Questo è uno stralcio del lungo discorso con cui Palmiro Togliatti
chiede sia votata la pregiudiziale di incostituzionalità sulla riforma
della legge elettorale presentata dal ministro degli interni Mario
Scelba, la cosiddetta "legge truffa".
Qui potete leggere il testo completo.
Togliatti
La Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica
democratica, e dal concetto che fa risiedere nel popolo la sovranità
deriva il carattere rappresentativo di tutto il nostro ordinamento, al
centro del quale stanno le grandi Assemblee legislative, la Camera e il
Senato della Repubblica, a cui tutti i poteri sono coordinati e da cui
tutti i poteri derivano.
Ma vi è di più. Questo ordinamento
costituzionale democratico e rappresentativo ha una natura particolare,
che nessuno può negare, perché la Costituzione non soltanto dice che
l’Italia è una Repubblica democratica ma che essa è una Repubblica
fondata sul lavoro. E di qui derivano molte cose. Di qui derivano tutti i
diritti economici e sociali, deriva la previsione di quelle riforme
delle strutture economiche,che volemmo fosse nella Costituzione come
indicazione di una strada per l’avvenire, e a proposito della quale un
dibattito elegante ebbi allora con l’onorevole Calamandrei, e risolvemmo
la cosa accontentandoci di metterci d’accordo su una citazione di
Dante. Le riforme economiche, però, sono rimaste nella Costituzione e ne
sono parte essenziale.
Da questa definizione particolare del
nostro ordinamento democratico non possono non derivare, però,
particolari conseguenze per quanto si riferisce al diritto politico .e
ai rapporti fra lo Stato e i cittadini.
Quando si asserisce che
la Repubblica è fondata sul lavoro, quando si dice che i cittadini hanno
eguaglianza di diritti, pari dignità sociale, e quando si aggiunge che è
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica dello Stato, non si può non riconoscere che
il fatto che noi abbiamo definito la Repubblica italiana come
Repubblica fondata sul lavoro ha particolari conseguenze per il diritto
politico, per la definizione esatta, cioè, dell’ordinamento
costituzionale dello Stato.
Infine, vi è una organizzazione
storicamente determinata, quella dei partiti politici, che la
Costituzione stessa richiama in quel suo articolo 49 dove dice che i
cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico (cioè in eguaglianza) a determinare la
politica nazionale.
Questo è il nostro ordinamento
costituzionale, questo e non altro. È evidente che in siffatto
ordinamento l’elemento che si può considerare prevalente e che
certamente è essenziale è la rappresentatività. È un elemento essenziale
per ciò che si riferisce ai rapporti tra i cittadini e le assemblee
supreme dello Stato. Ma che vuol dire che un ordinamento costituzionale
sia rappresentativo?
[...]
Se guardiamo alla storia,
incontriamo all’inizio e partiamo da una visione della rappresentanza
come istituto di diritto privato, nel senso che essa riguarda la tutela,
attraverso un delegato o mandatario, di determinati interessi di gruppi
precostituiti. Alludo alle assemblee rappresentative elette secondo il
principio della curia, applicando i quale si ha in partenza una
schiacciante maggioranza di “deputati” delle classi possidenti e una
minima rappresentanza di operai, di contadini, di lavoratori. Ho voluto
ricordare questa bizzarra forma di degenerazione di una istituzione che
dovrebbe essere rappresentativa, perché è quella che maggiormente
rassomiglia al sistema che viene proposto qui dall’onorevole Scelba. Non
vi è dubbio, infatti, che la visione che traspare dalla legge in
discussione ci prospetta un Parlamento diviso in curie, non più secondo
un criterio economico o sociale, ma secondo un criterio politico.
Precede alla elezione del Parlamento un’azione del governo per riuscire,
partendo dai dati delle precedenti consultazioni, a raccoglier
determinate forze politiche a proprio appoggio. A questo gruppo è quindi
già assegnato, prima che si sia proceduto alle elezioni, un numero
fisso di mandati, e un numero fisso e ridotto di mandati è assegnato, in
modo precostituito, agli oppositori del governo. A questo ci vorrebbe
riportare l’onorevole Scelba: al Parlamento eletto per curie. Ed è
peggio, direi, il Parlamento per curie ordinate secondo un criterio
politico che non secondo un criterio economico, perché scompare
qualsiasi base oggettiva della differenziazione. Unica base rimane la
volontà sovrana del potere esecutivo.
[...]
Ed ecco subito
un altro concetto non facile a districare, quello che definisce la
natura nostra, di deputati in quanto rappresentanti. Noi siamo, sì,
rappresentanti dei nostri elettori. Nessuno lo può negare: essi si
rivolgono a noi, ci inviano lettere, ci sottopongono quesiti; ad essi
parliamo, con essi esiste un legame particolare. Ciascuno di noi però - e
la Costituzione lo afferma - rappresenta tutto il paese. Nel dibattito
intorno a questo concetto, l’estensore della relazione a questo disegno
di legge fa naufragio. Mi rincresce doverglielo dire e sottolineare: fa
naufragio.
