta al mondo, le elementari regole della buona educazione. Di fronte a un vecchio maleducato ti arrendi, non sai cosa fare, perché evidentemente sai che non cambierà più, e pensi che è un padre maleducato, un nonno maleducato, e che quindi ha allevato una genia di maleducati.
Sgombro il campo da un tema su cui si dibatte spesso. Questi vecchi che io ho avuto la sfortuna di incontrare non sono diventati così a causa delle nuove tecnologie, anche se apparentemente è proprio grazie ad esse che hanno dimostrato la loro cafonaggine. I telefonini hanno soltanto amplificato la loro maleducazione, che si sarebbe esercitata comunque. C'è una battuta in La parola ai giurati che mi è tornata in mente ieri. Uno dei giurati "arrabbiati" grida ad un altro, che cerca di moderare i toni, Cos'ha da essere tanto compito? e si sente rispondere: Per la stessa ragione per cui lei non lo è: sono stato educato così. Questi vecchi forse non sono stati educati così dai loro genitori, ma è questa società che li ha fatti diventare così. La nostra società ha bisogno di persone maleducate.
Ovviamente so che al mondo ci sono problemi peggiori e che ci sono truffatori, ladri, stupratori educatissimi, che spengono sempre la suoneria del telefono e che non mangiano mai con la bocca aperta. E non voglio diventare, invecchiando, gesuitico e tardo e tantomeno ligio al Passato, come lo Zio di molto riguardo di gozzaniana memoria. Eppure io credo che questa volgarità imperante, questa maleducazione sempre più ostentata, siano un segno abbastanza evidente della crisi profonda della nostra società. Perché la maleducazione, al di là di dire grazie e prego, è il segno della mancanza di considerazione verso le altre persone, è una forma violenta di egoismo. Una società maleducata, come la nostra, è anche una società dove le persone non hanno un valore in sé, ma solo in base a quanto noi ne possiamo guadagnare. E quindi saremo gentili, in maniera ipocrita, con coloro da cui ci aspettiamo un favore o di cui temiamo la collera. E' una società in cui i rapporti sono sempre più legati al loro valore venale, in cui le persone possono essere comprate e vendute. E in cui non c'è neppure più lo schermo dell'educazione.
Si fa, ma non si dice, si diceva un tempo e certo non era un gran insegnamento per i giovani. Invece adesso si fa e si dice, anzi si urla, magari al telefonino.

1 commento:

  1. Cortesia metropolitana
    di Fausto Corsetti

    Luogo: Stazione Termini di Roma; il tempo: mattina ore 7,45, orario di arrivi frenetici. Un flusso continuo di persone si avvia verso i luoghi di lavoro o di studio.
    Vedo un uomo fermarsi, tirare su da terra una bicicletta incatenata a un pilone e caduta probabilmente per una spinta. Riaccostatala con attenzione al palo, quel signore riprende la sua strada. Tutto qua. Nessun gesto eroico, nessuna frase altisonante, il destino del mondo non ha subito interferenze. Eppure…eppure, quando ci ho ripensato, un sorriso mi è affiorato spontaneamente, gli spigoli della mia giornata per un momento mi sono sembrati meno acuminati.
    Non mi faccio illusioni che il vivere urbano possa riconquistare, come per un colpo di bacchetta magica, calore e disponibilità spontanea all’aiuto reciproco. Mi pare però che, nel suo peso infinitesimale, l’episodio cui ho assistito, ribadisca che la qualità del nostro vivere assieme è frutto certamente delle grandi scelte politiche e amministrative, dell’urbanistica e della sicurezza garantita dalle forze dell’ordine, ma questi ingredienti possono guadagnare piena efficacia solo se confortati dalla disponibilità interiore di ciascuno di noi.
    Non può esistere una città a misura d’uomo se quell’uomo non si sente a sua volta coinvolto, parte solidale e amichevole nei confronti di quanti altri con lui condividono lo spazio urbano.
    Spesso ci rimproverano di curare fin quasi all’ossessione gli spazi privati, la casa soprattutto, disprezzando viceversa tutto ciò che è pubblico, nella gradazione che va dal gettare a terra cicche, cartacce, gomme americane, pacchetti di sigarette, bottiglie o lattine, per arrivare agli “insidiosi” escrementi di cane non raccolti, fino agli atti vandalici che danneggiano spazi e strutture di uso comune.
    Se cresce il numero di quanti non si limitano a non commettere azioni sgradevoli, ma agiscono con gesti di rispetto civico, proprio come “quel signore”, o anche soltanto fanno percepire la loro riprovazione nei confronti degli atti negativi a cui prima facevo cenno, qualcosa può iniziare a cambiare.
    Piccoli gesti di convivenza, piccoli gesti di cortesia.
    Essere cortesi è un’arte che deriva da un forte impegno a usare l’intelligenza per capire le circostanze sociali e, in particolare, gli stati d’animo degli altri. Questo impegno, a volte faticoso e dall’esito incerto, può realizzarsi solo quando è sostenuto dalla motivazione di prendersi cura dei sentimenti altrui.
    La persona cortese ha un’anima gentile, sensibile alla sofferenza umana e con un senso di obbligo a fare del suo meglio per alleggerire la fatica del vivere. Questo senso di obbligo, tuttavia, non è pesante, noioso o pericoloso, non sceglie i grandi gesti, i violenti sacrifici o le prediche sublimi.
    La persona cortese e gentile usa con leggerezza, ma con costanza, i mezzi naturali in possesso di tutti gli esseri umani : un po’ di attenzione, un minimo di riflessione, una scelta di parole.
    Per gli esseri umani, la cortesia e la gentilezza sono facili, facili come sorridere.
    E a proposito di sorriso, accoglienza gentile e frequentazione di locali, non citerò contesti urbani noti per la ruvidezza delle relazioni umane… Dirò solo che odio quei negozi nei quali il gestore, o un commesso male addestrato, mi accoglie con un ringhio: “Dica!...”. Invece di dire alcunché, ho subito voglia di uscire.

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