La realtà è che nello sviluppo della scienza del
diritto pubblico il fascismo ci ha spinti molto all’indietro. Quando noi
oggi andiamo a rivedere i testi e i trattati di diritto costituzionale
che andarono per la maggiore durante il fascismo, siamo costretti a
inorridire. Ci troviamo di fronte a tale mostruosa contorsione di
concetti, a tali bizzarri travestimenti di idee un tempo chiare, per cui
comprendiamo come oggi chi allora appartenne a quella schiera non possa
comprendere nulla.
[...]
Lei ha peccato contro lo spirito, onorevole Tesauro, e questo peccato non è remissibile. Lei lo sa!
La
difficoltà da cui Ella non è riuscito a districarsi è di comprendere
come mai il deputato, eletto da un gruppo di cittadini, sia
rappresentante di tutto il paese. Sono nato a Genova, mi hanno eletto a
Roma, rappresento tutta l’Italia. Come mai? Perché? Questo non si
comprende, se non si guarda a tutto lo sviluppo del sistema. La cosa -
dice Vittorio Emanuele Orlando -, cioè la rappresentanza come tale, è
una nozione che non presenta difficoltà se si riconduce a un «fatto
esterno e visivo». Qui affiora, attraverso questa ardita
semplificazione, il concetto giusto, che è in pari tempo, vedremo
subito, il concetto nuovo della rappresentanza politica e, quindi,
dell’ordinamento costituzionale rappresentativo.
Curioso! Questo
concetto nuovo venne formulato la prima volta più di 150 anni fa,
nell’Assemblea nazionale francese, nel 1789, dal conte di Mirabeau. «Le
assemblee rappresentative - diceva - possono essere paragonate a carte
geografiche, che debbono riprodurre tutti gli ambienti del paese con le
loro proporzioni, senza che gli elementi più considerevoli facciano
scomparire i minori». Ecco il concetto nuovo, per cui la rappresentanza
viene ridotta quasi a un elemento visivo, e quindi immediatamente
compresa nel suo valore sostanziale.
[...]
II 1848 è l’anno
in cui appare sulla scena per la prima volta in modo autonomo una nuova
classe, la classe operaia, che rivendica non soltanto una
rappresentanza e quindi una parte del potere, ma collega questa
rivendicazione al proprio programma di trasformazione sociale. Nel 1871
la classe operaia va assai più in là della rivendicazione di una parte
del potere per se stessa. Essa afferma la propria capacità di costruire
un nuovo Stato.
Questi grandi fatti storici si impongono
all’attenzione di tutti. Agli uomini politici di più chiaro spirito
liberale e democratico essi indicano la necessità di fare quel passo che
separa i parlamenti liberali dai parlamenti democratici
rappresentativi. Di non accontentarsi cioè di dire che la maggioranza
rappresenta l’opinione generale, anche quella della minoranza, ma di
costruire un organismo nel quale si rispecchi la nazione, sperando e
augurando che questo consenta uno sviluppo progressivo senza scosse
rivoluzionarie. La rivoluzione operaia del giugno 1848 è soffocata nel
sangue. Sull’atto di nascita del regime borghese, istallatosi in Francia
dopo il secondo crollo napoleonico, sta la macchia di sangue delle
fucilate con le quali venne fatta strage degli eroici combattenti della
Comune. È una macchia indelebile. Si spegne l’eco delle fucilate, ma
resta odor di polvere nell’aria! Il movimento operaio si afferma, va
avanti. Il problema è posto, bisogna progredire, bisogna tener conto
delle forze nuove che si affermano. Per questo vi è chi comprende che
ormai è necessario forgiare l’ordinamento dello Stato in modo che
consenta questo progresso e lasci che queste forze, nello Stato stesso,
si possano affermare. Per questo il sistema di rappresentanza
proporzionale delle minoranze nel Parlamento, che è l’approdo tecnico
del movimento, può veramente essere definito il punto più alto che sino
ad ora è stato toccato dalla evoluzione dell’ordinamento rappresentativo
di una società divisa in classi. Così lo hanno sentito tutti i nostri
politici, e non solo quelli che ho già citato. Filippo Turati, quando
propose, nel 1919, di passare alla rappresentanza proporzionale,
asseriva per questo che la sua proposta aveva un valore storico. Sidney
Sonnino si richiamava apertamente, nel proporre e difendere la
proporzionale, al fatto storico della Comune. Si trattava di dare una
impronta definitiva di democraticità, di rappresentatività e di
giustizia all’ordinamento costituzionale dello Stato, nel momento in cui
il movimento sociale non può più essere soppresso con la forza.
Naturalmente,
il modo in cui si realizza il principio non è uniforme [...]. Lo so.
Non è stato trovato ancora un modo di avere la perfetta proporzionalità
della rappresentanza. Rimane sempre un certo scarto tra la realtà del
paese e la rappresentanza nella Camera, a seconda che si adotti un
determinato sistema di conteggio dei voti e dei rappresentanti in
rapporto ai voti, oppure un altro sistema. Ma questo non ha niente a che
fare con l’abbandono del principio. Quello che interessa è il
principio. Il principio per cui noi siamo rappresentanti di tutto il
paese nella misura in cui la Camera è specchio della nazione. Dello
specchio, veramente, si può dire che ogni parte, anche piccolissima, di
esso, è eguale al tutto, perché egualmente rispecchia il tutto che gli
sta di fronte. Qualora il principio venga abbandonato, è distrutta la
base dell’ordinamento dello Stato che la nostra Costituzione afferma e
sancisce.
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